Premio Racconti nella Rete 2012 “Allora” di Giacinto Panella
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012Sta aspettando la mia decisione, manifesta una calma apparente, aspirando lentamente la sigaretta. Ma io so che dietro le inseparabili lenti scure è impaziente e tra un po’ mi metterà alle strette. Pubblica i miei libri da dieci anni e ci conosciamo fin troppo bene. Nel tempo siamo diventati anche amici, ma sempre con un ruolo dominante da parte sua; del resto lui è abituato a comandare e a trattare gli altri dall’alto del suo potere.
Ricordo ancora il nostro primo, casuale, incontro. Io stavo andando in treno a un convegno sull’editoria con la speranza di contattare personalmente qualche editore. Pensavo così di proporre il mio romanzo, senza dover fare la solita trafila di tutti gli autori sconosciuti. Fu lui a iniziare il discorso quando mi vide aprire l’ultimo libro di Brian Mulligan. Seduto di fronte guardò incuriosito e poi mi chiese cosa ne pensassi dell’autore. Dopo la mia risposta precisò che era uno dei suoi preferiti e parlando venne fuori che anche lui si recava al convegno, in qualità di relatore, e che di solito preferiva spostarsi in treno. Continuammo ancora a scambiarci impressioni su vari scrittori e su alcuni romanzi usciti negli ultimi tempi e dopo quasi un’ora mi chiese di mostrargli il manoscritto. Non so se lo fece per pura curiosità o perché si sentì in obbligo, vista la nostra chiacchierata. L’effetto fu lo stesso: l’emozione mi gelò il sangue, il rossore sul viso appena celato dalla barba che già allora mi lasciavo crescere. Farfugliai qualcosa porgendogli il plico di fogli tenuti insieme da un semplice dorsetto.
Lesse le prime pagine con molta attenzione poi prese a scorrere le altre, soffermandosi a caso ora su una ora su un’altra. Nella carrozza, tra chi dormiva e chi se ne stava per i fatti propri, non si udiva alcun suono. Solo lo sferragliare monotono sui binari rompeva la pesantezza di quel silenzio che scorreva senza fretta, come l’orizzonte lontano, oltre il finestrino.
Lui non lasciava trasparire alcuna espressione, esageratamente freddo, quasi assente. Gli occhi spaziavano sui fogli, ma con calma misurata, un fare metodico ma anche leggero, tipico di chi aveva elevato questa funzione a centro della propria vita.
Io invece stavo lì che aspettavo, trepidante come non mai. Cercavo di esibire un’indifferenza mal disegnata, fingendo di guardare fuori la pioggia battente accanirsi contro coltivazioni ormai stremate e terreni privati della loro fisionomia. Però attraverso il riflesso sul vetro seguivo ogni suo movimento impercettibile. Interpretavo i suoi gesti per lo più in senso negativo e mi stavo già preparando all’ennesima bocciatura. Stavolta però sarebbe stata più cocente perché venuta direttamente da un editore famoso e non da qualche praticante alle prime armi.
<Non è male, sai. Facendo un editing leggero ne viene fuori una bella storia. Ti farò sapere.>
Difficile descrivere lo stato d’animo di quei momenti. Un caleidoscopio di sensazioni: ansia, gioia, emozione, paura, smarrimento, tutto racchiuso in quei pochi attimi che stavano cambiando la mia vita.
Ha tolto gli occhiali e ora il suo sguardo scavalca le mie spalle per andare a cogliere quelle macchie di colore appese alla parete. Lui, sfoggiando la sua competenza anche in campo pittorico, una volta l’ha definita, con pronuncia sontuosa, “arte della post-avanguardia”. Per me solo macchie di colore, ma io non mi intendo di pittura.
Il mio mestiere è scrivere parole su un foglio bianco. Con la penna ci so fare, dicono, e deve essere vero se ogni libro che scrivo ha successo. Questa cosa in verità mi sorprende sempre, anche adesso che non sono più un emergente, perché non invento trame fantasiose, non creo eroi o mostri da fantascienza. Mi limito a parlare delle piccole cose quotidiane, delle difficoltà e dei sentimenti che tutti noi proviamo. E chissà che non sia per questo che i miei libri piacciono, perché magari nella frenesia delle nostre vite abbiamo perso di vista le cose essenziali, quelle che servono veramente a farci stare bene. Scrivere è per me la cosa più naturale del mondo, non devo fare alcuna fatica. E’ come se le parole siano già tracciate sul foglio bianco e il mio compito è solo quello di farle affiorare, riportarle alla luce come farebbe un archeologo.
Certo sarebbe tutto più semplice se anche adesso potessi comunicare solo scrivendo. Anziché sentirmi un pugile stretto all’angolo mi troverei in vantaggio, potrei dettare io le condizioni. Ma non è così e lui, l’editore, sta aspettando e vuole udire la mia voce. Le parole giuste mi vengono pure è che non riesco a buttarle via, c’è quest’ansia che mi chiude la bocca dello stomaco e così rimangono sequestrate in gola.
Il cellulare, benedetto cellulare, squilla da qualche parte. Lui fruga in tutte le tasche prima di riuscire a tirarlo fuori. Non risponde subito, guarda prima chi è, poi si alza avvicinandosi alla finestra. Cerca di parlare sottovoce ma io non posso fare a meno di captare delle mezze frasi. Sta parlando sicuramente con la sua amante.
E già perché il mio amico editore non si fa mancare proprio nulla: ha una bella moglie e una bellissima amante. Non lo invidio assolutamente per questo, semmai mi fanno sorridere i suoi tentativi puerili di voler nascondere la cosa.
Chiude il telefonino e si rimette a sedere. Il suo sguardo torna su di me, sollecita i miei sensi. Tra poco ripeterà l’odiata parola <allora?>
E’ da questa mattina che la sento e mi tormenta. Ha iniziato mia moglie, di buon’ora: <allora, non fare il fesso, come al solito. Non accontentarti delle briciole mentre gli altri si arricchiscono sfruttando il tuo lavoro>, anzi <il tuo genio>, aveva precisato.
Il problema è che parlare di soldi, di contratto, di percentuali sulle vendite, è qualcosa che non mi appartiene. Certo, anche questo fa parte del nostro mondo, è la benzina che muove tutti gli ingranaggi. Però per uno come me che ama solo scrivere libri e non si è mai interessato d’altro è avvilente ridurre il rapporto tra autore ed editore a un tira e molla degno di un mercato rionale. Lui poi sa bene che non sono un lottatore e finora ha avuto buon gioco a impormi le sue condizioni. E’ così che lei, uscendo di casa, mi ha spronato nuovamente: <allora, hai capito? Stavolta hai scritto un capolavoro, quindi digli chiaramente cosa vuoi, altrimenti accetti quell’altra offerta.>
Già, mia moglie parla bene. Vorrei vederla in questo momento, davanti all’editore che fuma tranquillamente e tiene le gambe accavallate, come chi non è disposto a concessioni. Però devo farlo, è il momento giusto, quello che aspettavo da tempo. Non sarà d’accordo ma deve starmi a sentire. Fa un’ultima tirata, io ho il respiro corto e la camicia umida appiccicata alla schiena.
<Allora?>, sta spegnendo la sigaretta; il tempo è finito.
<Allora cosa?>, tergiverso.
<No, cosa mi volevi chiedere tu?>, incalza con un sorriso beffardo, <non sarà mica per la percentuale sul nuovo libro che hai scritto? Sai bene che sei un vero amico per me e non potresti avere condizioni migliori di queste.>
<Veramente ci sarebbe un altro editore che… >, balbetto sottovoce.
<Lascia stare>, taglia corto, <fidati di me. Ti pare che io rischierei di perdere il mio autore più importante!>
Si alza, invitandomi a seguirlo. Appena in piedi mi mette una mano sulla spalla.
<Piuttosto, stavo pensando, perché tu e tua moglie non venite questo fine settimana nella mia casa sul lago? E’ da un po’ che non ci si vede tutti insieme. Allora?>
Nella mente si materializza la voce aspra di mia moglie: <ecco, lo sapevo, è finita come sempre. Anche stavolta non hai tirato fuori le palle.>
Rimango fermo. Improvvisamente è come se davanti avessi un foglio bianco e una penna. La prendo e lei comincia a scorrere senza fatica, svelando linee già conosciute. Ho gli occhi incollati sul niente e vedo la penna scivolare leggera sulla carta. Poi osservo curioso la sua mano sulla mia spalla. Lui mi fissa e la ritrae. Ha uno sguardo che non conosco, direi… smarrito.
La penna ha tracciato solo quattro lettere: <ciao>, gli sorrido, regalandogli una pacca sul braccio.
Esco dalla stanza, scendo sul marciapiede e m’incammino senza fretta. Percepisco la sua sagoma incollata alla finestra: mi osserva, ma di sicuro non capisce. Uno come lui non può capire. Pochi passi, c’è un cellulare, stavolta è il mio, che squilla nella tasca interna della giacca. E’ lei: <allora?>
Non dico nulla, continuo a camminare adagio mentre dalla mano socchiusa arrivano altri suoni sgradevoli. Poco oltre c’è un cestino dei rifiuti; allora il cellulare scivola dentro e quella voce gracchiante si perde tra gli incarti delle merendine e i pacchetti vuoti di sigarette.
Bel modo di scrivere. Sai creare la trama delle situazioni e sai dipanare la vicenda incrociando i fili senza ingarbugliare o fare nodi.
Bravo Giacinto. Complimenti.
Ciao.
Emanuele
Ho voluto raccontare la rivincita di un uomo oppresso dalla moglie e dal suo “capo”, in questo caso un editore.
Sono contento che ti sia piaciuto.
Giacinto