Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2012 “Per sempre giovani” di Linda Bartalucci

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

Eravamo d’accordo: Nike avrebbe clonato me ed io avrei fatto lo stesso a lei. Non si passano decine d’anni nei più segreti laboratori dell’industria genetica per abbandonare un grande, prestigioso progetto, a causa di puerili questioni etiche.

C’eravamo incontrate al corso di biogenetica all’università di M*** ed avevamo posto domande talmente imbarazzanti al docente da indurlo a domandarci se ci stavamo accanendo contro di lui per qualche oscuro motivo personale.

Ridemmo e ci guardammo negli occhi. Scorsi in lei la mia stessa passione, la mia follia.

Nike era bella, bellissima. Una donna alta, slanciata, dai lunghissimi ed ondulati capelli biondi. Al corso monografico sulle deformazioni di DNA facemmo girare la testa a più di uno studente. Il mio metro e settantacinque e il mio petto prosperoso non erano certo da meno della beltà di Nike. Eravamo due splendide giovani donne, due pazze scatenate, due potenziali asssassine, due criminali.

Avremmo potuto parlare per ore ed ore, ininterrottamente, del nostro sogno e della repressione, della rabbia di non poterlo realizzare.

Fu per questa nostra comunione d’ideali che decidemmo di unire gli sforzi e concentrarci insieme. Potevamo correggerci a vicenda ed eliminare più facilmente eventuali sviste.

Immerse nei libri, avvolte nei camici bianchi scorgevamo, di tanto in tanto, i nostri volti stravolti, pallidi riflessi ovali sul curve pareti d’alambicchi. Grazie ad alcune superficiali scoperte fummo assunte da un’equipe cosmetica. Le compagnie di prodotti di bellezza erano entusiaste dei preparati alle vitamine ed al collagene che avevamo ideato, ma a noi servivano solo per finanziare l’Ideale, Il Sogno Supremo.

Cominciammo ad avere accesso ai maggiori laboratori. Il nostro nome era famoso: DREAM EQUIPE; così  ci facevamo chiamare.

Incassavamo fior di percentuali ogni volta che un consumatore si spalmava sul viso una crema antirughe preparata con le nostre formule anti-invecchiamento.

Ridevamo al pensiero di quei poveri illusi: i  soldi non li avrebbero riportati alla  gioventù perduta, ma ci avrebbero permesso di realizzare il Vero, Unico Sogno.

Nike ed io perpetravamo esperimenti genetici di ogni sorta per riuscire a riprodurre, infine, i nostri corpi: volevamo, dovevamo, restare belle in eterno.

Vedemmo sfiorire la nostra gioventù giorno dopo giorno, fra furti di cadaveri, fredde luci al neon, cellule cancerose, pallidi ovuli e cavie pelose.

Ricordo il primo giorno in cui mostrai alla mia compagna, la mia amica, la mia complice, alcuni capelli bianchi che spuntavano dalla cuffietta protettiva: ne rimase sconvolta. Era necessario accellerare i tempi, avevamo studiato tanto, ci eravamo sepolte vive fra le provette solo per morire nel tentativo? Assolutamente! La verità, l’illuminazione ci avrebbe fatto raggiungere il Sogno, ma il tempo ci stava venendo a mancare.

Avevamo cinquantacinque anni quando ci rendemmo conto di non poter più utilzzare i nostri stessi ovuli per gli esperimenti. Una fonte tanto preziosa si era essiccata. La vita ci stava sfuggendo come sabbia stretta fra dita scheletriche.

Finalmente, dopo tanto soffrire, ormai vecchie, decrepite, arrivammo alla soluzione. Potevamo costruire un corpo identico al nostro facendolo maturare artificalmente in enormi vasche di clonazione.

Ci dividemmo i compiti, avrei prelevato alcune gocce del sangue di Nike e lei avrebbe fatto lo stesso per me. Avremmo ricreato due corpi bellissimi come quelli avuti un tempo, avremmo trasferito i nostri ricordi, i nostri pensieri, la nostra identità grazie a microchip organici sostituiti nei nuovi cervelli.

Pensandoci bene, in effetti, dovevamo suscitare un certo disgusto ai pochi esseri umani che ancora ci contattavano di persona: per caricare i chip con tutti i nostri dati li avevamo impiantati sulla calotta cranica rasando alcune zone dai grigi capelli senili.

Nulla era importante ormai, avremmo vinto la morte, la vecchiaia, la bruttezza. Non avevamo scrupoli e non ci saremmo lasciate sopraffare da inutili problemi etici: avevamo varcato da un pezzo la soglia dell’indifferenza nei confronti degli altri; come non ci era interessato sapere di chi era il cadavere che dissezionavamo al corso di anatomia pratica, così  non ci sfiorava il problema dell’utilizzare un altro individuo, seppur generato coi nostri stessi geni, per privarlo di una sua propria esistenza usandolo come un contenitore, un vestito per le nostre folli menti deviate.

Eravamo due scarafaggi da laboratorio, squallide, atroci. Curve, ingobbite, con corazze fatte di camici un tempo bianchi, toccavamo avidamente con famelica bramosia ogni provetta, ogni preparato, ogni siringa, trascinandoci ed ammiccando con teste cosparse di croste, sudici riccioli ingrigiti e luccicanti circuiti organici. Scarmigliate come arpie, pericolose come Gorgoni.

Osservammo, giorno dopo giorno, ora dopo ora, i nuovi corpi che crescevano diventando maestosi e splendidi.

Operare Nike fu facile; aspettare che si rimettesse per poter eseguire lo stesso trapianto dei chip per me non lo fu altrettano. Ero invidiosa: lei stava già riposando con il nuovo corpo, con la bellezza ritrovata. Si stava godendo la realizzazione del Sogno prima di me, non potevo farci niente, ma ero gelosa.

Fortunatamente i postumi dell’intervento furono pochi e non sopravvennero affatto crisi di rigetto. La mia rinata compagna si riprese in fretta e tornò in grado di eseguire la medesima operazione su di me. L’ultima cosa che vidi fu che si accinse ad anestetizzarmi: giovanissime ed agili mani da modella con la sicurezza e la preparazione di un chirurgo consumato dall’esperienza.

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Le trovarono abbracciate strettamente nella maestosa rigidità del rigor-mortis. Due corpi meravigliosi ancora avvolti dalla verde stoffa dei camici da sala operatoria. Accanto a loro due larve semiumane, due scheletrici involucri vetusti, ingialliti.

Solo separandole si potè constatare la causa del decesso: si erano accoltellate a vicenda con affilatissmi bisturi.

Dopo il secondo intervento si erano rese conto di quanto dipendevano l’una dall’altra. Avrebbero dovuto passare l’eternità a sostituirsi il corpo a vicenda. Avrebbero trascorso i secoli invidiando una la bellezza dell’altra, desiderando una perfezione che non poteva esistere.

Due donne stupende, eternamente giovani, eternamente condannate a vivere insieme, confrontandosi, misurandosi in una lotta che non poteva avere vincitori.

Si erano uccise: avevano superato ogni questione morale, ma non avevano potuto far fronte al loro innato, mostruoso individualismo.

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3 commenti »

  1. Agghiacciante e pericolosamente profetico. Eccellente!

  2. Adoro la perpetua ricerca delle due ragazze per vincere la lotta contro la decadenza e la vita che giorno dopo giorno sfugge loro di mano e la morte delle due protagoniste non poteva essere scritta in maniera migliore di questa. Complimenti!

  3. La complicità di due belle donne ossesionate dalla paura di invecchiare e morire, un progetto cinico che le porta a distruggersi a vicenda. Interessante racconto, complimenti!

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