Racconti nella Rete 2009 “Dans le noir” di Erika Ferrati
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009“C’è un ristorante a Parigi che si chiama “Dans le noir”.
L’ atmosfera è speciale e non perché si trova proprio di fronte al centre Pompidou, a due passi dal Beaubourg. Qui si respira al ritmo dei profumi, si cammina facendosi guidare dai sensi, si mangia trasportati dai sapori…” Mi chiamo Fabio Grazi, ho trentacinque anni, sono un giornalista. Sono arrivato all’ombra della Tour Eiffel dieci anni fa, appena laureato con una tesi sulla storia del giornalismo francese ed ora collaboro con un mensile di attualità e costume, uno dei tanti dalle pagine patinate piene di pubblicità. Il mio ultimo articolo dovrebbe essere su questo nuovo ristorante. Dico dovrebbe perché per ora, riesco solo a riempire il foglio di banalità: “Un ristorante al buio: un modo per dar spazio a tutti i sensi, un’esperienza interessante e bla bla bla”. Il mio mondo è fatto di parole e immagini, di colori e di messaggi scritti: di giorno scrivo, di notte leggo e calcolo se il mio contratto precario mi permetterà di arrivare alla fine del mese con quel minimo di decenza che pretendo.
Sono andato al “dans le noir” qualche sera fa: all’entrata Jolie, la cameriera, mi ha preso la mano e con delicatezza l’ha poggiata sulla sua spalla. La sicurezza dei suoi gesti ciechi per me resta un mistero. Mi ha guidato attraverso le risate e i sussurri di chi mi circondava e dopo il primo gradino ero piombato “dans le noir”. Nel buio più totale. Potevo tenere gli occhi chiusi mentre Jolie parlava sottovoce. Non so se si è accorta quanto mi sono avvicinato a lei. Volevo sentirne il profumo: sapeva di oriente.
Intorno a me erano tutti ciechi: ragazzi e ragazze della Parigi che vuole vivere, ma che non può vedere.
Prima della cena mi sono seduto al bancone del bar: è il modo migliore per conoscere ragazze, ho pensato tra me. Poi mi sono ricreduto. Ero lì per fare un servizio, non per divertirmi. Dopo un cocktail alla frutta – qui non servono alcolici, anche se nessuno poi deve guidare… – ho sentito un profumo di lavanda. Una mano mi ha sfiorato la spalla, il collo. Poi si è velocemente ritratta al suono di “scusa credevo fosse la mia amica”. Forse qualcuno penserà che sono un vile, un cinico, ma prima che la mia etica mi tappasse la bocca avevo pronunciato uno sfacciato: “non preoccuparti, siediti qui vicino a me se vuoi”. E così ho conosciuto Ines. Aveva una voce sensuale e il suo alito profumava di fresco. Ha ordinato un succo di pompelmo e mi ha raccontato un po’ della sua vita. É nata in un piccolo paese della Provenza. Per questo le piace il profumo di lavanda. Scherzando ha detto che in fondo essere qui o lì per lei fa lo stesso, sono gli odori che contano. I genitori l’ hanno portata a Parigi per via della sua malattia, ma i grandi luminari della capitale non sono riusciti nell’impresa. Vive non lontano da qui, in un piccolo appartamento dove dà ripetizione di francese a bambini non vedenti. Era allegra e al buio i miei sensi si sono scatenati. Quando mi ha chiesto di parlarle di me è entrato in scena una sorta di “uomo perfetto”: dolce, sensibile, fisico come Antonio Banderas e naturalmente cieco dalla nascita. Non so spiegarmi cosa mi sia scattato nella testa. Abbiamo mangiato insieme. Non so dire dov’era posizionato con esattezza il nostro tavolo, ma si respirava costantemente un odore vario di cibo e quindi suppongo che fosse vicino all’entrata della cucina.
È stato difficile. Non vedere cosa si ha nel piatto crea diffidenza, non avere idea di come mangiarlo, imbarazzo.
Ho fatto molto rumore con le posate e ho rovesciato un bicchiere di vino rosso sulla tovaglia.
Ines si è messa a ridere sostenendo che casa mia doveva essere un disastro. Dopo cena le ho chiesto di accompagnarla a casa e per poco non ho aggiunto: “Ho la macchina qui vicino”.
Siamo usciti dal locale dopo aver fatto chiamare un taxi. Avevo paura. Forse sarebbe stato meglio lasciar perdere. Temevo che il suo volto e il suo corpo non fossero all’altezza delle mie aspettative, ma rimasi sorpreso. Non era bellissima, una ragazza qualunque, una di quelle che per strada non mi sarei girato a guardare: non troppo alta, capelli lunghi castani, labbra regolari, naso piccolo e qualche chilo in più, ma non troppi. Il suo profumo però mi piaceva. Molto. Siamo andati da lei. Ha trovato le chiavi di casa nella borsa con la rapidità che tante volte ho sperato avessero altre donne. Appena entrati si è diretta con sicurezza in cucina ed è tornata con due bicchieri di cognac. Ero affascinato. Anche qui il buio mi circondava, ma per fortuna la finestra dava sulla strada illuminata dai lampioni. Ero eccitato. Questa ragazza era completamente in mio potere. Ero io che conducevo il gioco. Potevo farle immaginare quello che volevo. Fare quello che volevo. Mi sarei potuto masturbare lì, mentre lei parlava del suo gatto e della fabbrica di profumi dove andò in gita scolastica. Nessuno avrebbe detto niente. Avrei potuto girare per la casa in cerca della sua biancheria intima da conservare in ricordo di quest’avventura. Nessuno avrebbe giudicato. Era però ancora più elettrizzante farle pensare quello che volevo. Per lei ero un uomo che a casa si esercitava tutti i giorni con i pesi, faceva un numero imprecisato di flessioni, portava la taglia 54, scarpe 43 e che le amiche vedenti dicevano somigliasse ad un noto attore del cinema.
Potevo essere quello che lei voleva e che io avrei voluto essere.
Lo ammetto, non ho un gran successo con le donne: mi sento molto lontano dagli standard di bellezza che giornali come quello per cui lavoro impongono. La mia carta vincente è la mia professione. Dire che fai il giornalista fa sempre colpo e se sai giocare sull’ effetto sorpresa puoi portare a casa qualche buon risultato. Per il resto, se fossi una donna, non mi farei.
Quando ho capito che la conversazione stava prendendo una direzione pericolosa – “dove hai studiato? Cosa fai per mantenerti?”- sono passato all’azione. Le ho tolto il bicchiere di mano e ho sentito il suo respiro che cominciava a tremare. Il suo volto era immobile. Sembrava fissare un punto sul muro alle mie spalle. L’ho baciata sulla guancia destra e lei si è girata verso di me. Ho abbracciato il profumo di lavanda. Ho chiuso gli occhi. Avevo paura che la sicurezza dei miei gesti tradisse l’inganno. E che questo timore tradisse la mia virilità.
L’ho fatta mia sul divano e mentre la sentivo muovere sotto di me con sicurezza inaspettata mi sono chiesto che vita sessuale potesse mai avere questa donna. Se facesse sesso con qualcuno regolarmente o se avesse un uomo fisso. Cosa stava pensando? Cosa vedeva nella sua mente in quel momento? Riusciva a visualizzare dei corpi, dei movimenti? E in base a quale ricordo? Com’era il mio sesso nei suoi pensieri se non ne aveva mai visto uno?
Le sue mani che mi esploravano sembravano dotate di sensori. Si soffermavano su ogni particolare del mio volto, sul mio petto, leggevano il mio corpo. E anch’io cercai di usare le mie molto più di quanto non fossi solito fare. Le accarezzai il viso, il corpo, i capelli con avidità. Ma le mie dita erano più distratte delle sue.
E Ines se ne accorse.
Il suo corpo si bloccò, divenne rigido: “perché lo fai?”.
Non sapevo come rispondere. Provai a far finta di non capire ma il mio sesso mi tradì, non resse la menzogna e se ne tornò piccolo come quello di un ragazzino. Ho ringraziato che Ines non potesse vedere il mio volto, non mi potesse riconoscere per strada. Mi sono vestito in fretta e le ho chiesto scusa chiudendomi la porta alle spalle.
“C’è un ristorante a Parigi che si chiama “Dans le noir” dove
l’atmosfera è speciale. Qui i tuoi sensi hanno il sopravvento sul buio che ti circonda. Ti senti avvolto dalle voci e dai sapori del buon cibo, dall’allegria dell’immaginazione e dagli odori. Sì, perché in questo posto dove ci si conosce senza vedersi sono i profumi a guidarti. Ed io mi sono fatto trasportare dal profumo della lavanda e delle bugie…”
Complimenti, mi è piaciuto molto. E’ coinvolgente, proprio come un buon profumo!