Premio Racconti nella Rete 2012 “Qualcuno tolse il tappo della mia piscina” (sezione racconti per bambini) di Lucia Finelli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012Vivevo tranquilla in un posto sicuro, raccolto, piccolo ma non angusto, lontano da sguardi indiscreti e rumori molesti: era una specie di piscina, in cui mangiavo, nuotavo, facevo i miei piccoli bisogni e, soprattutto, dormivo!
Dormivo indisturbata per ore ed ore, senza, in realtà, avere la minima cognizione del tempo o dell’ora. Non immaginavo neppure che un’ora fosse fatta di 60 minuti e che in un’ora si potessero fare mille cose! Posso dire con certezza che non ho mai più dormito bene come allora!
Il tempo scorreva serenamente, esclusi solo i momenti di terribile e persistente singhiozzo – lo stesso che mi tormenta ancora oggi!
Ma si sa, tutte le cose belle, prima o poi, finiscono, purtroppo!
Un giorno, infatti, qualcuno tolse il tappo della mia piscina e l’acqua pian pianino cominciò ad uscire: all’inizio poca, poi, via via, sempre di più, fino a lasciarmi quasi a secco!
A quel punto cominciai a stare male lì dentro, mi sembrava di soffocare e, per di più, iniziai ben presto ad udire un gran trambusto: voci, urla, lamenti. Che confusione! Non capivo cosa stesse succedendo. Non capivo più niente. Volevo solo uscire da lì, da quella che, ormai, non era più la mia confortevole piscina, ma soltanto un inospitale contenitore buio. Troppo buio per i miei gusti. Io odio il buio!
In verità, era proprio necessario che uscissi: mi sentivo, ed ero realmente, come strangolata da un viscido cordone doppio, tutto attorcigliato intorno al mio piccolo collo!
Fuori le voci si sentivano sempre più chiare e concitate, e le urla ed i lamenti più forti, assordanti, direi quasi insopportabili.
Poi sentii come una violenta spinta dall’esterno, sulla parte superiore di quell’involucro che ancora mi ospitava, ma, proprio grazie a quella mossa, un mix tra un cazzotto ed una gomitata, riuscii ad uscire. In verità, fui scaraventata o meglio ancora sputata fuori, insieme all’ultima ondata di acqua della mia adorata piscina, ormai svuotata del tutto. Che spettacolo! Che emozioni! E che paura!
Comunque, ero finalmente uscita, sana e salva! Un vero miracolo: ero viva nonostante tutto. Ero nata! Era il miracolo della mia nascita! Ma in quali condizioni! Ero praticamente avvolta da una patina gelatinosa di colore rosso e giallo, e mi sentivo tutta appiccicosa, ma, soprattutto, avevo un gran freddo, così tutta . . . nuda, ormai fuori dal mio caldo rifugio.
Per tutti questi motivi, naturalmente, piangevo, urlavo, ero disperata! Urlai ancora di più quando una donna tutta vestita di bianco, un’infermiera avvezza al mestiere, e, quindi, a mio parere, non troppo delicata, mi portò sotto un lavandino per sciacquarmi e ripulirmi; poi, per fortuna, mi avvolse in un morbido panno e, come se fossi un fagotto, mi consegnò ad un uomo alto, bello, al quale disse tali precise parole:”Prego, la prenda pure in braccio, guardi che bella bambina, suvvia non abbia timore, è sua figlia! Auguri, congratulazioni!”
La mano decisa ma gentile di quell’uomo mi fece calmare: era mio padre! Fu amore a prima vista!
Sentivo ancora le urla di dolore della mia povera mamma, la donna, dalla quale ero appena uscita con fatica, ma ero troppo stanca, per cui, dolcemente cullata, mi addormentai tra le braccia di papà. Sognai la mia amata piscina, che mi aveva ospitato per così tanto tempo nella sua grande pace. Però, nel sogno quella piscina appariva molto più grande ed era proprio diversa dalla mia piscina di un tempo. Era solo un sogno!
Mi risvegliai tra le braccia magre ed incerte di mia madre, la quale, secondo me, non si era ancora ripresa dall’evento della mia nascita o meglio dall’evento della mia fuoriuscita, si, insomma dal parto! Un parto naturale, ma non poi così tanto facile. Era stata un poco sfortunata. Ovviamente, ci vuole sempre un po’ di fortuna!
La mamma, comunque, mi guardava con orgoglio e tenerezza, con le lacrime agli occhi, quasi incredula che io potessi essere veramente la sua creatura, il frutto del suo ventre! Poi, ad un certo punto, non so perché, le venne da piangere con tutti i sentimenti e . . . allora piansi anch’io, così per solidarietà, non per altro. Ma il mio pianto fu interpretato dalla mamma come sintomo di fame, per cui ella, con grande garbo, avvicino la mia boccuccia ad una tettarella morbida, di cui lei stessa era munita, cioè praticamente, mi fece attaccare al suo seno! Pazzesco!
In verità, all’inizio non capii cosa dovevo fare, giocavo con quella tettarella. Poi, la mamma mi sussurrò all’orecchio queste paroline: “Devi succhiare piccolina, così esce il lattuccio e potrai sfamarti anche tu”. Allora capii! La cosa era più importante di quanto potessi immaginare: si trattava della mia sopravvivenza! Afferrai meglio la tettarella e cominciai a succhiare, con foga, ma senza mai farle male. Come avrei potuto!? E, succhiando succhiando, mi addormentai soddisfatta, rimanendo attaccata al dolce seno della mamma. Sognai ancora di essere ritornata nella mia piscina adorata, ma nel sogno era sempre più diversa da quella originale, sempre più piccola ed angusta, insomma non era la mia piscina.
Al risveglio, stavolta, mi ritrovai, da sola, in una minuscola culla, all’interno di una stanza enorme, dove, in verità, c’erano tanti altri marmocchi, i miei compagni di sventure! Era la stanza del pianto: si faceva a gara a chi urlasse di più. Mi sembrò un gioco poco divertente; anzitutto, quel fracasso mi disturbava parecchio, ma soprattutto, mi impediva di concentrarmi e realizzare ciò che mi fosse accaduto. Forse era tutto un sogno o . . . un incubo!
Poco dopo realizzai che mi trovavo al sicuro; infatti, le solite signore vestite di bianco – le infermiere – distribuivano a tutti noi piccolini una bottiglietta piena di una bevanda dolce per farci calmare, in attesa che arrivassero le nostre mamme.
Addolcita da quella bevanda piombai ancora in un sonno profondo e di nuovo feci il mio sogno ricorrente: la piscina, ma no, che dico, la pancia della mamma! Ormai era tutto chiaro: la mamma mi aveva ospitato nella sua pancia per ben nove mesi, mi aveva nutrito, aveva cantato per me, mi aveva portato a spasso, aveva sofferto con me e per me. Ed ora continuava a nutrirmi col suo stesso corpo! Che cosa miracolosa! Io credo che qualcun altro, più grandioso di lei, l’abbia aiutata. Deve essere per forza così; mia madre è troppo esile e debole per aver potuto fare da sola una cosa così grande. Non può essere tutto merito suo. Pare che sia stato Dio: io non lo conosco ancora tanto bene, però, chiunque sia, è grandioso!
Soprattutto, non riesco a comprendere come mia madre abbia potuto farmi crescere nella sua pancia così schifosamente piatta e piccola! E come abbia potuto nutrirmi con il suo latte per così tanto tempo, con quei due minuscoli seni!
Avrei potuto immaginare più facilmente una cosa del genere da parte di mio padre, con il suo ventre imponente ed il suo petto largo! E invece no, pare che i maschi o meglio gli uomini non possano portare in grembo bambini. Peccato per loro! Che mistero! Sono piccola e ho ancora tanto da imparare, ma credo che molte cose di questo mondo rimarranno un grande mistero, proprio come quello della nascita!
Rimasi in quel grande nido per neonati per tre lunghissimi giorni! Il tempo non passava mai, una vera noia! Gli unici momenti di gioia erano di mattina, presto, e di sera, tardi, quando arrivavano le nostre mamme per allattarci; poi, loro andavano via e noi rimanevamo inesorabilmente soli! Eh, si! Si può essere soli pur stando in mezzo a tante persone, specie se moleste come i miei compagni di stanza: non smettevano mai di piangere e lamentarsi, come se poi strepitando in quel modo, risolvessero qualcosa! Che sciocchi! Lamenti e pianti non servono a niente, almeno quasi sempre!
Una mattina, però, piansi anch’io, non per contagio né per solidarietà, ma per una valida ragione: la mia mamma non era venuta ad allattarmi ed io avevo tanta fame e tanta, tanta voglia di lei!
E quella simpaticona dell’infermiera, invece di consolarmi e magari andare a chiamare la mamma, ebbe il coraggio di dirmi, scherzosamente, che, mia madre era rimasta a dormire, e quindi, niente colazione! E rideva pure! Che faccia tosta!
Possibile che la mia mamma fosse rimasta a dormire, dimenticandosi della sua piccolina!? No, non era possibile; era, sicuramente, successo qualcosa, un imprevisto. Forse stava male, poverina! O chissà? Pensavo a queste cose, ma nello stesso tempo urlavo con tutte le mie forze, perché avevo fame!
Le urla ed i pianti, stavolta, servirono: l’infermiera, intenerita o infastidita, mi prese in braccio delicatamente e mi fece saziare con quel solito nettare, che era davvero molto buono. Non era il latte di mamma, ma andava bene. Insomma, ero sopravvissuta anche senza di lei! Eh sì, adesso a ripensarci, ero un po’ innervosita e dispiaciuta per l’accaduto.
Per fortuna si trattò di un singolo spiacevole episodio; quella sera la mamma venne da me e così pure il mattino seguente e la sera dopo e . . ., insomma, da allora la mia mamma c’è sempre stata per me, nutrendomi e sostenendomi, nei momenti belli ed in quelli brutti.
Quanto a quell’unico episodio di a b b a n d o n o, mi hanno raccontato che quella mattina la mamma fu severamente ripresa dal mio grande papis. In realtà, c’era stato un equivoco: la sera prima l’infermiera aveva assicurato ai miei genitori che la mattina seguente, dal nido, mi avrebbero portato in stanza, date le delicate condizioni di salute della mamma. Poi, invece, al mattino, non si sa per quale motivo, ciò non avvenne. Cosicchè, quando mio padre, scapicollandosi da casa, arrivò nella stanza dell’ospedale alle 7.00 del mattino, trovò solo la mamma senza la sua adorata bambina. Che delusione! E che rabbia provò il mio papà; soprattutto non riusciva proprio a capire come la moglie potesse starsene lì tranquilla, nel letto, a fare la sua colazione, senza chiedere spiegazioni a nessuno e senza considerare la gravità dell’accaduto!
La mamma, dal suo canto, era rimasta delusa per non avere potuto avere la sua piccolina, ma era, comunque, stanca e dolorante, e dovette pure sopportare le lamentele di mio padre, il quale, ovviamente attribuiva a lei tutta la colpa!
Sicuramente, però, quella mattina prese pienamente coscienza della sua nuova condizione di m a d r e, cioè realizzò, forse per la prima volta, che ormai era una mamma, che aveva delle responsabilità e che i propri dolori dovevano essere secondari.
Eh sì, una madre non sente più dolore di fronte ad un figlio, si annulla per lui e soffre in silenzio. Soffre, ma non soffre!
In verità, questo per me é un concetto un po’ difficile da spiegare e da capire. Forse, da grande, se sarò madre anch’io, come spero, capirò meglio di che si tratta.
Chissà, forse, un giorno, anch’io potrò ospitare qualcuno nella mia piscinetta, che, almeno adesso, è bella rotonda e morbida!
Sono passati solo otto anni dalla mia nascita e mi pare di capire che per questo c’è tempo, tanto tempo!
Perciò, per il momento continuo a nuotare felice e spensierata nella piscina del mio quartiere ed urlo e canto a tutti la mia gioia di vivere: “Viva la vita, viva l’amour!”
Adesso, a ripensarci, sono proprio contenta che qualcuno, quel giorno, abbia deciso di togliere il tappo della mia piscina.
Sì, sono molto felice di essere nata! Ringrazio Dio per questo ed ovviamente i miei genitori, che, con il loro amore mi hanno dato la vita.
L’ho sentito dire alla mia adorata TV, ma è vero, è proprio così: “La vita è una cosa meravigliosa!”
Che carino. Un mix tra divertimento e sentimento!
Un grande in bocca al lupo!!!
Linda