Premio Racconti nella Rete 2012 “Martina” di Laura Landi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012Gli occhi sbarrati nel buio e il sonno che non viene…….non vuole venire il sonno. E il pensiero ritorna…….e il silenzio della notte lo afferra e lo affonda. Si rigira nel letto e accanto a lui c’è la voragine lasciata dall’assenza di Martina. Ma tu guarda se doveva farmi ‘sto scherzo proprio adesso…..lasciarmi ora……col negozio che va male……e ‘sto casino allo stomaco per giunta. Che stronza! E quell’altro stronzo di Rapajic che vuole solo contanti……Oh cristo” . Si gira dall’altra parte, occhi spalancati e stomaco bruciante. Ma che ore sono, mormora afferrando con la mano la sveglia dal quadrante luminoso che dal comodino ticchetta sfrontata. Ma sono le tre e mezza, gesù. Martina ma dove cavolo sei andata……e andartene così, senza una parola……senza un motivo……macché senza un motivo…..troppe volte me l’hai gridato addosso e sulla faccia il motivo in quest’ultimo anno. E adesso anche il buco allo stomaco! Sono stati tutti quegli “inetto”…quei “fallito”…quegli “immobile” e “inaffidabile” che mi hai buttato addosso con lo sguardo e la bocca muta tirata su quel tuo viso da madonna quasi disgustato. Quegli sguardi….quelle parole non dette. Tutte stilettate…..ferite che il medico ha chiamato “gastrite”. Tu, invece, efficiente, perfetta, sempre in movimento senza stancarti mai. Anzi, diciamo meglio….stancandoti e facendomi pesare quella tua stanchezza speciale profferita con voce appena udibile…quel tanto che io, il deficiente, captassi per farmi sentire un parassita, una schifezza…..col tuo stipendio fisso per di più. Ma certo….l’unica stanca della terra….sempre piena di progetti e di cose da fare e così punitiva nei miei confronti….proprio come Rapajic….”in contanti caro Marco….e chi si fida ormai di te “ sorrideva bonario come un padre…..sì, buono anche quello….Nemmeno tu, come quello, ti sei fidata di me….mai una parola di sostegno….solo “potevi fare così e così e così”…..l’organizzatrice di vite, la perfettina… al diavolo.
Non ti sei mai fidata delle mie capacità, delle mie idee innovatrici per il negozio, ché è vero che è andato male…ma è un momento di crisi per tutti. Tutte quelle tasse ci massacrano, cavolo. Devo rinnovare . L’idea di vendere con le scarpe anche qualche capo in pelle non era sbagliata se non m’avessero dato quella fregatura col ritardo delle consegne. L’idea era buona….è inutile che lei dica…..com’è che dice? non bisogna fare il passo più lungo della gamba. E allora ti dico cara che chi non risica non rosica. Quante volte te l’ho letto negli occhi quel disappunto….quasi pietà…disprezzo. Ed è finito tutto nel mio stomaco quello guardo lì, quella pietà, quel disprezzo. Forse è meglio che mi succhi una di quelle pasticche….mi passasse ‘sto bruciore.
Si alza dal letto stancamente e con lui anche il cane balza giù dal fondo dove si era acciambellato lanciando occhiate umide al padrone. La mano appoggiata sullo stomaco come a tutelare quell’organo ferito che era un riflesso solo di quell’altra ferita. Quella al cuore . Non è vero che il cuore non fa male, non brucia, non procura coliche…..anzi urla di dolore. E mentre con una mano attanagliata sullo stomaco traversa la camera da letto avviandosi verso la cucina seguito amorevolmente da Bogart lunghe lacrime scendono a bagnargli le guance infilandosi nella barba. “’Sta stronza” mormora in un lamento mentre si siede sulla sedia al tavolo della cucina passandosi l’altra mano sugli occhi, sulla barba e su quel pianto che ormai colava come cemento sui ricordi di amore, su quelli di avere un figlio…..lui lo voleva tanto un figlio…e li seppelliva.
Trova il cassetto dove Martina teneva le medicine e cerca confusamente il blister con le pasticche lattiginose e confortanti. “Speriamo che mi passi e possa dormire un po’. Domani, anzi oggi….altra bella giornatina…..Niente stress dice quel coglione del medico che si è preso 300 euro per dirmi ‘ste cazzate che propina a tutti. Bogart lo guarda con gli occhi languidi e gli regala una leccata affettuosa sulla mano abbandonata lungo il fianco. “Forse dovrei prendere anche un sonnifero” dice guardando Bogart, suo unico interlocutore, con voce incrinata mentre succhia la pasticca ficcandosene un’altra in bocca. E le lacrime seguitano a bagnargli la faccia e la barba. Adesso si fa pena da solo percependo la solitudine che lo circonda….il buio. E il senso di vuoto si fa immenso. La paura…il panico, la bocca senza più saliva, il petto stretto in una morsa. La testa che si svuota e si perde in uno sbandamento. Il tavolo della cucina gli si fa incontro e il bagnato delle lacrime che scendono anche dal naso si fonde col bagnato di un freddo sudore che via via gli riempie la fronte e il torace e le ascelle. La pasticca ormai lo soffoca e la sputa buttandola fuori con furia, quella pasticca che non è riuscita a confortare. “Oddio” sussurra appoggiandosi al tavolo con tutte e due le mani stringendo gli occhi come a cacciare un incubo.
“Devo chiamare Martina….subito….deve venire, io sto male” e allunga la mano verso il cellulare ma quello di Martina è spento, irraggiungibile. ” ‘Sta stronza, non so nemmeno dove andare a cercarla”. E quando lentamente appoggia la testa sul tavolo con le braccia abbandonate e le mani che quasi sfiorano le mattonelle fredde del pavimento è stremato e coperto di un sudore freddo appiccicaticcio che comincia ad asciugarsi addosso. Non ha più alcuna forza, neanche quella di inveire contro Martina e Rapajic. Esanime, la paura del panico che lo ha invaso e che lui non conosce lo ha inebetito. E la paura è dilatata dal suo non sapere come affrontare quel fenomeno nuovo e terrificante. “Ma che è ‘sta storia….forse è infarto” sussurra al nulla, gli occhi dilatati nel buio della finestra di fronte a lui. Abbassa lentamente le palpebre sugli occhi disperati. Li riapre sempre lentamente e lo sguardo si posa sull’orologio al muro che prosegue il suo tempo inesorabile e menefreghista come solo il tempo sa essere.“ O gesù, sono le cinque….le cinque…e non ho dormito niente e fra qualche ora devo pagare quello…. e sto così male. Devo sentire Giorgio, ecco cosa devo fare…Giorgio. Lui conosce quel tipo…quello col viso butterato….quello potrebbe farmi un prestito per pagare Repajic così lo stronzo mi consegna la merce e io torno nel giro. Col cambio di stagione……roba di classe….e ‘stavolta, giuro, giro di boa. Tiro la cinghia, niente villeggiatura, niente chiusura estiva, grossi saldi…qualche trucco e rifondo il debito…….liscio come l’olio. Gliela faccio vedere io a quella.”Ma quando cresci!……” con quella voce stanca e saputa. Ti faccio vedere io se cresco. Le mani attaccate alle braccia penzolanti cominciano a formicolargli. Le solleva piano muovendole per cacciare quel fastidio tremendo. Le appoggia sul tavolo muovendo le dita mentre sempre lentamente alza la testa e stende il tronco intorpidito. Stira la schiena alzando in alto le braccia, il collo ancora rigido. Lo gira da una parte e dall’altra mentre strofina le mani appiccicose di pianto e di sudore sul cotone del pigiama sulle cosce. Una luce più chiara di primo mattino scivola dentro il buio della finestra. Marco fissa quel chiarore con gli occhi abbottati e rossi e allunga una mano a carezzare la testa di Bogart che uggiola piano. Il bruciore si è attenuato. La secchezza alla bocca……”ora mi faccio una camomilla” sussurra. E la paura si è trasformata in una sorta di rassegnazione a la fatica che dovrà affrontare quel giorno. E anche quella notte se n’era andata per ora.
“forse dovrei prendere anche un sonnifero” dice guardando Bogart, suo unico interlocutore, con voce incrinata mentre succhia la pasticca ficcandosene un’altra in bocca. E le lacrime seguitano a bagnargli la faccia e la barba. Adesso si fa pena da solo percependo la solitudine che lo circonda….il buio. E il senso di vuoto si fa immenso. La paura…il panico, la bocca senza più saliva, il petto stretto in una morsa. La testa che si svuota e si perde in uno sbandamento. Il tavolo della cucina gli si fa incontro e il bagnato delle lacrime che scendono anche dal naso si fonde col bagnato di un freddo sudore che via via gli riempie la fronte e il torace e le ascelle. La pasticca ormai lo soffoca e la sputa buttandola fuori con furia, quella pasticca che non è riuscita a confortare.
“Oddio” sussurra appoggiandosi al tavolo con tutte e due le mani stringendo gli occhi come a cacciare un incubo. “Devo chiamare Martina….subito….deve venire, io sto male” e allunga la mano verso il cellulare ma quello di Martina è spento, irraggiungibile. “”sta stronza, non so nemmeno dove andare a cercarla”
E quando lentamente appoggia la testa sul tavolo con le braccia abbandonate e le mani che quasi sfiorano le mattonelle fredde del pavimento è stremato e coperto di un sudore freddo appiccicaticcio che comincia ad asciugarsi addosso. Non ha più alcuna forza, neanche quella di inveire contro Martina e Rapajic. Esanime, la paura del panico che lo ha invaso e che lui non conosce lo ha inebetito. E la paura è dilatata dal suo non sapere come affrontare quel fenomeno nuovo e terrificante. “Ma che è ‘sta storia….forse è infarto” sussurra al nulla, gli occhi dilatati nel buio della finestra di fronte a lui. Abbassa lentamente le palpebre sugli occhi disperati. Li riapre sempre lentamente e lo sguardo si posa sull’orologio al muro che prosegue il suo tempo inesorabile e menefreghista come solo il tempo sa essere.
“ O gesù, sono le cinque….le cinque…e non ho dormito niente e fra qualche ora devo pagare quello…. e sto così male.
Devo sentire Giorgio, ecco cosa devo fare…Giorgio. Lui conosce quel tipo…quello col viso butterato….quello potrebbe farmi un prestito per pagare Repajic così lo stronzo mi consegna la merce e io torno nel giro. Col cambio di stagione……roba di classe….e ‘stavolta, giuro, giro di boa. Tiro la cinghia, niente villeggiatura, niente chiusura estiva, grossi saldi…qualche trucco e rifondo il debito…….liscio come l’olio. Gliela faccio vedere io a quella.”Ma quando cresci!……” con quella voce stanca e saputa. Ti faccio vedere io se cresco
Le mani attaccate alle braccia penzolanti cominciano a formicolargli. Le solleva lentamente muovendole per cacciare quel fastidio tremendo. Le appoggia sul tavolo muovendo le dita mentre sempre lentamente alza la testa e stende il tronco intorpidito. Stira la schiena alzando in alto le braccia, il collo ancora rigido. Lo gira da una parte e dall’altra mentre piano strofina le mani appiccicose di pianto e disudore sul cotone del pigiama delle cosce.
Una luce più chiara di primo mattina scivola dentro il buio della finestra. Marco fissa quel chiarore con gli occhi abbottati e rossi e allunga una mano a carezzare la testa di Bogart che uggiola piano.
Il bruciore si è attenuato. La secchezza alla bocca……”ora mi faccio una camomilla” sussurra. E la paura si è trasformata in una sorta di rassegnazione a la fatica che dovrà affrontare quel giorno.
E anche quella notte se n’era andata per ora.
Il ritmo svelto e incalzante del racconto cattura a tal punto il lettore che vede e sente Marco come se fosse presente alla scena descritta.
Martina la conosciamo solo attraverso le parole e i giudizi-in verità un tantino pesanti- che ci dà il suo compagno ma che sono sufficienti per non rendercela simpatica
Brava Laura, hai saputo descrivere veramente iin modo efficace e suggestivo una situazione così particolare!
Un racconto secco e incisivo. L’angoscia del protagonista ci monta dentro e all’improvviso ci sentiamo tutti Marco, immersi in una di quelle nottate che ci risuonano come familiari…Chi non è stato Marco almeno una volta nella vita?
Molto abile Laura Landi nel trascinarci in una sorta di attacco di panico per interposta persona. Merito della scrittura – attenta spasmodicamente al dettaglio – e del ritmo, che segue affannato il flusso di coscienza del protagonista.
Molto coinvolgente e realistico. Continua così.
Laura, è riuscita perfettamente a trasmetterci l’angoscia di un uomo,un uomo annientato e distrutto dalle fatiche della sua esistenza, quella che lo vede accanto ad una donna talmente impietosa e sicura di sé da non accorgersi del suo dolore, della sua sconfitta, della fatica di un essere umano che, in fondo alla sua anima crede ancora in una ripresa, in una possibile rivincita nei confronti di un mondo che non ammette repliche né riscatti dalle sconfitte. Brava, continua così.
Mi è piaciuta molto l’immagine delle mani sudate strofinate sul cotone del pigiama. In bocca al lupo!
Un racconto con un ritmo incalzante, asciutto, che concede pochissimo alla descrizione ambientale. Tutto concentrato sugli stati d’animo di un uomo in difficoltà, conduce il lettore attraverso l’evolversi di una crisi, il precipitare nella disperazione e la risalita.
Interessante il parallelo con il trascorrere della notte ed il trascorrere del dramma esistenziale e affettivo del protagonista. E domani è un altro giorno.
Bello e intenso.