Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2012 “Un piccolo litigio” di Federica Politi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

Dopo una notte densa di sogni, Francesca non riusciva ad alzarsi. Era in quella fase del risveglio dove regna la confusione: con la mente sei sveglia, mentre il corpo è ancora legato alla notte, è ancora schiavo del sonno e soprattutto non è del tutto certo di essere uscito dal sogno.

Con fatica aprì gli occhi. La stanza era nella penombra. Era mattina presto. Il sole stava per sorgere là, dietro il campanile di San Michele. Proprio non ricordava ciò che aveva sognato, restava solo una strana sensazione mista di stupore e amarezza che lentamente scivolava fuori dal suo corpo, attraversandone ogni fibra.

S’alzò. Bruscamente si ricordò del compito in classe di francese che aveva alle prime due ore. Si ricordò del litigio che aveva avuto con la sua migliore amica il giorno prima mentre cercavano di studiare e di come se ne fosse andata da casa sua sbattendole la porta in faccia. Si ricordò che avevano litigato per una stupidaggine, per una piccola gelosia nei confronti di Giulia, la sua amica, che era uscita con la più figa della classe senza dirle niente. Non voleva che la loro amicizia fosse esclusiva, però, sì, c’era rimasta male, perchè le aveva tenuto nascosta quell’uscita. Tra loro non ci dovevano essere segreti. Giulia non lo aveva capito. Avevano finito per litigare. Ed ora era troppo difficile tornare indietro. Era difficile recuperare un rapporto incrinato.

Guardò il cellulare e il quotidiano messaggino di “Buongiorno” di Giulia non c’era. Una punta di intenso dolore si espandeva veloce in pieno petto come una macchia. Erano inseparabili da quando, in prima superiore, si erano sedute vicine di banco il primo giorno di scuola. Da allora non era cambiato niente. Erano diverse ma vedevano il mondo con gli stessi occhi, pur andando verso direzioni opposte. Ed ora, non si sentiva più la stessa. Stupida. Una vera stupida. Che cosa le era preso per arrabbiarsi in quel modo.

Entrò in bagno strascicando i pensieri. Si vestì. Si diresse verso la cucina per la colazione. Sua madre neanche s’accorse delle ombre nel suo sguardo, così presa com’era da se stessa e dal suo lavoro. Suo padre, era già uscito di casa. La sera tornava sempre tardi, giusto per l’ora di cena, con uno strano odore dolciastro addosso e un’aria distratta, come se avesse la testa altrove. Sua madre nemmeno se ne accorgeva. Sua madre faceva finta di non accorgersene. Sembravano due vecchi conoscenti che la sera si ritrovano e dopo essersi raccontati il superfluo, ritornano ognuno alla propria vita. L’essenziale è invisibile agli occhi, come ha detto qualcuno. Anche i suoi genitori la facevano arrabbiare, ma al momento non aveva forze a sufficienza per combattere due battaglie. Quindi, inzuppò ogni pensiero nel caffè latte, sforzandosi di sorridere ogni volta che la mamma le diceva qualcosa, per aiutarla a placare il suo debole senso di colpa. La baciò sulla fronte e già era in camera a finire di prepararsi.Francesca s’alzò incredula del manicomio in cui si trovava a vivere. Indossò il giacchetto e con lo zaino alle spalle uscì sbattendo con forza la porta.

Camminava per le vie silenziose della città verso scuola. L’ansia, per l’imminente disastro che sarebbe stato il compito di francese, cresceva. Dopo il litigio non era più riuscita a studiare. La rabbia verso Giulia aumentava al solo pensiero di doverla vedere e di doverle sedere vicino. Poi, come un lampo che esplode nella notte, un’idea illuminò quei tristi pensieri, un’idea che mai l’aveva sfiorata. Un’idea che si nutriva d’ansia e di disperazione. Avrebbe fatto buca. O sega. O marinato. Insomma, non sarebbe andata a scuola. Uno slancio di ribellione le era esploso dentro. Era stufa. Era stufa di tutto. E di tutti. Questa mattina avrebbe fatto a modo suo: la scuola, sua madre, suo padre, Giulia e il fottutissimo compito di francese potevano andare tranquillamente a quel paese. La rabbia svanì com’era venuta. Fu pervasa da un senso d’euforia per la libertà che si prendeva con la forza, per la sensazione di proibito, per la paura d’esser scoperta e di dover affrontare nuove ed estenuanti discussioni che a nulla avrebbero portato. Era eccitata.

Era davanti Porta San Pietro. Doveva decidere dove andare. La scuola era vicina. Doveva allontanarsi, altrimenti qualcuno l’avrebbe vista. Decise di salire sulle Mura. Lì avrebbe sicuramente trovato un angolo riparato dove abbandonarsi alla musica e ai pensieri. Per fortuna l’inverno non aveva ancora bussato alle porte dell’autunno ed il sole era ancora in grado di circondarti in un alone di tepore.

Mentre saliva le arrivò un messaggio sul cellulare. Lo avrebbe volentieri ignorato, ma schiava della tecnologia, stava già stringendo il suo Nokia tra le mani, fissando lo schermo. Solo cinque parole. Solo cinque parole nere su un fondo bianco. “Scusa per ieri. Mi manchi.” Era Giulia.

In un istante tutta la rabbia, tutta la ribellione, tutta l’euforia di cui si era sentita investita, svanirono. In un istante era di nuovo una stupida: per tutte le parole che erano volate, per la meschinità dei suoi gesti. In un istante si sentiva una bambina stupida. Una lacrima le affiorò negli occhi, bagnando il suo sguardo e fu certa che l’unica cosa che voleva era far pace con Giulia. Voleva stringerla tra le braccia. Farsi consolare. Voleva sentire il profumo di cocco dei suoi capelli. Voleva vedere i suoi gioiosi occhi color nocciola e il suo splendido sorriso illuminare le loro giornate. Voleva Giulia.

Senza pensarci due volte, tornò indietro dirigendosi veloce verso la scuola. Non poteva fare tardi. Doveva sistemare almeno questa cosa nella sua vita. Questa cosa che, al momento, era la più importante. Aveva l’affanno ma non cedeva. Era quasi arrivata.  Poteva vedere il solito via vai di studenti, genitori, professori che precede l’ingresso. Il suo ritardo non era irrecuperabile. Poi mentre tirava il fiato, tra un passo e l’altro, la vide.

Era seduta sul motorino. Spostava lo sguardo dall’orologio al cellulare. Evidentemente aspettava la sua risposta. Era davanti a lei, ora. Lesse la sorpresa e la gioia nel suo volto. Non parlarono, ma s’abbracciarono il tempo di una manciata di secondi. Poi suonò la campanella e con il sorriso sulle labbra si diressero in classe.

La felicità di essersi ritrovate, anche solo dopo essersi perse per pochi momenti, era grande. Un poco si vergognavano. Non parlarono di quello che era successo. Semplicemente decisero di cancellare questo evento dai loro ricordi. Ma non fu possibile. Il tre del compito di francese glielo ricordò per parecchi giorni e rimediare a quello non fu facile come rimediare ad un piccolo litigio.

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