Premio Racconti nella Rete 2012 “Il sogno di un intellettuale” di Daniela Casini Manciocchi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012C’era una volta un Uomo, Docente di professione, Intellettuale per definizione. Vagava con grosse cartelle imbottite di libri, lo sguardo assente, la fronte corrugata, l’espressione assorta. Era convinto che i suoi simili non facessero abbastanza per il bene dell’umanità, che aveva bisogno di essere aiutata a elevarsi; perché per lui non c’erano dubbi: le capacità potenziali degli esseri umani erano uguali per tutti, ma solo alcuni riuscivano a metterle a frutto, mentre la maggioranza purtroppo le ignorava o non sapeva servirsene correttamente.
Invece egli riteneva giusto non solo offrire agli altri i risultati del proprio lavorìo mentale, ma anche sforzarsi di rendere tutti gli uomini intelligenti, o più esattamente intellettuali, cioè consapevoli di essere intelligenti e capaci di sfruttare la propria intelligenza; quindi era necessario trasmettere non soltanto nozioni, ma anche la passione per l’attività intellettuale. Secondo lui, qualcuno avrebbe dovuto imparare tutto, o quasi, per poter insegnare tutto a tutti, o quasi: solo così avrebbe potuto trasmettere agli altri gli elementi necessari per un’autentica crescita. Si lambiccava notte e giorno su come realizzare questo progetto, e già si vedeva calato nella parte di cavia intellettuale.
Ma come avrebbe potuto agire nel modesto intervallo della sua vita? Come avrebbe potuto leggere, ascoltare, vedere, capire tutto quello che c’era da leggere, ascoltare, vedere, capire? Per trasmettere agli altri tutto quello che aveva letto, ascoltato, visto, capito; o almeno formare discepoli capaci di proseguire la sua opera? Quanto tempo sarebbe occorso per raggiungere questo scopo?
Ed ecco finalmente la scoperta che rendeva attuabile il progetto, così geniale nella sua semplicità da far meravigliare che nessuno ci avesse pensato prima. C’era la scorciatoia, e il ragionamento teorico era dei più banali, ma quante scoperte meravigliose partono da principi apparentemente banali?
Se, mangiando, il nutrimento giunge al cervello attraverso le misteriose vie interne del nostro organismo… Se, mangiando, qualunque organo, compreso il cervello, si nutre… Se attraverso il cervello si nutre di conseguenza anche la mente… Perché non nutrire l’ intelletto direttamente con le sostanze che gli sono più congeniali? Basta stancarsi a mangiare da un lato e studiare dall’altro. Le due azioni andavano riunite in una che fosse più valida ed efficace. Quanto tempo risparmiato e quanti vantaggi per l’umanità! E quanta gloria per l’uomo che avesse osato questa rivoluzione!
Il Nostro si mise al lavoro con l’entusiasmo del neofita, teso a recuperare una perdita di tempo che durava da migliaia di anni. Disdisse gli impegni; si procurò un’enorme quantità di materiale; affittò, per custodirvelo, un magazzino abbandonato. Lui, che era sempre stato un individuo calmo e riflessivo, diventò tutto fuoco, energia, azione. Si ridusse a vivere in uno sgabuzzino. Nel capannone allineò tavoli e scaffali sui quali presero posto strumenti delle più varie fogge e contenitori di varia grandezza; approntò alambicchi di tutte le misure, barattoli dal contenuto noto a lui solo, vasellame, tegami, mestoli, pentole e fornelli. Allestì nel cortile un focolare; tutt’intorno dispose cataste di legna; e incominciò.
S’improvvisò cuoco e alchimista. Fece a pezzi pile di libri, disossò costole, ruppe, tagliò, triturò, polverizzò, mescolò. Bollì intrugli, filtrò decotti, rimestò per ore minestroni senza verdure e senza odori. Per le ricette della sua fantasia usò come condimenti antichi spartiti, spremuti e filtrati; usò come sale gli estratti di tutte le filosofie; le sue spezie furono le riproduzioni delle più belle opere d’arte, debitamente centrifugate.
Il succo di secoli di cultura fu concentrato in un tegame, in una scodella, in una tazza! E il Nostro odorò, assaggiò, ingollò, ingurgitò; la sua attività divenne sempre più frenetica, via via che il lavoro proseguiva. Più tempo sapeva di risparmiare, più voleva risparmiarne, in una gara esaltante fra lui e i secoli. La posta in gioco era la più alta che mente umana avesse mai osato formulare.
Finché, un giorno, mentre mescolava l’ennesima pozione, una mosca gli si posò accanto. Egli la guardò e d’un tratto egli seppe tutto di quell’insetto: seppe di sapere tutto di quell’insetto. Posò lo sguardo su una pietra sporgente dal muro e seppe tutto di pietre e cave e costruzioni e architettura. Guardò la sua mano e seppe ogni vena, ogni capillare, ogni tendine, ogni possibile malattia di quella mano. E così le nubi non ebbero più segreti per lui, né gli alberi e i fiori, né le stelle e i pianeti. Rievocò brani di musica e riconobbe ogni nota. Riprodusse a memoria particolari di sculture, di quadri, di templi mai visti. Assaporò dentro di sé versi e canti direttamente nella lingua in cui erano stati scritti.
Dovunque frugasse nella sua mente, venivano fuori sempre nuove cognizioni. Seppe formule matematiche delle quali non aveva mai capito il senso; teoremi e teorie scientifiche emersero dal suo cervello, dando nuovi significati ai concetti di spazio e di tempo.
Allora lo prese la frenesia di trasmettere agli altri quello che sapeva e il segreto per raggiungere il suo stesso livello di sapere: doveva spiegare per prima l’idea e come gli era venuta in mente, poi i procedimenti, i risultati. Bisognava organizzare una bella campagna pubblicitaria per portare all’attenzione di tutti l’importanza di questa scoperta, e bisognava stare all’erta: che nessun malintenzionato speculatore se ne servisse per loschi fini. Egli era stato ispirato da un nobile scopo, senza intenzione di servire partiti o governi: quando gli uomini fossero stati tutti come lui, sarebbero stati autonomi, mai più prede e vittime di organismi di potere: avrebbero goduto dell’unica autentica forma di libertà, e liberi sarebbero stati finalmente uguali e felici! Che mondo perfetto sarebbe stato!
Si vestì e s’incamminò per la strada poco frequentata che portava al suo rifugio.
Giunse di fronte all’Università, entrò, incontrò qualcuno dei suoi colleghi. Si avvicinò sorridendo, preparando una frase di saluto in greco antico o in sanscrito; ma farfugliò solo qualcosa d’incomprensibile. Insisté, ma quello che pensava non trovava via d’uscita. Gli altri si scambiarono sguardi d’intesa: sparito da oltre un anno all’improvviso, altrettanto all’improvviso ricompariva sporco, spettinato, balbettando frasi smozzicate… Egli tentò allora di scrivere quello che voleva dire; prese carta e penna, si sforzò, ma non riuscì a buttare giù il più piccolo appunto. Che gli stava succedendo? Si chiese. Eppure i suoi pensieri erano così chiari…
Riuscì a farsi accompagnare da un amico al magazzino, convinto che sul luogo stesso della sua iniziazione alla sapienza gli sarebbe stato più facile spiegarsi: l’emozione gli aveva giocato un brutto scherzo, si disse, ma nulla più. Ancora preda dell’esaltazione per i risultati ottenuti, non vide quello che l’altro vedeva; non vide lo sguardo attonito, l’espressione inorridita, quando lo introdusse nel suo rifugio. Dappertutto libri o resti di libri, sparsi in mezzo al sudiciume e alle ragnatele. Tegami sporchi, avanzi di maleodoranti intrugli… Una simile dimora, sommata all’aspetto del padrone di casa e ai suoi confusi balbettii, poteva avere un solo significato, e la conclusione non poteva essere che una.
Mentre l’ambulanza lo trasportava verso la Casa di Cura, che l’aveva preso appunto in cura, il Nostro rifletteva tristemente sul suo sublime sogno e sulla sua misera situazione presente. Dov’era fallito il suo piano così perfetto? Ed ecco, col senno così faticosamento ingerito, all’improvviso seppe che, se avesse saputo prima, non avrebbe mai tentato.
Gli uomini non sono ruminanti! Quello che mangiano lo digeriscono, espellono le scorie, e quello che assimilano rimane ben chiuso dentro di loro: non può essere rimasticato e trasmesso. Lo scibile ingerito aveva preso perenne dimora fra le pareti del suo organismo, sarebbe rimasto un affare privato fra il suo stomaco e il suo cervello. Ecco perché finora per imparare si era proceduto percorrendo esclusivamente le lente e incerte vie tradizionali!
Avrebbe dovuto convincere gli altri a imitarlo, perché in altro modo egli non poteva insegnare né dimostrare niente a nessuno. Ma ora il suo prestigio era irrimediabilmente compromesso: chi gli avrebbe dato retta? Se l’avesse saputo prima! Ma prima non si era mai occupato di problemi fisiologici, bio o zoologici. Tronfio del suo sapere in altri campi, non si era curato della propria abissale ignoranza in altrettanti.
E ora proprio l’eterna nemica lo travolgeva, punendo la sua superbia: lei che aveva sperato di sconfiggere, lei che ora si vendicava di lui, del più ambizioso e del più ignorante degli uomini, lei l’eterno male: l’ignoranza!
Il cancello del manicomio si chiuse cigolando alle spalle dell’ambulanza.
Bel racconto, scritto molto bene. Un’idea davvero interessante ed ironica per rappresentare la presunzione di superiorità dell’Uomo. Complimenti!
ho trovato il tuo stile molto scorrevole e la descrizione scivola facilmente rendenndo piacevole la lettura. il tema è molto interessante e il finale non tradisce le aspettative. complimenti.
L’eterna ossessione! Bello, veramente brava!