Premio Racconti nella Rete 2012 “Qualcosa di diverso” di Federica Politi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012Proprio non riusciva ad addormentarsi. Si girava e rigirava nel letto con gli occhi chiusi, con un disperato bisogno di dimenticare se stessa e magari scoprirsi diversa aggirandosi tra i sogni.
La casa era sprofondata nel silenzio. I suoi genitori dormivano, poteva sentire il ritmo regolare dei loro respiri alternarsi l’un l’altro attraverso la sottile parete tra le camere. Il letto vicino al suo, quello di sua sorella, era vuoto. Chissà dov’era. Sicuramente in un locale, circondata dai suoi amici, a ridere e scherzare. A volte invidiava la sua leggerezza di spirito, la sua capacità di comunicare anche solo con uno sguardo o con un sorriso. Sembrava che il sole sorgesse nei suoi occhi per tramontare sulle sue labbra. Lei, invece, si sentiva sempre avvolta nelle tenebre, tutto le appariva difficile ed irremediabilmente definitivo. Tutto era così pesante da sopportare, così indecifrabile da comprendere. Dentro sentiva un vuoto immenso, come una voragine che toglie l’equilibrio e procura un senso di vertigine costante. Stufa d’aspettare che Morfeo l’accogliesse tra le braccia, si tirò di scatto su a sedere, scostando le coperte. Nella penombra cercò con la mano l’interruttore dell’abat-jour. Scansò il tappeto cercando di rinfrescare i piedi bollenti sulle fredde mattonelle di ceramica. Lasciò lo sguardo vagare nella stanza. La sveglia segnava l’una e mezza. Era tardi: alle sette si sarebbe dovuta alzare. Il libro era aperto sul comodino: di leggere non aveva voglia. La tazza dove aveva bevuto la camomilla prima di mettersi a letto, era vuota: non aveva però dato buoni risultati, i suoi sensi erano svegli e attenti. I pantaloni del pigiama erano arrotolati a terra: le piaceva dormire a gambe nude, sentire la stoffa scivolare sulla pelle, sentire i piedi laggiù, proprio dove il lenzuolo s’infila sotto il materasso.
Qualcosa, però, cominciava a crescerle dentro. Qualcosa che prendeva, con velocità inaudita, il posto del vuoto che aveva proprio lì, sotto il petto, al centro della pancia. Era una fitta dolorosa che la divorava con una forza inaudita. Pezzo. A pezzo. Era disperata. Non era la prima volta che le succedeva. Mai era riuscita a superare questi attacchi. Avrebbe voluto piangere, ma questo era non era il momento. Balzò in piedi e si diresse verso la cucina. Non accese la luce. Guardò verso il frigorifero. S’avvicinò con passo deciso. L’aprì. Si fermò a vedere cosa conteneva: non che questo fosse importante. Con un’urgenza a lei conosciuta, si gettò su quello che vedeva, preda di una voracità spaventosa. L’importante era che nessuno vedesse: se nessuno vedeva, era come se questo non fosse esistito. Cominciò con gli avanzi della cena, pollo e pisellini. Mentre masticava, con lo sguardo cercava il prossimo oggetto del desiderio. Continuò con una merendina al latte. Era così veloce ad ingollare che riusciva a sentire i sapori per un breve attimo e il piacere che ne riceveva era effimero. Intanto aveva già scovato il barattolo della maionese dietro la lattuga ed era corsa nella dispensa a cercare un pezzo di pane. Aggiunse qualche oliva denocciolata. Non si sentiva ancora piena. Non era ancora soddisfatta. Aprì il cassetto sul fondo del frigo ed il suo sguardo s’illuminò: salame. Sfilò, silenziosa, un coltello dalla scolaposate e lo tagliò direttamente sul tavolo, attenta a non tagliare la tovaglia plastificata: non aveva tempo per cercare il tagliere. Mentre masticava chiuse il frigorifero. Si voltò e si diresse verso uno sportello della cucina sicura di ciò che voleva: cioccolata da spalmare, che raccolse con un indice. Si fermò qualche secondo a succhiare il dito. Sì, ora si poteva dichiarare soddisfatta. Aveva bisogno solo di un’ultima cosa. A piedi nudi, misurando con attenzione i suoi passi si diresse verso il bagno. Davanti alla camera dei genitori si fermò un attimo. Scrutò nella penombra: vide le sagome immobili dei loro corpi. Accertato dai loro respiri che ancora stessero dormendo, riprese a camminare verso il bagno. Entrò. Non accese la luce. Anche qui la luna piena che illuminava la notte, avvolgeva la stanza nella penombra. Si fermò davanti al water. Veloce, senza pensarci, si piegò in avanti e spinse quello stesso indice giù fino alla gola. Niente. Riprovò. Questa volta ancora più in profondità. Finalmente il primo conato di vomito e le ultime cose che aveva divorato già galleggiavano nell’acqua. Non era abbastanza. Non era tutto. Spinse altre volte il suo dito in gola fino a che non fu sicura che tutto era fuori dal suo corpo. La gola le faceva male. I suoi occhi erano rossi. Era stato lo sforzo. Ma non importava. Questo andava fatto. Tirò lo sciacquone. Andò al lavandino. Si bagnò il viso. Si sciacquò la bocca. Tornò veloce in camera. Chiuse la porta. Si sedette sul letto. Spense la luce e restò immobile. I suoi genitori continuavano tranquilli a dormire, non s’erano accorti di nulla. Era accaduto in pochi minuti ed era già passato, ma non dimenticato. Strinse i pugni in grembo. La furia rabbiosa da cui s’era sentita divorare, era sparita. Il vuoto era tornato ad abitare il suo petto, avvolgendo lo spirito, l’anima, in una terribile apatia, dalla quale era meglio non liberarsi. Almeno tutto restava fermo e immobile a galleggiare nel nulla. E nel nulla non c’è illusione. Nel nulla non c’è delusione. Il suo sguardo si fece umido ed una lacrima scese lungo il suo viso. Chiuse gli occhi. Si sdraiò a pancia in giù lasciando che il cuscino asciugasse le sue lacrime e soffocasse il suo pianto come aveva fatto già tante volte. Poi. Finalmente. S’addormentò.
Così, per poche ore, il dolore non abitava il suo cuore. Così, per poche ore, poteva nutrire la speranza di essere qualcosa di diverso.
Vuoto dentro, vuoto fuori: il dramma della bulimia descritto con poche frasi brevi. Bel racconto.
Un problema così forte e drammatico descritto in modo preciso e toccante con alcune frasi quasi poetiche.
Brava Federica! complimenti
Molto molto bello!!! Questo è un tema che mi tocca molto.
Complimenti.