Premio Racconti nella Rete 2012 “La famosa legge 100” di Letizia Croma
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012‘All’attenzione del Sovrintendente, del Direttore Generale, del Direttore del Personale…del..’
«A quell’ imbecille di direttore d’orchestra che hanno chiamato per buttare fumo negli occhi…ma essendo tale conta quale il due di briscola..», borbottò Evaristo con la penna serrata nella destra. Si sbottonò il papillon, buttò la giacca del frac sul letto, e sopra il violino…il suo caro violino compagno di vita e incarnazione di sogni e delusioni. Fortuna che era nella custodia, bello rintanato, con tanto di barometro e corde di ricambio arrotolate. Un violino che valeva comunque i suoi 50.000 euro….poteva sempre venderlo.
«Al diavolo, un coglione di ministro..». Gli faceva male la mano, lì dove aveva il callo dell’arco venuto a forza di suonare a ripetizione le opere di Wagner: buone per chi ha vent’anni e non si è ancora fatto venire la cervicale o la tendinite, per chi ha ancora speranze. Quelle invece cadono di colpo, prolassano alla prima assemblea sindacale quando si capisce che il datore di lavoro non è la musica. . «Ah..», si disse «quando arrivo alla quinta ora di Parsifal e aspetto la sesta, vorrei vedere il ministro Bandini come si appuntella sulla poltrona, quando ci sono già i melomani con la glicemia alle stelle dalle caramelle che hanno macinato…». E non osava immaginare cosa potesse succedere allora alla sua pressione arteriosa nella settima replica…..
«Che bel mestiere che fa lei…sapesse..», gli diceva il fornaio quando si andava a comprare la pizza alle sei del pomeriggio. Senza carboidrati alle sei, addio lucidità a metà del primo atto. Per il secondo c’era la mensa, se s’ingozzava prima che chiudesse. Bel mestiere si…
Si mise la testa fra le mani e fissò il foglio, non sapeva come proseguire, e quindi se la raccontava, d’altronde dopo una giornata con due spettacoli di fila c’era poco da razionalizzare:
il celeberrimo Teatro degli Stesi, gloria italica di fama internazionale, ora alle prese con il pareggio di bilancio…lì aveva fatto un concorso a ostacoli 34 anni prima, aveva vinto, aveva superato un periodo di prova, aveva suonato con i più grandi direttori, aveva imparato la Musica; lì dove il silenzio vellutato che precede l’ouverture gli faceva tendere i nervi e gli aveva sempre tenuto agganciato il respiro alla bacchetta. Si, quando c’era uno come Berstein, o Kleiber, o Giulini, mica certi puledrini imbottiti di se stessi, che scimmiottano quelli di cui non valgono un’unghia….un tempo vedeva le facce commosse della gente che applaudiva alla fine dei concerti, le facce di un ascolto rapito. Eppure al Teatro degli Stesi i grandi si erano passati il testimone, le pagine custodivano ancora le tracce dei commenti e delle volontà degli interpreti passati…e anche col trasformatore fuso, e la luce da morto sul leggìo Evaristo rivedeva i vecchi segni. Lì aveva ascoltato con le sue orecchie il significato musicale della parola cantata, lì c’era ancora la sagoma dell’arte disegnata con i vecchi lapis infilati fra i piròli, ma tutto questo era crollato sotto il peso del pareggio di bilancio. Sotto la volontà di uno che, costi quel che costi, trattava la materia come fosse una fabbrica di brugole….basta riempire la sedia, basta aumentare la produzione, basta ‘alzare il sipario’ basta strizzare il limone e quel che viene viene. Basta sia qualcosa che frutta. O qualcosa che si avvita.
E poi a ben vedere, chi guidava la baracca? Si era mai sporcato le mani con uno strumento musicale? Sapeva leggere un rigo di musica?
«No», si disse Evaristo, « l’ Esimio Sovrintendente, o quelli che se ne stanno col telefono in mano a contattare gli agenti, che ne sanno di come si cantano i sovracuti o di come si cava la musica da uno strumento, e da uno strumento serio? Certo che buttano giù i programmi come scaricassero i barili delle acciughe, ingolfano gli archivi e affastellano le pagine in base ai calendari delle forniture di una scenografia o alle ferie di un Regista, o all’operazione di calcoli alla cistifellea di un tenore, o ai tempi di noleggio di un soprano, o alle paturnie politiche delle giunte, o ai dadi dell’ambizione di un Faccendiere Artistico, noi a grattare violini o contrabbassi come fossimo juke box,e a soffiare nei tubi come si dovesse riempire la città di damigiane di vetro…tutti a sfruttare le ore di lavoro e poco importa di come viene il risultato, basta che produciamo…».
Evaristo guardò il papillon ingiallito, la giacca con le code scomposte: la sua divisa da operaio, anzi da manovale. Lui sapeva tutto: vedeva quando il direttore d’orchestra è un tronfio presuntuoso e impreparato, capiva quando si decideva di levargli le castagne dal fuoco giusto per non essere poi incolpati da alcuni tromboni di critici che di norma vanno dove soffia il vento, sentiva le stecche, se la rideva dei fischi, ci metteva la faccia. E quindi? Che forse il ministro Bandini aveva anche il diritto di toglierli l’unica libertà che veramente restava? Ossia la gioia di suonare quando cazzo gli pareva a lui??!
Si alzò dal tavolino con la penna che quasi gli si squagliava in mano, peggio che avesse tenuto in pugno l’arco durante tutto il pizzicato polka. Avrebbe sopportato tutto, ma quella restrizione del ‘blocco del permesso artistico’ era davvero troppo. E no perché avrebbe dovuto suonare fuori dal teatro, ma semplicemente perché avrebbe voluto sentirsi libero di suonare fuori dal teatro.
Invece no: la fabbrica di brugole gli impediva di avvitare alcunché fuori dalle sacre mura del Teatro degli Stesi. Non bastava che gli trattenessero lo stipendio qualora l’avesse fatto gratis, no no, sarebbe stato licenziato. Quindi visto che si sarebbe sposata sua sorella, avrebbe dovuto mettere un disco se il prete aveva dove attaccare la prolunga…..bella cazzata aveva sparato il ministro. Certo, fosse stato il funerale della suocera avrebbe suonato lo stesso a costo di essere licenziato: il gioco valeva la candela. Quella aveva avuto il coraggio di dirgli che il suo «non è un mestiere ma un divertimento», quindi gli pareva il minimo dimostrarlo al momento buono…ai morti si deve dare ragione,se sono solo stati ignoranti. Solo (?) ignoranti….
Allora, visto che non poteva suonare fuori dalle esimie mura del Teatro degli Stesi, avrebbe registrato il pezzo dentro il teatro….,poi avrebbe attaccato la spina sull’altare e in fine avrebbe fatto finta di suonare al matrimonio di sua sorella e sarebbero stati tutti contenti. Dal ministro alle zie.
«Si può fare…», aveva detto il delegato sindacale. « In Italia la burocrazia ha i suoi lati deboli….».
Guardò l’orologio: erano le due di notte, la mattina successiva c’era una ‘provettina’ alle dieci, veloce per farci entrare anche un’ altra ‘provettina’ generale di un balletto.
Si avvicinò al violino, aprì la custodia: il violino, che ormai lo conosceva e capiva al volo quando buttava male, lo guardava tremante, visibilmente terrorizzato, imbavagliato dallo straccio con cui andava pulito dalla pece. Evaristo ne ebbe pietà: «no, non ti vendo, e neanche posso insegnare a un altro a suonarti…», sospirò, «la legge mi vieta anche questo…tu invece che mi dici di fare?».
L’indomani il teatro degli Stesi licenziò Evaristo, perché i vigili l’avevano trovato a suonare la Ciaccona sotto le finestre del sindaco alle 4 di mattina: in compenso il sindaco si documentò su che cosa fosse esattamente la Ciaccona e, saputolo ma non dall’ assessore alla cultura, la trovò su you tube.
Attualissimo! In effetti chi gestisce la cultura in questo paese, spesso si è formato su wikipedia…… e, sempre in questo paese, è normale pensare che fare “l’artista” non sia un lavoro e che quindi non debba necessariamente essere retribuito….. Il racconto breve, efficace nel descrivere una realtà poco nota, ma che fa parte del quadro di decadenza dell’Italia. Brava.
Sinceri complimenti! Scritto benissimo. Non manca nè l’argomento (davvero attualissimo) nè la forma adatta a raccontarcelo. In bocca al lupo!
Molto carino!!! Vivace e irresistibilmente ironico!
Ironico e tragico insieme, e purtroppo attualissimo!
Bellissimo, scritto con grande ironia.
Verità con amara ironia, spaccato di una realtà musicale italiana, che evidenzia incompetenze, ottusità e storture in questo campo ma che fa parte di un sistema di una società ormai priva di lungimiranza, senso pratico, competenza, onestà e amore x il “bello”, x l’arte e x tutto ciò che eleva spiritualmente.
Complimenti vivissimi all’autrice! Bravissima!!!!
…Si potrebbe scrivere qualcosa di analogo per il mondo dell’arte e dei musei, senza dubbio. Questo racconto è scritto particolarmente bene, stile fluido, notevole agilità di linguaggio…e si sente la rabbia, in questo contesto è un sentimento positivo. Complimenti.