Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2012 “Dalla letteratura alla Toyota secondo le leggi del caos” di Edoardo Angeloni

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

Jean era un romanziere che lavorava presso una casa editrice parigina. Egli si sentiva perfettamente a suo agio nella vita intensa della grande città. Il contesto metropolitano non poteva non essere quello dei party, che con la loro noia riempivano buona parte delle sue giornate, ma era anche quello legato ad interminabili passeggiate che affrontava forse con animo più allegro.

Però solo il fatto di dovere raggiungere il luogo dove l’aspettavano i colleghi, gli rendeva il consueto itinerario un po’ più insolito. Il livello selettivo, con cui distingueva questi due modelli di vita diversi, le passeggiate e i party, era basato soprattutto dal modo in cui egli osservava i menu dei ristoranti; il vocìo dei camerieri lanciava con clamore le serate dei vip, ma nello stesso tempo rappresentava un termometro della vita di quartiere.

I suoi percorsi, dopo che la mattina si era alzato per recarsi al lavoro, erano abbastanza lunghi da costringerlo ad utilizzare la metro, ma spesso ne percorreva alcuni tratti a piedi per andare in ufficio, che si trovava a 4-5 isolati di distanza. Parigi aveva assistito impreparata all’invasione dei magnati russi, che avevano imposto il loro modo di fare nel commercio del lusso, anche con stravaganze trash ; ma il tipico uomo dell’Est Europa seguiva anche lui le leggi del marketing, non osando sottrarre ai francesi un certo ruolo dominante nel fare cinema.

Ora stavano riscuotendo lo stesso tasso di successo economico i cinesi, che avevano un rispetto per la cultura da non sottovalutare, soprattutto se esprimeva il dissenso o nello stesso tempo l’omologazione verso l’Occidente.

Il modo di vivere di Jean stava diventando in effetti molto abitudinario da apparire quasi un modello per qualche matematico, cultore dei frattali e della teoria del caos, e i suoi naturali compiti di scrittura rischiavano di venire deviati da questo tipo di tic. Ma è anche vero che la ricerca del bello stile la riscopriva a livello dialettico mentre attraversava certi quartieri, molto più in stile Hemingway che proustiano, tra una fermata della metropolitana e quella del bus.

Notava le novità nei bar, oltre che le scelte di offerta da parte dei negozietti di antiquariato, cosa che rendeva Parigi simile a Vienna, portando di fatto a dei paradossi che a livello antropologico sarebbero stati più comprensibili ad un Flaubert, se era lecito confrontare Madame Bovary alle donnine di Schnitzler e Joseph Roth.

Ma era giusto paragonare Flaubert e Roth? Il primo parlava esplicitamente dell’attrazione per una donna, ma poi improvvisamente tornava sui suoi passi, nascondendo in parte il suo interesse, presentando la classica situazione amorosa sotto l’aspetto della normalità. Roth esegue il procedimento contrario: parte dal modo di comportarsi del professionista o dell’impiegato per passare ad avances esplicite una volta che ha colto nella ragazza un certo savoir faire.

Se un austriaco, vivendo razionalmente la propria cultura e la stessa razionalità, è disposto a proiettarla intenzionalmente nei confronti di una donna, come del resto spiega Greimas a proposito del linguaggio pubblicitario, un francese vive con trascurato disordine la propria necessaria regolarità.

Inquadrando tutto ciò all’interno delle leggi matematiche della teoria del caos, astrazioni del genere potevano portare Jean ad apprezzare più la matematica che la letteratura. Di fatti, le tendenze artistiche lo portavano a valutazioni del genere, ma a prezzo di una pesante evoluzione antropologica.

Che la sua ispirazione letteraria si fosse abbastanza inaridita, era forse vero per alcuni aspetti ma non per altri; Jean ritrovava nelle sue passeggiate quei momenti di tranquillità che aveva tralasciato per un certo periodo di tempo, che, se si fossero potuti riallacciare alla malinconia proustiana, non mancavano di quell’autoreferenzialità propria di un Blanchot o un Barthes.

I bar dal nome altisonante erano allo stesso tempo sobri e spaziosi, inseriti con un certo gusto nel contesto architettonico del quartiere; i tavoli di plastica dai colori vivaci venivano illuminati dalla luce soffusa del locale. Distanziati fra di loro, concedevano una certa riservatezza ai clienti, mentre i poster richiamavano con un certo calore le pubblicità tradizionali delle birre.

Ma per questo fatto la serata al pub rischiava di diventare autentica solo se si assecondavano quei gusti tradizionali che rimangono tipici negli scozzesi. Ciò ripugnava ad una certa idea di grandeur , ma poteva rappresentare la soluzione per evitare la noia delle solite serate.

Un francese può preferire di essere considerato un austriaco, invece che uno scozzese; del resto il contesto antropologico rischiava di venire stravolto anche dall’invasione di africani e cinesi proprio nelle zone centrali del Beaubourg e della Torre Eiffel. Eppure tutto ciò non alterava la lettura della città secondo una visione classica dell’urbanistica, perché queste popolazioni, pur mantenendo il loro tasso di originarietà dovuto al paese di provenienza, avevano acquisito certi trend metropolitani.

Quindi non c’era da meravigliarsi se un Kundera poteva ergersi a giudice su certe regole del buon gusto, visto e considerato quante idee dell’Est europeo si infiltravano nella vita francese a livello di percezione del vissuto quotidiano.

la lettura del percorso cittadino stava procedendo secondo regole culturali abbastanza precise, ma quanto il partecipare ad una mostra d’arte giapponese poteva rappresentare un evento o era un fatto destinato a restare di nicchia? Ma tutto questo stava diventando per Jaen un modo di leggere le cose molto aderente al modello delle funzioni caotiche, che nel caso evolutivo rappresentano gli eventi nel loro habitat biologico. Ma ciò non era affatto estraneo al discorso dell’architettura.

Se Le Corbousier poteva essere esagerato definirlo un costruttore di casermoni, si poteva riuscire a recepire il suo modello artistico secondo una concezione classica o renana, secondo strutture vuote, modulabili, tipiche degli open space aziendali. Allo stesso tempo l’accettazione implicita del modello renano, almeno secondo un’idea superficiale di marketing, richiedeva un’assimilazione del modo di pensare tedesco che poteva portare ad un francese come Jean ad apprezzare maggiormente, magari solo per puro spirito di contraddizione, la Scozia.

Nonostante ciò, anche se la vita di Jean era profondamente intessuta di letteratura e filosofia, la sua vena ispirativa si stava inaridendo: ormai erano cinque anni che non riusciva a portare a termine la stesura di un romanzo. Per campare riusciva a fare qualche traduzione, scriveva qualche breve poesia che veniva regolarmente premiata ai concorsi locali, ma per quanto riguardava i romanzi incontrava seri problemi.

Come ho accennato, gli notava che molti autori traevano dalla matematica e dalla fisica non solo alcune idee geniali per arricchire il contesto, ma riproducevano il periodare della divulgazione scientifica per dare quel senso di realtà caotica, che la matematica spiega così bene a livello di formalismi.

Jean non sapeva se tutto ciò poteva rappresentare un artificio capace di rilanciare scrittori un po’ fuori moda, che così riuscivano a rientrare brillantemente nel giro, o se rappresentava invece un’evoluzione tendenzialmente dominante all’interno della letteratura. Teoremi sui numeri primi o argomenti di termodinamica sembravano ormai il fiore all’occhiello per vendere migliaia di libri, se uniti ad una storia sentimentale facile e scorrevole.

Ma per riuscire a modificare così forzatamente il suo stile, Jean avrebbe dovuto migliorare la sua preparazione scientifica, cosa che alla sue età non si acquisisce facilmente. Una soluzione poteva essere quella di farsi assumere in un’azienda come la Toyota per gestire ad esempio un ufficio vendite. Poteva essere un’idea che poteva aumentare radicalmente la sua competenza in contabilità, dandogli delle possibilità di successo che gli venivano anche dalle sue buone competenze filosofiche.

Infatti molte aziende preferivano assumere laureati in Lettere e Filosofia invece che in Scienze della Comunicazione per un certo tipo di preparazione più rigoroso. Jean era convinto che con le sue doti umanistiche non avrebbe sfigurato di fronte alla managerialità dei suoi nuovi colleghi. Ma l’acquisizione di una certa expertize gli avrebbe fatto capire il senso nascosto di una matematica che per ora gli sfuggiva.

Quindi Jean lasciò l’ufficio dove esercitava bene o male l’attività di traduttore e mandò il curriculum alla sede parigina della Toyota. Era solo per questo fatto un modo di far una scelta catarchica, bruciare tutto quello che rimaneva dl suo essere umanista per accettare con piena consapevolezza le vie della razionalità aziendale.

Si recò con entusiasmo nella sede del colloquio, una volta che gli esaminatori giapponesi considerarono buona cosa convocarlo. Jean era solito presentarsi all’ufficio vestito in jeans e giacchetta a quadri, con camicie fantasiose e cravatte sgargianti. Ora nella sede della Toyota indossava un completo sul blu che gli conferiva un’aria completamente diversa.

Egli cominciò a notare il cambiamento già sulla metropolitana: una ragazza lo fissava con interesse, poi lo interrogò su dove si trovava Place de la Concorde. Notava meno le vicissitudini dei bistrot  lungo le vie che stava percorrendo, una volta abbandonata la metro, per interrogarsi sul rapporto della politica francese con quella americana.

Infatti aveva sempre mal visto la politica Usa, ma l’accettare almeno ad un livello ideale gli schemi dei giapponesi lo coinvolgeva anche verso un certo consenso rispetto agli americani. Ne incontrava a frotte di turisti americani, come incontrava anche orientali: ma mentre prima ne notava la trascuratezza, nel senso che avrebbe dato Updike a questo termine, ora perché il parallelo che faceva gli faceva pensare ai meccanismi elettorali.

Egli non odiava indiscriminatamente la politica Usa, ma giudicava con gusto greve gli aspetti di corruzione che vedeva nelle attività di lobby; ma ora cominciava a trovare nelle coppie di fidanzati americani che incontrava per esempio agli Champs Elisées degli sguardi che gli conferivano un senso comune di cui pensava essere immune.

Cominciò a convincersi che il meccanismo delle preferenze elettorali Usa fosse migliore del maggioritario francese; in realtà vedeva sempre questa politica come un modo di elaborare modelli matematici capaci di giustificare i peggiori affari delle multinazionali. Eppure tutto ciò invece che disgustarlo  gli conferiva un nuovo modo di pensare.

I giapponesi erano molto interessati al suo curriculum, che era composto di 3-4 romanzi sentimentali di cui la stampa letteraria aveva abbastanza parlato, oltre da una più che buona conoscenza dell’inglese, qualche concorso di poesia vinto, un paio di saggi di argomento filosofico. L’ambiente della Toyota era composto da persone che inizialmente sembrava dovessero passare ore e ore a parlare di lavoro, ma poi improvvisamente si sfrenavano e cominciavano a gesticolare proponendo un’idea più umana di ambiente.

La lingua che parlavano era il francese, ma poi facevano capire che per il loro ambiente di lavoro era più indicato l’inglese. Ala fine Jean si accorse che stava vivendo una vera e propria mutazione antropologica: da intellettuale provinciale e sempre un po’ irritato verso il progresso, stava diventando un manager globale. Ciò gli provocò un cambiamento delle consuetudini ed un’alterazione di quelle certezze a cui aveva sempre creduto, forse non sempre con grande sincerità, ma tutto sommato pensando che portare avanti una determinata coerenza lo rendeva simile agli altri, e se ne poteva convincere anche se tutto sommato l’idea di grandeur era sempre stato un pensiero che lo faceva sorridere.

Cominciò ad assaporare la realtà, nell’aria che respirava le gelide mattine d’inverno, mentre aspettava la metropolitana insieme ad altre persone, quel modello di complessità che gli americani chiamano con qualche competenza “teoria dei giochi” o “matematica del caos”, ma che per i giapponesi è lo standard di vita delle attività aziendali.

Quindi si è già capito che la Toyota l’avrebbe assunto; c’erano troppi laureati in Scienze della Comunicazione che affollavano le sale dirigenziali per non fare apprezzare un vero filosofo ed umanista. Il contratto fu stipulato per la durata di tre anni, ma già dopo un paio di settimane Jean percepì che qualcosa era cambiato in lui.

Ora quando passeggiava in periferia pensava un po’ ai tempi in cui leggeva Le Clézio. ” Di notte l’aria fredda soffia sui caseggiati e sui parcheggi come su degli altopiani di pietre. Il cielo è nero, senza stelle senza luna, con la luce accecante dei grandi piloni di ferro che fa le sue chiazze sull’asfalto. Oggi, Lunedì di Pasqua la grande città delle Case Popolari è ancora più vuota, ancora più vasta. Il cielo è grigio, e c’è un vento freddo che soffia lungo il fiume asciutto, che risale tra le mura degli argini. La luce bianca delle nuvole brilla sulle finestre, fino al sedicesimo piano, fa delle specie di lampi che si muovono, delle specie di riflessi. Ci sono ombre pallide sui caseggiati vuoti”.

Jean amava proprio queste letture, che gli davano quel senso di consapevolezza che la sua tristezza a volte non era un modo di isolarsi, ma un qualcosa che legava ad una precisa scelta stilistica, che era simile agli italiani Montale e Calvino con cui condivideva il pensare latino. La bruttezza e lo squallore delle case popolari faceva da contraltare al gusto estetico che provava ad esempio ad inoltrarsi nelle vie affollate di Monparnasse.

Scrive Kundera in L’immortalità : “Agnes si disse: quando un giorno l’assalto della bruttezza fosse diventato del tutto insostenibile, si sarebbe comprata dal fioraio una violetta, una sola violetta, quello stelo delicato col suo minuscolo fiorellino, sarebbe uscita di strada e tenendolo davanti al viso l’avrebbe fissato spasmodicamente, per vedere solo quello, per vederlo come fosse l’ultima cosa che voleva conservare di un mondo che aveva ormai smesso di amare. Sarebbe andata così per le strade di Parigi.

Continuava a camminare: con l’orecchio destro registrava il frangersi della musica, i colpi ritmici degli strumenti a percussione che le giungevano dai negozi, dai parrucchieri, dai ristoranti, mentre nell’orecchio sinistro si riversavano tutti i rumori della strada: il rombo compatto delle auto, il lacerante frastuono dell’autobus che innestava la marcia”

Ma forse Jean si ritrovava soprattutto in questo brano dello stesso libro: “Il politico dipende dal giornalista. Ma da chi dipendono i giornalisti? Da chi li paga? E a pagarli sono le agenzie pubblicitarie, che per la loro pubblicità comprano lo spazio sui giornali ed il tempo alla televisione. La vendita del prodotto c’entra meno di quello che pensiamo.

Le agenzie pubblicitarie del partito comunista già da tempo hanno dimenticato lo scopo pratico della loro attività (far amare il sistema comunista) e sono diventate esse stesse il proprio scopo: hanno creato una loro lingua, le loro formule, una loro estetica, un loro stile di vita”.

Jean aveva certo molto amato il gusto montaliano di Le Clézio, ma quanto scriveva Kundera gli andava a finire nelle viscere. Egli aveva avuto avventure con ragazze dell’Est che a volte pensavano proprio come il personaggio di Agnes. Ma era molto diversa l’estetica dell’Est da quella parigina? Una bella ragazza francese si distingueva molto da una ceca e da una rumena?

Fosse stato un sentimentale forse avrebbe detto di sì, che la Patria si ha nel sangue, ma certe belle ragazze dell’Est gli facevano venire la voglia di tradire le relazioni un po’ più stabili che intratteneva con le parigine. Invece a volte metteva il suo lavoro davanti ai problemi sentimentali e pensava che dietro il marketing, come diceva Kundera, c’erano in fondo pagine e pagine anche di buona letteratura.

E tutto ciò lo riportava alla sua attività con i giapponesi: se il cambiamento indotto dalla mentalità delle ragazze dell’Est lo travolgeva nel suo consueto modo di vedere la città (ma in fondo Parigi e Praga non erano troppo diverse), il contatto con la complessità aziendale giapponese gli stava provocando somatizzazioni a livello genetico.

E’ come in biologia quando le farfalle da bianche diventano colorate per questioni mimetiche, e quando invece cominciano a svilupparsi anti-corpi che le trasformano in un qualcosa di geneticamente diverso.

Uno scrittore che ha colto perfettamente l’evoluzione in senso caotico (usando questo termine con una precisa valenza matematica) è Houllebecq in La carta e il territorio :  “l’unico segno di vita era lo scappamento di una Jaguar il cui motore girava al minimo sul controviale. Poi una donna in abito da sera uscì barcollando leggermente da un edificio e si accomodò a fianco del guidatore; l’auto si diresse in direzione dell’Arc de Triomphe.

Il silenzio totale calò di nuovo sul paesaggio urbano. Tutto gli appariva con una nitidezza insolita via via che un sole invernale e debole saliva fra le torri della Dèfense facendo scintillare il suolo immacolato dell’avenue. All’estremità del corridoio, sbucò in una vasta cucina arredata con mobili di alluminio che circondavano il piano di lavoro centrale di basalto”.

In quest’opera Houllebecq abbandona i vecchi stilemi per abbracciare con una certa coerenza una visione matematica tra il caos e i frattali. Le immagini dell’appartamento, arredato con un certo gusto ed amore del lusso, si sovrappongono alle luci ed i suoni della metropoli.

Jean sente che vorrebbe anche lui capire questo senso matematico, ma in fondo è destinato a rimanere un insoddisfatto, a preferire la bidimensionalità fredda e sterile di Le Clézio agli studi in 3-D. Ma un altro aspetto della sua vita che stava cambiando era l’anti-americanismo. Scrive Revel in L’obsession anti-américaine : “quali che siano i rimproveri che merita o non merita la politica americana sull’ambiente, bisogna osservare che il cuore del dibattito non si situi troppo in là.

L’obiettivo degli ecologisti occidentali è di rendere gli Usa, cioè il capitalismo mondiale, il colpevole supremo, cioè solo e unico, dell’inquinamento del pianeta e del surriscaldamento dell’atmosfera. Questi non sono più ecologisti , ma gauchisti. Essi non si interessano dell’ambiente nella misura in cui se ne servono per attaccare lo Stato liberale”.

A questo punto abbiamo delineato quali erano i riferimenti letterari di Jean, il suo cosiddetto back-ground culturale, come si rapportava più o meno coerentemente rispetto a certe sue letture. Egli cercava di mantenere nell’animo una scorza dura di difesa dei valori in cui credeva, ma ormai la vita nella Toyota l’aveva cambiato.

Aveva degli orari di lavoro che avevano stravolto il suo tran-tran metodico.Prima stava nell’ufficio di traduttore 2-3 ore, quasi per giustificare il trasferimento in metropolitana. Ora in Toyota stava 8-10 ore, curando la parte organizzativa.

Stava imparando a considerare la struttura aziendale come un sistema complesso, in cui cercava di vedere il livello di efficienza paragonando gli agenti economici a figure letterarie. La sua vision non aveva in effetti molta coerenza, perché così ragionando era rimasto più in sintonia con il modo di pensare dell’umanista.

Eppure nonostante ciò era stimato dai colleghi giapponesi. Era così destinato ad entrare nei meccanismi di una grande azienda, ma in cuor suo rimaneva ancorato alle procedure di un romanziere. Inoltre da quando si stava adeguando agli orari della casa giapponese. ricordava più spesso i brani della letteratura che amava, rifletteva su di essi e cercava di prendere appunti ovunque si trovasse.

Probabilmente non era l’ispirazione che gli stava tornando, perché la Toyota difficilmente ti trasforma di nuovo in romanziere di successo, ma ti concede qualcosa di molto vicino ad una riscoperta della memoria. Tanti fatti che aveva notato casualmente negli ultimi anni, ora stavano diventando immagini letterarie. Era come dimostrare che si fosse liberato dal peso di dimostrare di essere ancora uno scrittore vincente, ma che quello che respingeva dalla porta stava entrando dalla finestra.

Senza dover più essere all’altezza nel suo vecchio campo, anzi cambiando completamente orari e abitudini, stava ritrovando quell’attenzione ad ascoltare i silenzi e i cambiamenti di umore della gente che, da moti browniani dell’animo, stavano riacquistando un preciso senso letterario.

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