Premio Racconti nella Rete 2012 “Qualcosa di sua madre” di Silvia Tamarri
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012Quando aveva ricevuto la telefonata di Marco, suo fratello, già dal tono della voce, aveva immaginato tutto. Quella vaga stonatura tradiva un’emozione controllata e rendeva diverso il suo modo di parlare, solitamente impegnato a non far trasparire niente, come se, per stare al mondo, fosse indispensabile difendersi dalle emozioni. E con quella voce le aveva semplicemente comunicato che Lei, la loro madre, era morta. No, non aveva sofferto molto, il tumore scoperto a dicembre, se l’era portata via in pochi mesi, devastandole i polmoni, senza però toglierle il sorriso con la sofferenza.
Sara pensò che non aveva fatto in tempo a salutarla anche se aveva sempre temuto che sarebbe andata così.
La notizia era arrivata poco prima di entrare in sala prove, quindi aveva sopportato con pazienza le due ore con il Direttore che quel giorno, particolarmente insofferente verso i violini, aveva fatto ripetere alcune pagine di partitura un numero spropositato di volte, facendo sbuffare i coristi che, come al solito, intendevano risparmiare la voce durante la prova antigenerale. Sara comunque aveva eseguito , come sempre, al meglio delle sue possibilità, convinta che fosse il primo violino ad avere una giornataccia, forse perché stancato dalle estenuanti assemblee sindacali dove, in qualità di rappresentante degli orchestrali, aveva vivacemente espresso le ragioni della protesta che tutti i dipendenti del Teatro intendevano organizzare contro l’annunciata diminuzione degli organici.
Terminata la prova, era uscita velocemente dal Teatro Comunale, comunicando alla segreteria che aveva necessità di un permesso di almeno un paio di giorni. Aveva percorso le poche centinaia di metri verso il suo minuscolo appartamento e, dopo aver controllato l’orario dei treni su internet e riempito con poche cose uno zainetto, si era diretta verso la stazione.
Adesso era seduta in uno scompartimento in compagnia dei suoi pensieri, cullata dal dondolio dell’intercity.
Angela se ne era andata e non si erano salutate nemmeno. A gennaio, per il compleanno, era andata a trovarla trascorrendo con lei qualche giorno e avevano parlato un po’. Sua madre le aveva detto del tumore, ma molto serenamente, come se fosse qualcosa che avesse messo in conto e che, dopotutto, avendo vissuto a suo parere bene, poteva starci, come se, in qualche modo, la parola fine andasse detta. Ma Sara non si era immaginata che questa fine potesse arrivare così presto.
Non le veniva da piangere. Angela non si sarebbe mai aspettato che lo facesse, l’aveva amata senza chiedere niente in cambio e, per Angela, amare significava assolutamente dare senza ricevere. Per Angela amare era un concetto senza limiti, senza regole da rispettare.
Sara era stata la prima di cinque figli ed era capitata così per caso, perché Angela, al tempo giovane ventiquattrenne, sfacciatamente bella, si era innamorata di Mario, un bravo ragazzo del paese, forse un po’ ingenuo, ma buono che aveva subito proposto il matrimonio riparatore. A niente erano valse le proteste dei genitori di Mario che avrebbero voluto evitare come nuora una ragazza così bella e così generosa nel concedersi. La ragazza dagli occhi infuocati, il cui sorriso era un invito senza possibilità di diniego, non poteva certo imporsi la fedeltà di un contratto matrimoniale, ma il fratello di lei, Alberto, cercò di evitarle l’impegno di crescere un figlio da sola e la accompagnò all’altare sostituendosi al padre che li aveva lasciati orfani tanti anni prima.
La pausa dovuta alla sosta del treno alla stazione di Arezzo, la distolse dai ricordi, poi, il lento riprendere della corsa, le permise di continuare.
Pensava allo zio Alberto, impettito all’entrata della chiesa, con l’abito buono, orgoglioso di una sorella così bella, che avrebbe desiderato più bruttina, ma almeno più domabile. La loro madre, ovvero nonna Maria, distrutta da un esaurimento nervoso dopo la scomparsa improvvisa del marito, non era mai stata capace di gestire quella ragazza così ribelle e aveva lasciato il compito al figlio maggiore che aveva fatto quanto poteva, ma, non avendo l’autorevolezza di un padre, si era ritrovato più spesso a rimediare i danni che a cercare di prevenirli. Si era trovato persino a prendere pugni per colpa di una sorellina troppo vivace.
Il buon Mario si era pentito presto della scelta fatta e i troppi tradimenti della moglie, lo avevano fatto diventare un uomo diverso, corroso dalla gelosia e deluso dall’amore. Schiaffi e urli erano all’ordine del giorno e Sara lo ricordava molto bene. Suo padre non aveva mai avuto brutte parole per lei bambina, anzi, a suo modo le aveva voluto bene e, talvolta sembrava scusarsi per le sue scanagliate, ma la bellezza della moglie e gli sguardi degli altri uomini erano diventati per lui un’ossessione. Bastava che Angela passasse davanti ad una finestra di casa, magari con una camicetta troppo aperta davanti, che veniva giù il mondo. E Sara correva in cortile, lo attraversava e andava a chiamare lo zio Alberto, che con le sue parole, riusciva in qualche modo a calmare gli animi. Ma non ci riuscì l’ultima volta, quando Mario decise di andarsene e, forse, fu la decisione migliore, perché la testa prima o poi chissà quale drammatica sciocchezza gli avrebbe suggerito. E lasciò Sara che aveva 4 anni e Angela incinta di 4 mesi. La gravidanza era stato il motivo principale di quella lite, soprattutto perché Mario sospettava di non averne alcun merito.
E lo zio era diventato così l’uomo di riferimento in famiglia, o meglio, l’unico uomo che, in famiglia, rimaneva stabilmente. Purtroppo sua madre era così. Passionale si direbbe in teatro, ma a scuola, i compagni di classe, si lasciavano scappare definizioni diverse e non era una cosa piacevole.
Quindi era nata Lisa, una bambina bellissima, bionda, con gli occhi azzurri, ovvero, completamente diversa da lei, che infatti, con la sua capigliatura castana e gli occhi castani, somigliava molto a suo padre Mario. Probabilmente anche Lisa somigliava a suo padre, ma non si era mai fatto vivo, nemmeno per dare un aiuto economico che, al tempo, non avrebbe fatto male.
Successivamente era nata anche Giulia, meno bella di Lisa, ma con due occhi verdi inspiegabili, nel senso che, in famiglia non si erano mai presentati come caratteristica genetica. Per non parlare poi dei folti ricci rossi, chissà da dove venivano.
Quindi era stata la volta dei gemelli, Marco e Luca, che almeno si somigliavano come gocce d’acqua e, questa volta, grazie ai cromosomi materni, potevano portare orgogliosamente quegli occhi neri dalle ciglia folte che ricordavano perfettamente gli sguardi infuocati di Angela. Anche se, a dire il vero, quella carnagione così scura, la loro mamma non l’aveva proprio.
Zio Alberto… se non ci fosse stato lui. Sara ricordava benissimo il Natale dei suoi cinque anni. Lisa era appena nata e mamma non aveva un soldo, però lo zio, immaginando che la nascita di una sorellina potesse rappresentare un problema per lei, le aveva chiesto quale regalo desiderasse da Babbo Natale. La risposta che diede fu l’inizio di una svolta, anche se, per l’età che aveva, non poteva certo immaginare le conseguenze di quel suo desiderio. La domenica precedente, partecipando alla celebrazione della messa, aveva ascoltato il suono di un violino, chiamato ad accompagnare la ricorrenza di un venticinquesimo di matrimonio. Quel suono così triste e intenso le aveva fatto uscire una lacrima dagli occhi e non aveva saputo spiegarne il motivo. La melodia le aveva percorso tutto il corpo e non era stata capace di capire se quelle note avevano fatto effetto più allo stomaco, al cuore o alla testa. Era una bambina e aveva solo ascoltato qualcosa di bello che avrebbe voluto ripetere per se. Doveva solo capire come fare. Per questo aveva risposto allo zio che per Natale voleva imparare a suonare il violino. Lo zio ne era rimasto colpito e con entusiasmo aveva iniziato a cercare una scuola di musica che impartisse lezioni di violino.
Grazie zio. Lo ripeterò sempre, pensò Sara. Fu lo zio ad occuparsi delle lezioni di musica, la portava in orario e l’aspettava fuori dall’aula per riportarla a casa, perché la scuola si trovava nel comune limitrofo e non meritava far troppi viaggi di andata e ritorno. E anche ai saggi di fine anno, lo zio era sempre lì, insieme alla mamma, ma orgoglioso forse più di un padre. E c’era anche per il suo primo concerto importante, ad ascoltarla ed applaudirla – è mia nipote – diceva con gli occhi lucidi. Ma c’era anche sua madre, contenta, orgogliosa e bellissima, come sempre.
Interpretare quanto sta scritto su di uno spartito, richiede una dedizione notevole e la passione che muove il musicista fa la differenza nell’esecuzione, la sensibilità dell’artista distingue l’esecutore di un pezzo dall’interprete dello stesso. La passionalità di Sara era stata incanalata tutta lì, sulle corde di un violino solleticate da un archetto, si era esclusa altre forme con cui manifestare l’intensità delle sue emozioni. Come se fosse necessario per scontare i peccati di sua madre, perché desiderare gli uomini, anche di altre donne, era un peccato, così diceva il parroco del paese, incalzato dalla comunità che, nonostante il boom economico e qualche apparecchio televisivo in famiglia, non era ancora pronta a rivedere i propri valori. La gioia di vivere per Angela significava assecondare i propri desideri e non si preoccupava di vivere in un paese piccolo dove la libertà di una donna non poteva essere compresa, ma veniva piuttosto giudicata e anche aspramente. Ma per fuggire queste voci, Sara se ne era andata per seguire una strada difficile, la musica, suo rifugio e sua unica possibilità di riscatto da una vita di provincia. Stessa cosa aveva pensato Lisa, sua sorella, ma utilizzando come unico strumento la bellezza, aveva finito per diventare lei stessa uno strumento in mano ai cattivi maestri del patinato mondo della moda, che vuole la giovinezza e quando questa termina, scarica corpo e anima senza nemmeno un grazie. Si sentivano ogni tanto, ma Sara non riusciva a sopportare le bugie di Lisa, sui contratti di lavoro, sulla dieta corretta – no, non pensare che sia anoressica – , sull’ultimo uomo che era quello giusto. Si chiedeva spesso se fosse suo compito darle una mano, ma poi si giustificava pensando che sua sorella, essendo maggiorenne da molto tempo, avrebbe potuto non accettare alcun consiglio. E, in fondo, chi era lei, Sara, per poter dare consigli.
Chissà se Giulia si presenterà al funerale. C’era stata una lite tra Giulia e la loro madre, tremenda, si erano dette di tutto, come se un cumulo di odio represso si fosse improvvisamente deciso a franare. Era successo tanti anni fa, Giulia se ne era andata, fuori dall’Italia per rispettare quanto si era ripromesso, tra te e me ci dovrà stare un mare. E infatti aveva addirittura scelto l’Oceano Atlantico come barriera definitiva e si era avventurata in America, negli Stati Uniti. Inviava solo cartoline con su scritto: sto bene, ho cibo a sufficienza e un lavoro. Non mi manca niente.
E invece a Sara, Giulia era un po’ mancata. Quelle sue belle risate rumorose e contagiose, tra le efelidi e i ricci rossi. Ma era come se fosse solo transitata nella sua vita, come gli uomini di sua madre, che rimanevano quel tanto che bastava a non illudersi che potessero diventare padri adottivi. Non ci si poteva affezionare, gli unici affetti stabili erano quelli di mamma e di zio Alberto.
Probabilmente i gemelli sarebbe stati lì, per dirigere tutte le pratiche della situazione. I piccoli che ormai non potevano più dirsi tali, erano rimasti sempre molto vicini alla mamma, soprattutto dopo la morte dello zio. Forse, da un certo punto di vista, erano stati un poco più fortunati perché il loro padre si era in qualche modo occupato di loro, da lontano perché già padre, ma sufficientemente facoltoso da potersi permettere il mantenimento di due famiglie. Così, Marco e Luca avevano potuto studiare, laurearsi e aprire uno studio legale di cui andavano particolarmente fieri. In un certo senso ammirava quella loro sicurezza di sé, quel sentirsi sempre dalla parte del giusto, pieni di certezze, di obiettivi definiti. Lei invece era sempre piena di dubbi e certe giornate risultavano pesanti da affrontare. «Sei la mia bambolina triste» le diceva sempre Angela riempiendola di baci come se fossero la cura adatta ad eliminare qualsiasi incertezza, qualsiasi pensiero negativo.
Il treno iniziò a rallentare avvicinandosi alla stazione del paese. La primavera era esplosa con i suoi colori nei campi, con lo svolazzare dei pollini nell’aria, con il sole indeciso ma quasi caldo. Scese dai gradini della stazione e si avviò verso casa. Riconobbe da lontano il glicine fiorito davanti casa, sopra la porta di entrata. Lisa l’aspettava fuori, con una sigaretta accesa. Sembrava avesse pianto ed era magrissima. Marco e Luca l’abbracciarono senza nascondere le lacrime. Giulia aveva inviato una mail dicendo che non sarebbe arrivata in tempo per il funerale, ma che sarebbe tornata per qualche giorno appena possibile.
Angela era stata ricomposta in una bara, aperta, tra la seta e un mazzo di rose rosse come piacevano a lei. Il viso sembrava sereno ed era stata vestita con un abito azzurro, il suo colore preferito. Bella anche nella morte e, forse, ancora troppo giovane per terminare la sua storia.
Sara le guardò le mani, lunghe, con le dita ben delineate, magre e leggermente nodose, poi guardò le proprie: lunghe, magre, nodose, con tendini e vene in rilievo. C’era, c’era davvero in lei qualcosa di sua madre, le stesse mani. E, finalmente, le venne da piangere.
Bello Silvia hai presentato un argomento difficile da un punto di vista unico come quello della rete famililiare mi hai ricordato una poesia bellissima di Margherita Guidacci “Stella Cadente” il tuo racconto e’ proprio delicato come quei versi brava.
Bellissimo e nel contempo poetico.Molto brava la scrittrice nel racchiudere in un racconto la storia di una famiglia e parlare dei sentimenti veri e autentici della protagonista.
Fin dalle prime righe sono stato rapito dal racconto e il mio cuore si e’ aperto anche se solo per pochi minuti, il tempo di leggerlo, per respirare quella poesia e aria fresca,
che purtroppo oggi, ingranati in un sistema pieno di nichilismo, ci manca.
Grazie veramente di cuore.
Il mondo ha bisogno di persone come te. Non e’ vero che bisogna arrenderti agli eventi negativi che stiamo vivendo, ma la speranza in un mondi migliore deve necessariamente esserci. E sono le persone come Sara che alimentano questo sogno e capovolgerlo in una realtà diversa per tutti.
Un bel racconto, commovente e denso, tanto che potrebbe essere il fulcro di un storia più lunga ed articolata. Pensaci Silvia, potresti avere la possibilità di approfondire tutti i personaggi che nello spazio breve del racconto s’intravedono, è un’ottima idea narrativa.Auguri!
Grazie per i vostri commenti. Grazie Francesca, il consiglio che dai mi è stato suggerito anche da altre due persone. Forse dovrei pensarci sul serio. Chissà. Auguri anche a te!
Sono d’accordo con Francesca. Una costellazione familiare ricca, complessa e difficile, ma a mio parere una storia troppo densa di personaggi emozioni sentimenti conflitti per poter vivere al meglio in uno spazio così ristretto. Si vorrebbe saperne di più. Auguri.
Dal tuo commento sono capitata al tuo racconto. Ti ringrazio e insieme ti faccio i complimenti, è scritto molto bene.
Concordo in pieno con chi ha commentato prima di me: forse ogni personaggio meriterebbe lo spazio di questo racconto.
Auguri!
Bellissimo racconto! In poche righe hai descritto pienamente i personaggi, i loro sentimenti, la loro forza e la loro debolezza. Anche a me piacerebbe saperne di più!
Giuliana Ricci
Avevo letto qualche tempo fa questa encomiabile raffigurazione di pensieri davanti ad una morte che sa di vita e ti arricchisce. Complimenti, Brunello
Poetico, Silvia. Eterea, dolcissima e malinconica rappresentazione – realistica, davvero – di un ambiente familiare complesso e variegato. Complimenti per la delicatezza con cui hai affrontato il tema – d’accordo con Daniela: la storia meriterebbe un respiro più ampio. Brava!… Tifo per te. Nikki
Mi associo al coro degli elogi aggiungendo che mi pare di vedere l’embrione di un ottimo romando di formazione (mi pare si definiscano così, no?) e che una frase mi ha fatto riflettere molto, cosa che mi capita raramente e sono con romanzi i cui autori sono generalmente mostri sacri.
L’unico appunto che ti faccio, Silvia (sempre da avvocato del diavolo), è di rivedere l’uso della punteggiatura: qualche virgola qua e là a dividere il soggetto dal verbo.
Mi ha colpito molto il senso di estraneazione della protagonista, che subito dopo aver ricevuto la notizia si comporta come se fosse stordita dal colpo. Credo che questo sia uno dei punti di forza del racconto. Che la protagonista agisca in modo automatico, pensando al lavoro, anzichè disperarsi è molto umano. Mi ha ricordato la storia di una ragazza che conoscevo che persa la madre da giovanissima , sempre per malattia, la sera stessa si impuntò perchè voleva andare a mangiare la pizza. A volte lo shock della perdita, anche se annunciata dalla malattia, è talmente forte che vince la rimozione sul dolore, ci si rifugia negli automatismi del quotidiano cercando di allontanare il momento in cui si dovrà fare i conti con la realtà. Grazie per la bella lettura.
Mi piace molto il tuo racconto, in particolare alcune frasi molto intense.Fra tutte quella all’inizio che accenna alla apparente necessità di difendersi dalle emozioni per poter stare al mondo.Colpisce molto, pur sembrando quasi buttata là. Solo alla fine ci si rende conto che condensa forse il senso del racconto, così come lo condensano le lacrime che finalmente riescono ad uscire per esprimere il dolore.
Credo che i nostri racconti abbiano alcuni punti in comune , ad esempio, l’importanza delle relazioni familiari, ma soprattutto il valore dato all’arte (nel tuo caso la musica, nel mio la pittura) come possibilità di edificazione, riscatto o quant’altro. Hai già lasciato un tuo commento sul mio racconto per bambini, di cui voglio ringraziarti enormemente, ma, se ti va, leggi anche “Aurore boreali” e fammi sapere cosa ne pensi.
quasi una saga famigliare compressa nello spazio di un racconto. la compressione in genere reca densità e a volte torbidezza, sacrifica la luce per un risparmio di spazio. nella musica avviene diversamente: la compressione applicata a un suono ne moltiplica la potenza e la precisione, senza fargli perdere in definizione. in questo racconto accade lo stesso. il personaggio principale è costruito in negativo, attraverso le vicende della sua famiglia, riesce a trovare spazio negli spigoli, dove le storie degli altri non combaciano, ma la sua voce si sente forte e molto precisa.
Ho già ringraziato molti di voi via mail e devo dire che i vostri commenti mi hanno fatto molto piacere. Antonello, il tuo commento mi fa capire che forse sono riuscita a rendere quanto avevo in mente. Si, leggendo il tuo racconto, anche io ho pensato che potesse avere qualche affinità con il mio: c’è una famiglia, ci sono affetti, ci sono incomprensioni forti, ci sono figure importanti, ci sono comprimari….
Ciao!
Silvia, che dire di più? Senza dubbio l’argomento è intenso, ricco di emozioni, personaggi, stati d’animo, descrizioni. Concordo pienamente con gli altri commenti. Sei proprio brava.
Limitarlo ad un racconto, scritto benissimo, può lasciare un pò in sospeso il lettore. Certe caratteristiche dei protagonisti, unite alle loro dinamiche di vita, approfondite, potrebbero produrre un bel romanzo moderno su un atipico gruppo di famiglia.
Complimenti sinceri e in bocca al lupo
Rita G.
Bel racconto, dove anche bei ricordi accompagnano la protagonista, nel viaggio verso casa, nel giorno più triste.
Mi piace questo racconto, pieno, articolato e affascinante. ricco di spunti e di argomenti anche spinosi trattati con fermezza e soavità. Brava!