Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2012 “Lamento per la morte di Augusto” di Giuliana Moro

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

Domenica 16 luglio 2006

Augusto se n’è andato. Solitario e silenzioso com’era vissuto.

Si è accasciato sul sagrato della chiesa, all’uscita dalla messa pomeridiana della domenica, senza in grido.

Chissà se i pensieri, i desideri, le paure, se ne vanno subito via dal corpo inerte, abbandonato sui ciottoli scuri, o se indugiano un po’, sperando che la vita ci ripensi e ritorni indietro, almeno per un attimo.

Chissà se rimangono lì intorno, spettatori curiosi.

Le grida convulse, il prete che impartisce l’estrema benedizione, odore di incenso, il suono inutile della sirena dell’ambulanza, il caldo di questo luglio che richiama il pensiero di vita, di colori accesi, di fiori profumati, di insetti che fanno scorta di polline, di un gelato alla frutta, di anguria fresca e dolce da mangiare sotto la pergola.

Chissà se invece se ne vanno subito, in un luogo senza tempo, vagabondi in un posto senza spazio o si disperdono nell’aria calda dell’estate e volano in alto a formare le nuvole.

Chi lo sa che le nuvole non siano altro che i pensieri delle anime morte, tanto più grigie e cariche di pioggia quanto più il dolore e la solitudine devastavano il vivere.

Che la pioggia non sia altro che pianto che ricade sulla terra a rinfrescare l’estate, a rinverdire i prati ed i boschi, ad abbeverare la campagna, a riempire i fiumi. Perchè il dolore non sia stato vano ed il lungo viaggio lo trasformi in acqua chiara cosi’ che quelli che se ne sono andati, possano ritornare dentro la vita e far si che la vita continui a vivere.

Alla messa, Augusto aveva fatto scorta di preghiere, di litanie stonate, di sventolii con la carta della messa per alleviare il calore, di odore caldo di cera di candele.

Aveva salutato con un cenno del capo le persone, nessun forestiero al rito vespertino, tutta gente di paese, comuni avventori di una mensa dove sentirsi meno soli.

Poi, all’uscita, a parlare del caldo, del raccolto e della macchina nuova, azzurra come la primavera, comprata solo ieri, piccola, per percorrere le strade di paese, chè le grandi strade facevano paura. Correvano tutti così veloci, così impazienti, senza rendersi conto che non prendersi il tempo è accorciare la vita.

Il dolore forte, improvviso, un attacco vigliacco, da cacciatore di frodo.

Non c’è il tempo per chiedersi perché di quel liquefarsi dei colori, di quel buio improvviso, squarciato da pennellate rosso fuoco. E tanto rumore.

Augusto ricorda il rumore cupo del tuono e il lontano richiamo della madre a far presto a raccogliere il fieno.

Ricorda il rumore della grande trebbiatrice arancione sull’aia e le mille pagliuzze dorate che volavano alte. Coprivano il selciato e i corpi sudati del contadini che affannati caricavano le spighe preziose con ampi gesti sapienti.

Ricorda l’allegria del ragazzo che era, dentro le estati come quella di questo pomeriggio, e tutti i colori come solo la giovinezza e l’estate sanno avere.

Il rumore si acquieta.

Suoni lontani ed indistinti, volti che si sovrappongono, parole cui non riesce a dar voce.

E poi più niente.

***

Forse, come quasi sempre la domenica, contava di fermarsi al bar per ancora un paio d’ore, un partita a carte, quattro chiacchiere.

Sarebbe tornato poi in quella casa vuota che è in fondo alla strada che là finisce e non porta più da nessuna parte. O forse lontano adesso, distante dal suono del mondo, dall’abitudine del vivere, dai desideri sofferti e mai esauditi.

La casa è in fondo ad una strada che è quasi un viottolo; un tratto asfaltato, un altro lasciato bianco così che chi arriva lo indovini da distante, dalla polvere che si alza e che forma una nuvola che, accompagnando la curva, somiglia un po’ ad una stella cometa, prestata dal cielo.

Davanti alla porta della cantina, sotto l’ombra del pero, il cane lo avrebbe aspettato, mugolando di piacere al sentire il rumore della macchina, sbatacchiando la coda sulla terra appena lui fosse stato un po’ più vicino.

La ruvida carezza, il discorrere con parole antiche; il cane che lo segue fin davanti al portoncino di ingresso.

L’animale si siede, la coda corta come un ventaglio a muovere l’aria, aspetta che il padrone armeggi con la chiave poggiata sopra la rientranza di una finestra.

La cena insieme, dividendo il pasto che il cane ha sempre apprezzato, senza mai avere niente da ridire.

Nessuno dei due aveva mai niente da ridire.

***

Su quello stesso sagrato, per tante domeniche, Augusto aveva atteso che la messa delle 11,00 finisse.

Appoggiato alla colonna della canonica, di fronte al portone della chiesa, guardava i gruppetti di giovani donne che ne uscivano, chiacchierando e ridendo e le più dirigendosi verso la custodia delle biciclette, poco più in là.

Avevano grandi gonne a fiori che la sottogonna inamidata rendeva più larghe, corpetti aderenti su floridi petti, chiusi da bottoni rivestiti dello stesso tessuto del vestito, con modeste scollature.

Al collo la catenina d’oro e la medaglietta con l’immagine della Madonna, dono della madrina della Cresima.

I capelli per lo più lunghi, raccolti a chignon con pettinini e forcine ad abbellire la pettinatura. Sulle labbra un accenno di rossetto ed un po’ di cipria sulle guance.

Gli occhi brillavano, spavaldi di giovinezza e bramosi di vedere il mondo, oltre la chiesa ed il paese, di specchiarsi negli occhi anch’essi ridenti, del giovane uomo di cui avevano tanto sognato, parlandone di nascosto dalle madri, con la malizia fresca e naturale del proprio tempo.

Augusto nella mano stringeva il biglietto, carta di quaderno a righe per scrivere dritto, per scrivere parole di ammirazione e di desiderio di conoscenza: “Signorina, gradirei conoscerla meglio”.

Non ho mai chiesto ad Augusto se li avesse consegnati, i biglietti. O se li avesse tenuti in tasca e stretti così forte tra le mani da renderli impresentabili e così di non poterli consegnare.

Veniva a casa mia di solito il mercoledì. Mi chiedeva se avevo fatto i compiti, se avevo qualcosa da studiare.

Capivo cosa voleva dirmi; trovavo il modo di distrarre mia madre.

Andavamo in camera mia ed evitavo di guardarlo negli occhi.

Qualche volta, il solo incrociare il mio sguardo, lo faceva arrossire. Allora inventava una scusa e usciva dalla stanza, rivolgeva alla sorella vaghe scuse e se ne andava.

Scrivevo il biglietto per Anna, grandi occhi scuri e il viso luminoso e anche lei gonna a fiori e profumo di primavera.

Lui poi lo avrebbe copiato, che non si capisse che c’era un’altra mano a suggerire le parole.

Per Anna di biglietti ne ho scritti tanti: parole gentili per invitarla a fermarsi fuori della messa, per parlare un po’.

Non ricordavo ad Augusto che già la settimana scorsa ne avevo scritto uno di biglietto, che i complimenti e le parole per esprimere il desiderio di parlarle si somigliavano tutti, cambiava qualche aggettivo, la punteggiatura, ma il senso rimaneva quello.

Anna doveva sapere a memoria ormai, il contenuto di quei biglietti, ma forse lei di questi messaggi non ne ha mai letto uno.

Io continuavo a scriverli fingendo che fosse il primo, lui a copiarli e forse a stropicciarli nervosamente dentro la tasca.

***

Se n’è andato in questa domenica di luglio ed erano tanti anni ormai che non scrivevo un biglietto per Anna. Lei non avrà mai saputo di questo amore.

Un sentimento che gli riempiva gli occhi di luce e gli faceva morire la voce dentro la gola così che, a risalire e farla diventare parole, passava il pomeriggio.

Il sole faceva in tempo a sciogliersi all’orizzonte e noi lo vedevamo dalla finestra della mia camera da dove si intravedevano le sagome scure dei colli.

Aveva occhi buoni Augusto e modi gentili.

Aveva il rispetto dei sentimenti e la paura di raccontare i suoi, quasi che fossero così fragili e vulnerabili, da infrangersi.

Io e lui non ne abbiamo mai parlato negli anni a venire.

Abbiamo mantenuto così forte il segreto che non ce lo siamo confidato neanche a noi, che, soli, sapevamo.

Augusto, solitario e silenzioso, se n’è andato in un caldo pomeriggio d’estate. Sul sagrato una mano gentile ha posato un fiore.

Loading

3 commenti »

  1. Una bella storia, ben scritta. Complimenti.

  2. Bello e struggente. Un racconto colmo di sentimento e scritto molto bene!

  3. Complimenti davvero, mi sono commossa. Grazie….mi piace commuovermi leggendo.

Lascia un commento

Devi essere registrato per lasciare un commento.