Premio Racconti per Corti 2012 “L’ombrello giallo” di Elisabetta Micali
Categoria: Premio Racconti per Corti 2012Metto le tazze sul tavolo, un bel mogano inglese lucido e di prima patina, senza tovaglia né tovagliette. Sbattono sul piattino e poi il colpo sordo della teiera bollente. Sono i rumori d’inizio.
Il padre di Anna rientra in casa. Ha lavorato in giardino nello schiarire dell’alba; il tac secco delle cesoie sul legno dei sugheri e il crac crac del rastrello sulla ghiaia sono diventati il sottofondo dei miei sogni del mattino. Anna esce dal bagno. Mi siedo a tavola. Veloci rigoverniamo tazze, piatti e i coltelli grassi dal burro della colazione. Andiamo in spiaggia in macchina con la spazzatura nei sacchi neri sul sedile dietro. Anna guida tutta in avanti e le mani tengono il volante ben stretto.
-La spazzatura tocca sempre a noi- E poi ridiamo per la puzza.
-Non togliamo le scarpe?-
-Le abbiamo comprate di gomma apposta-
-Quella commessa le ha chiamate ragni-
-Sembrano più meduse-
Stiamo attraversando con le scarpe bianco trasparente dieci passi d’acqua che poi si perdono nell’interno tra incolti ciuffi verdi.
-Possiamo fermarci qui-
-Va bene, siamo più o meno in mezzo-
-Lo piantiamo lo stesso, anche se è presto-
-Dobbiamo piantarlo sempre-
Abbiamo comprato un ombrello da spiaggia di quelli piccoli, con il fusto in acciaio leggero, si smontano in due pezzi e pesano pochissimo. Lo abbiamo comprato in un giorno di pioggia, quando si è felici perché senza sensi di colpa ci si dice -Oggi possiamo andare al mercato-
Lo piantiamo nella sabbia e poi Anna tira fuori i libri dalla borsa, io stendo i teli lisciando bene ogni piega con la mano.
-Sono così felice d’averlo comprato-
-Ora siamo organizzate-
-E poi non ci pesa portarlo avanti e indietro-
Ci stendiamo pancia sotto, le teste sotto l’ombrello. Anna legge ad alta voce ed io ascolto. Qualche volta facciamo il contrario. Oggi leggiamo in francese, parliamo in francese, giochiamo a essere di un’altra parte. Guardiamo l’ombrello da sotto in su.
-Pensa non averlo, qui sdraiate sotto il sole-
-Possiamo leggere sena strizzare gli occhi e non ci vengono le rughe-
-Poi non ce l’ha nessuno-
-Siamo le uniche-
-Bell’acquisto-
Sta arrivando gente. Una coppia ci passa davanti e cammina sin dove la spiaggia diventa nera di scoglio.
Sono quelli che vogliono star soli a scambiarsi effusioni amorose sdraiati sugli asciugamani dei grandi magazzini. I love you c’è scritto sull’asciugamano. Il gruppo delle signore si è fermato molto prima nel solito punto. Stanno sempre tutte vicine. Hanno asciugamani marroni o blu. Dal gruppo si staccano due figure che cominciano a sorriderci molto prima di essere a portata di voce. -Ma che bell’ombrellino!-
-Le piace?-
-Ma proprio sì. Lo lasciate in spiaggia?-
-Oh no, lo portiamo avanti e indietro. E leggero-
-Brave. Come sta il papà Anna? Non l’abbiamo ancora visto stamattina-
-Arriverà, scende sempre cosi tardi-
-Continuiamo la nostra passeggiata, buona giornata care-
Ma si voltano e tornano indietro.
-L’ombrello le ha incuriosite troppo, non potevano resistere-
-Tu lo fai il bagno?-
-No, ti aspetto. Guarda l’ombrello dall’acqua, poi mi racconti le impressioni-
Quando torno verso riva i miei piedi accarezzano la sabbia del fondo. Nel mezzo della spiaggia Anna è sdraiata sotto il riverbero del bianco e del giallo dell’ombrello.
-E’ impalpabile, quasi trasparente e non urta con la luce e con il colore di questo mare- penso e dico ad Anna, tornando a riva -E’ proprio bello-
-Vero?-
-Mi asciugo e ce ne andiamo-
-Sì, comincia a fare troppo caldo. Ci fermiamo a mangiare al ristorante?-
Chiudiamo e pieghiamo l’ombrello. Lo vuole portare Anna. Passiamo davanti con volti sorridenti al gruppo serrato delle signore. Ora ci sono anche quelle più giovani con bambini piccoli.
-Ciao, non mi venite mi a trovare..-
-Abbiamo chiamato ieri, ma eri fuori…-
-Non me l’hanno detto, mi dispiace. Oggi sono in casa, telefonatemi-
-Va bene, ti chiamiamo, ciao.-
Ridiamo da pazze mentre attraversiamo con le scarpe di gomma il rigagnolo d’acqua.
-Io non le telefono più-
-Ma figurati, lasciamo stare-
-Ti ricordi: Eugenia? No, la signora non è in casa. Chi parla?-
-Fa dire alla governante che non è in casa. Ed io pensavo che fosse lei a rispondere….-
-Tanto non andremo mai a trovarla per sentirci raccontare i pettegolezzi dell’estate-
-Chiudiamo qui con la nostra vita mondana-
-Ma tu volevi davvero andare a prendere il tè e parlare di bambini?-
-No, facciamoci desiderare-
-Tanto nessuno ci inviterà mai-
-Allora, ci fermiamo a mangiare qui?-
-Ma sì, per consolarci di dover buttare via sempre noi la spazzatura-
-Potremmo usare l’ombrello anche come parasole- e camminiamo, sulla strada verso il ristorante, protette dal bianco e giallo dell’ombrello.
-Ma certo. Il mattino in spiaggia ora è proprio un’altra cosa-
-Non so come facevamo prima-
Io poi partii con mille raccomandazioni per il ritiro dell’ ombrello per l’inverno.
Un giorno in città incontrai Anna. Era tanto che non la vedevo. Stava benissimo.
-Al mare c’è ancora una tua borsa di plastica-
-Ma dai, non ricordo quale sia-
-Quella trasparente con i pesci dentro-
-Ah sì, era un regalo. E l’ombrello?-
-Non volevo dirtelo. Mio fratello l’ha usato con una sua amica e l’ha rotto-
delizioso come un quadro di Hooper – particolari cromatici e intensità di emozioni – tutto però in toni leggeri e frizzanti. mi è piaciuto molto.