Premio Racconti nella Rete 2012 “Un pupazzo di neve” di Raffaele Balsano
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012– Mamma mamma che bello, sta nevicando..
Così fu svegliata Lorenza la mattina del 5 Dicembre da Mario suo figlio di 8 anni, entrato nella camera dei genitori, la cui porta durante la notte restava aperta perché il bambino – anche se ultimamente lo faceva di rado – spesso si svegliava e per paura del buio dalla sua cameretta correva a rifugiarsi nel lettone rannicchiandosi vicino alla mamma, mentre il papà Roberto si spostava quasi a ridosso del comodino.
– Ehi mamma svegliati e vieni a vedere
Con riluttanza Lorenza si alzò, anche se avrebbe dato qualsiasi cosa per restare ancora un po’ a letto.
Approfittando del fatto che il caffè, preparato da una macchinetta dotata di timer, restava ‘in caldo’ per almeno mezz’ora, aspettava sempre l’ultimo minuto per alzarsi, ma in quel momento realizzò che l’evento atmosferico era molto importante per il figlio.
Mario un giorno aveva strappato una promessa alla madre. Se per caso avesse nevicato, avrebbero fatto insieme nel giardino di casa un bel pupazzo di neve, come quello che si vedeva nei film americani di Natale.
Il bimbo trascinò la mamma alla finestra con addosso solo la sottoveste e senza la vestaglia.
Era una bellissima donna, gli occhi azzurro cielo illuminavano il suo viso mentre i capelli biondi facevano dire continuamente a Mario che aveva come mamma un angelo.
Mario fisicamente assomigliava molto a lei, aveva gli occhi e i capelli dello stesso colore, molto intelligente, prendeva sempre bellissimi voti a scuola.
Dalla finestra della cameretta si notavano i prati e i tetti coperti di neve.
Anche le strade e le macchine erano tutte bianche. Dovevano essere caduti circa venti cm di neve.
Era proprio la tipica giornata per starsene in casa ma Lorenza doveva portare la madre dall’oculista. Quella visita era stata prenotata a Luglio e non era possibile rinunciarci. L’anziana donna di circa 80 anni, aveva la cataratta ad un occhio e bisognava decidere per l’intervento chirurgico.
Mario invece doveva andare a scuola per non perdere altri giorni. Era stato assente una settimana per via di una fastidiosa influenza.
Lorenza si vestì, preparò la colazione a Mario il quale non aveva nessuna voglia di fare in ordine di tempo colazione, pulizia mattutina vestirsi e andare a scuola.
Continuava a restare con gli occhi incollati alla finestra a guardare i fiocchi che velocemente si univano al bianco già formatosi. Era uno spettacolo incredibile per un bambino che per la prima volta, nella sua vita vedeva la neve cadere.
Mentre il marito si radeva, Lorenza era già pronta per uscire.
– Ciao io vado
Disse
– Devi proprio uscire? Se vuoi porto io Mario a scuola
– Non importa, ho anche un appuntamento con l’oculista.
Baciò il marito sul viso, dove non aveva la schiuma da barba e uscì.
Meno male che il portiere aveva già spalato la neve e ‘gettato’ il sale, altrimenti sarebbe stato problematico, con la macchina, salire la rampa che dai box portava all’ingresso del palazzo.
Svoltò a sinistra e s’immise sulla strada principale. La scuola di Mario distava un paio di chilometri.
– Mamma e il pupazzo?
– Non ti preoccupare, accompagno la nonna dal medico poi ti vengo a prendere e oggi pomeriggio facciamo un bel pupazzo. Hai già pensato come farlo e che nome dargli?
– Ho una certa idea, ma non te la dico.
Rispose con un tono imbronciato Mario che in cuor suo aveva sperato fino a qualche minuto prima di non andare a scuola.
Una volta giunti nelle vicinanze della scuola, Mario scese e senza neanche salutare la mamma, chiuse la portiera e si avviò verso il cancello principale.
Lorenza non fece caso al suo modo di comportarsi, convinta che quel pomeriggio gli avrebbe fatto ritornare il sorriso dedicandosi al suo pupazzo di neve.
Mario era un bravo bambino, subito pentitosi del suo comportamento, tornò indietro e fece cenno alla mamma di aspettare ad andar via, aprì la portiera e…
– Mamma scusami, lo sai che ti voglio tanto bene
Accompagnò queste parole con un bel bacio sulla guancia di Lorenza, che si sentì invasa in quel momento da tanto calore, nonostante il freddo proveniente dall’esterno.
Mario non poteva immaginare che quelle erano le ultime parole che diceva a sua madre.
La mattinata di Lorenza, si svolse come prevista, sia pure con difficoltà, derivante dal caos stradale creatosi a causa della neve e dello shopping natalizio.
Ritornò indietro, prese sua madre che abitava un piano sopra il suo e con lei si recò nello studio medico per la visita.
Lo specialista decise di eseguire l’intervento all’occhio sinistro dopo le feste di fine anno.
La riaccompagnò a casa.
L’anziana donna non vedeva l’ora di starsene al caldo vicino al camino acceso e guardarsi la telenovela preferita in tv.
Era ormai tardi e lentamente si avviò di nuovo verso la scuola di Mario.
Una volta preso il bambino, doveva ricordarsi di passare a comprare le carote e le cipolle altrimenti il pupazzo non avrebbe avuto il naso e le orecchie.
Non c’era parcheggio nelle vicinanze, una volta lasciata l’auto vicino alla fermata del tram, con il rischio di prendersi la multa, si diresse a scuola a piedi. In lontananza vide una sua amica, mamma di un compagno di scuola di Mario e facendole segno si avvicinò per salutarla.
Lucia: questo era il suo nome, la invitò a prendere un caffè.
Lorenza non si accorse del tempo che era passato e quando guardò l’orologio, si rese conto che Mario stava già per uscire, allora in tutta fretta salutò l’amica e corse fuori.
Vide il semaforo verde e subito attraversò sulle strisce pedonali ma in quel momento giungeva dal lato sinistro un suv di grossa cilindrata che incurante del segnale rosso del semaforo dalla sua parte, la travolse. Lorenza prima volò in alto e poi come se fosse un gabbiano, planò forte a terra andando a sbattere con la testa sul bordo del marciapiede.
Immediatamente il caos fu totale, macchine ferme e sirene ‘spiegate’ in lontananza.
Nel frattempo Mario non aveva fatto altro che pensare al pupazzo e al meraviglioso pomeriggio che lo attendeva. Durante l’ora di disegno, aveva portato via dall’astuccio che restava in classe, i carboncini di colore nero da utilizzare per gli occhi e di colore azzurro per i bottoni, poi avrebbe utilizzato un vecchio cappellino del padre come copricapo, una sciarpa di colore rosso per metterla intorno al collo, due cipolle rosse come orecchie e una carota per il naso.
Finalmente si udì la campana che annunciava la fine delle lezioni e tutto contento si avviò verso l’uscita, con lo zaino sulle spalle, dopo aver messo i guanti e il cappellino da baseball, altrimenti sua madre si sarebbe arrabbiata.
Non fece caso a tutte quelle persone che al di là dalla strada stavano ferme vicino a una macchina con la parte anteriore rotta e all’ambulanza con le luci lampeggianti, ferma come a voler soccorrere qualcuno.
Passarono i minuti ma la mamma non si vedeva, forse aveva fatto tardi con la nonna pensò.
L’ambulanza in tutta fretta andò via e restò solo la polizia a fare i rilevamenti del caso.
Incominciò a preoccuparsi, dopo circa un quarto d’ora gli squillò il cellulare.
– Ciao Mario sono papà aspettami che arrivo a prenderti, non ti muovere.
– E la mamma dov’è? Come mai non è venuta?
Già come mai….
Roberto non riuscì a rispondere, aveva la voce di pianto e il timore di tradirsi, rivelando al figlio che….
Mario infreddolito più che mai attese con eroica resistenza che suo padre arrivasse con la macchina. In un primo momento aveva anche pensato di prendere il tram, ma lui non lo aveva detto e quindi non doveva fare altro che attendere. Dopo circa dieci minuti vide in lontananza la Mercedes di colore blu avvicinarsi e subito vi si diresse incontro anche perché aveva i piedi congelati per l’attesa.
Intanto dopo una breve sosta aveva ripreso a nevicare.
Roberto una volta che il figlio salì, lo abbracciò, gli tolse il cappello baciandolo con insistenza sulla testa. Comportamento insolito da parte sua, perché difficilmente si lasciava andare a simili effusioni, evidentemente le stesse nascondevano qualcos’altro e Mario incominciò a pensare al fatto che alla sua mamma fosse successo qualcosa di grave.
Roberto quella mattina una volta uscito di casa, sia pure a fatica aveva raggiunto la Società Finanziaria, in cui lavorava come Responsabile Titoli e Borsa Italia.
Mentre era occupato in una videoconferenza, il cellulare vibrò, era il centralino dell’ospedale che lo pregava di raggiungere subito il pronto soccorso perché la moglie aveva avuto un incidente.
Il suo primo pensiero fu Mario che non vedendo sua madre si sarebbe spaventato, e quindi decise di passare prima a prendere il figlio e portarlo dalla suocera e poi correre in ospedale.
– Come mai la mamma non è passata a prendermi?
– Ha avuto da fare, ti porto dalla nonna poi lei ti raggiungerà.
– E il pupazzo di neve?
Silenzio da parte del padre…
La nonna all’oscuro di tutto si era limitata a cucinare la pasta con la ricotta e il sugo che a lui piaceva tanto.
Mario, ma non volle mangiare, guardava sempre la porta d’ingresso in attesa della mamma.
E così passarono le ore prima una, poi due poi tre e infine l’intero pomeriggio, finché non si fece buio.
Erano ormai le otto di sera quando rientrò Roberto. Mario ormai aveva perso tutte le speranze per il suo pupazzo di neve.
La neve si stava gradualmente sciogliendo, con il passare delle ore una pioggia scendeva copiosa dal cielo, a disfare l’incantevole panorama creatosi qualche ora prima.
Quello che più lo preoccupava Mario era sapere dov’era finita la mamma.
– Mario oggi la mamma mentre stava venendo da te ha avuto un brutto incidente e adesso è all’ospedale.
– Ma quando torna?
– Questo non si sa ancora, si spera presto.
– Voglio vederla
– No, adesso non si può, magari domani
– Io non aspetto domani, voglio andare dalla mia mamma.
E dicendo così si mise a piangere, insieme alla nonna che apprendeva anche lei per la prima volta la triste notizia.
– Se mi prometti che farai il bravo e non ti spaventi ti porto da lei anche se solo per qualche minuto.
L’ospedale era quasi vuoto a quell’ora. I parenti erano andati tutto via.
Roberto con il bambino arrivò al reparto di terapia intensiva, dove in una stanza asettica, su di un lettino c’era Lorenza, con la testa fasciata, dei fili collegavano il suo corpo ad una macchina, mentre un ago infilato nel braccio sinistro le iniettava un liquido proveniente da una bottiglietta attaccata ad un trespolo.
Mario entrò e si avvicinò
– Mamma mi senti? Non ti preoccupare per il pupazzo di neve, lo faremo la prossima volta. Voglio solo che torni a casa con me. Come faccio senza di te? Chi mi prepara la colazione, i vestiti? Chi mi aiuta nei compiti?
Naturalmente Lorenza non lo poteva sentire.
Aveva riportato nell’incidente oltre a varie fratture scomposte alle gambe e alla schiena anche delle profonde e gravi ferite alla testa.
Era in coma profondo e difficilmente, aveva detto il chirurgo, si sarebbe risvegliata.
Ancora qualche giorno e sarebbe sopravvenuta la morte cerebrale.
Mario baciò la sua manina e l’appoggiò al viso della mamma.
– Dobbiamo andare, non possiamo restare qui, la mamma deve riposare.
Una volta solo nella sua cameretta fece fatica ad addormentarsi rivedeva sempre il viso bellissimo di sua madre alternata al l’immagine di lei in ospedale con la testa fasciata.
Passarono i giorni e mentre tante persone erano affannate alla ricerca del regalo inutile da fare ai parenti o agli amici, Mario, ogni sera andava a trovare la mamma che non dava nessun segno di vita.
– Aspetteremo Natale e poi autorizzerò a staccare i fili, ormai è solo un’agonia inutile.
Sentì dire da suo padre al medico e allora Mario con tutto il dolore che provava dentro, urlò:
– Mia madre non può morire, voglio che si risvegli
Roberto rendendosi conto di quello che stava succedendo subito lo prese in braccio portandolo via da quel posto.
Ma lui continuava a piangere…
– Sai Mario per far svegliare la mamma, bisogna provocare in lei una forte emozione che possa mettere in moto il suo cervello. Ci vuole un miracolo.
La mente di Mario per tutta la notte fu invasa dalle parole di suo padre ‘una forte emozione’, una forte emozione’.
Poi finalmente gli venne l’idea. E’ proprio così quando meno te lo aspetti, quando hai perso tutte le speranze, arriva la… luce.
Senza fare rumore, Mario si diresse verso lo studio del padre, aprì tutti i cassetti e finalmente trovò quello che cercava. Ritornò nella cameretta, prese il suo cellulare e incominciò a fare quello che pochi istanti prima aveva sognato di fare.
Il pomeriggio del giorno dopo senza dire nulla, si vestì, usci di casa per dirigersi all’ospedale.
Era il 24 dicembre, la vigilia di Natale.
Arrivò al piano e appena dopo l’ascensore vide un grosso albero di Natale che luccicava a intermittenza.
Al soffitto erano stati appesi dei festoni colorati, e in un angolo un piccolo presepio.
Si ricordò di quando negli anni precedenti insieme alla mamma preparava l’albero e il presepe a casa.
Quest’anno non aveva fatto nulla. Non c’era il dolce sorriso del suo angelo.
Mario approfittò della confusione esistente in quel momento per intrufolarsi nella camera della mamma.
Non c’era un albero di Natale, non c’erano festoni, c’era solo una grande macchina che emanava deboli ‘bip, bip’
Il piccolo si avvicinò alla sua mamma che continuava a….dormire, estrasse dalla tasca del giubbotto l’oggetto trafugato dallo studio del padre. Era un registratore portatile, inserì al suo interno un piccolo nastro, su cui era stato riportato un messaggio vocale di tanti anni prima.
Premette il tasto play e non successe nulla, il nastro non girava e non si sentiva nulla.
Il piccolo fu preso dal panico…aprì la parte retro e invertì le pile, ma non succedeva ancora nulla.
Tolse il nastro e lo rimise, nulla, poi…capì.
Bisognava farlo tornare indietro.
Schiacciò il tasto per riavvolgerlo e dopo il clic, premette play.
Alzò il volume al massimo e finalmente si sentì una vocina:
– Mamma, mamma io sono Malio e ti volio tanto bene, me lo dai un bacino e plomettimi di stale semple vicino a me
– Mamma, mamma, io sono Malio….
Appoggio la parte con il microfono incorporato all’orecchio della sua mamma, le prese la mano e la strinse tra le sue e:
– Mamma, mamma io sono Malio e….
Una due tre quattro cinque volte, ma non succedeva nulla, le parole si perdevano in quella camera priva di gioia.
Mario lasciò il registratore nella posizione in cui l’aveva messo, si avvicinò alla finestra aprì le tendine ed entrò una debole luce derivante dai lampioni della strada.
Aveva ripreso a nevicare. Si riavvicinò al letto e incominciò a piangere.
Si rese conto in quel momento che lei non sarebbe più tornata e il giorno dopo avrebbero staccato le spine quindi il suo angelo sarebbe volato in cielo. Non c’erano più speranze…
– Mamma, mamma io sono Malio e…..
Un debole sorriso apparse sulle labbra di Lorenza.
Non poteva essere vero, forse stava sognando o no….
No, non stava sognando Lorenza aveva aperto gli occhi e guardava il suo piccolo bimbo che subito pianse di gioia incontenibile.
– Mamma, mamma
Non era il nastro registrato ma la vera voce di Mario che incominciò a baciarla a più non posso.
Intanto fuori la neve caduta aveva come per miracolo disegnato a terra un pupazzo di neve.
Non aveva la carota come naso, le cipolle come orecchie, il cappellino e la scarpetta, ma era bellissimo, pieno di luce.
Come per miracolo in quella stanza d’ospedale, alla tristezza infinita si era sostituita, in un attimo e per sempre, una grande felicità.
Lei era tornata!
un racconto avvincente…
Racconto ben scritto, una storia commovente. La morte è argomento difficile, spesso negato come se si potesse dimenticarla, ma la speranza è uno dei possibili strumenti che abbiamo per sopportarne il pensiero e, a volte, è così forte, che la combatte.
Rocconto scorrevole nella lettuta e dai contenuti intensi
In risalto la tenacia e la non rassegnazione di Mario alla perdita della madre
Racconto commuovente, scorrevole e appassionante per chi , come me, ha a tra le priorità del vivere, la famiglia, gli affetti, le relazioni sincere e trova ogni occasione per riflettere su questi valori umani. Grazie per questa nuova opportunità di riflessione.
Noi tutti siamo fatti di sentimenti ma spesso capita di dimenticarsene un po’… trovo bella, giusta e condivisa nell’operato la speranza vissuta da Mario perchè bisogna sempre cercare e volere un qualcosa di positivo nella nostra vita e il sentimento, appunto, è una delle cose che ci tiene “vivi”.
Un racconto intriso di buoni sentimenti. Commovente.
Sei molto bravo. Vola vero il romanzo…
Mario, un bambino generoso , che con la sua pazienza e speranza e’ riuscito a salvare e ritrovare la madre , ma allo stesso tempo secondo il mio parere , a vivere il suo natale più bello e vivo che mai. Con questo racconto non banale ma realistico,lo scrittore ci insegna a lottare sempre e non mollare mai nella vita , perché si vive una sola volta e ognuno di noi spera che essa sia unica e irripetibile. bravo papa’
Difficile lasciare un commento quando parla il cuore di una persona… ” Mario, non perdere mai le speranze se di nuovo vuoi vedere il ritorno della LUCE!! “.
Grazie perchè leggendo il tuo racconto, ho potuto comunque ricordarmi di questa legge dell’ Universo!
Ciao DD.
Come sempre la tua penna scorre dolcemente e arriva fino cuore di chi legge