Premio Racconti nella Rete 2012 “L’attimo oscuro” di Silvia Tamarri
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012La sirena dell’ambulanza era arrivata con un rumore così ripetitivo e così disperato da far immaginare il peggio. La luce lampeggiante lo stava accecando, anche se c’era ben poco da accecare visto che i suoi occhi, già da un po’, funzionavano male, buoni quel tanto da permettergli di guidare l’automobile senza rischiare in proprio e far rischiare altri. Così almeno diceva l’oculista della motorizzazione civile, firmando distrattamente la pratica di rinnovo patente, ma abbastanza convinto di non fare gran danno. Ne vedeva, l’oculista, di ultra settantenni desiderosi di veder confermata la propria patente, perché il contrario poteva significare la fine, il continuo adattarsi ai ritmi e voleri altrui, di figli, di consorti e di badanti.
Si guardò attorno, stupito dalla forza con cui, i due agenti del servizio di sicurezza del supermercato, lo tenevano bloccato, come se avesse avuto intenzione di scappare, come se fosse stato per lui possibile scappare. Una folla di curiosi, dalle facce atterrite, si era fatta intorno a loro e sentiva in lontananza una serie di “o mio dio, o mio dio”, ma non avrebbe saputo dire se si trattasse del lamento di una giovane donna o di ragazzo: era una litania disperata. Adesso il suo respiro si stava rallentando e anche i battiti del cuore, che proprio pochi minuti, o forse un quarto d’ora fa, sembravano, con il loro ritmo, decisi a farlo scoppiare, si stavano diradando, restituendoli un briciolo di lucidità. Una serie di “ma che cazzo hai fatto!!” si erano ripetuti alla sua destra: era la voce dell’agente di sicurezza, quello più giovane, che lo teneva per un braccio. Sembrava anche lui impaurito, quanto era successo interrompeva una quotidianità noiosa di furti occasionali ad opera di poveri cristi per lo più affamati o di adolescenti in cerca di stupide prove di coraggio.
Stava arrivando anche la polizia, riconosceva l’urlo della sirena della volante.
Sentiva prurito alla testa, ma non gli era consentito grattarsi, così si guardò le mani, completamente insanguinate, in parte per le ferite che si era provocato, in parte si trattava del sangue di un’altra persona.
L’autoambulanza si fermò nel parcheggio e scesero un paio di giovani in divisa fluorescente. Un terzo corse ad aprire lo sportello sul retro per far avanzare un lettino. Le due divise arancioni si avvicinarono al giovane riverso sull’asfalto del parcheggio. Una pozza di sangue si allargava dietro la sua testa, sembrava svenuto, non si muoveva. La folla, nonostante l’attrattiva di orrore e sangue, inaspettatamente proposta in quel tardo pomeriggio di novembre, riuscì a capire che era il caso di fare un po’ di spazio ai volontari e al medico. Si contentò di inveire contro l’anziano che, inebetito, rimaneva stretto tra i due agenti.
Non riusciva a capire cosa lo avesse preso.
La mattina era iniziata male, una fila enorme all’ufficio postale, per incassare 500 euro di pensione, troppo pochi per far fronte a tutto. Fuori, facendo una serie di manovre per uscire dal parcheggio, dove un enorme SUV lo aveva incastrato senza curarsi del poco spazio lasciato alla sua vecchia Panda, aveva preso una botta al paraurti che si era incrinato. Nemmeno uno sgraffio al SUV, così, come misera rivalsa, ma, al contrario per lui, il paraurti rotto, significava sopravvenienza passiva da decurtare, insieme alle varie bollette, dalla pensione. Quel mese avrebbe dovuto ridurre la spesa alimentare, visto che quella farmaceutica non poteva certo ridurla.
Durante il pranzo aveva ricevuto la quotidiana telefonata della figlia che si assicurava che tutto andasse bene. Lui si chiedeva in che modo le avrebbe comunicato il giorno in cui tutto fosse andato male, perché un giorno del genere prima o poi sarebbe arrivato, se lei si faceva viva solo al telefono. Probabilmente si sarebbe insospettita dopo l’ennesimo squillo senza risposta.
Nel pomeriggio, dopo aver fatto qualche pulizia in casa, perché lui, anche se viveva da solo, non sopportava disordine e sporcizia, aveva fatto una passeggiata sull’argine del fiume, riproponendosi di passare al supermercato più tardi per acquistare del pane e dell’olio. La dispensa, anche se povera di qualità, non ammetteva potesse esserlo di quantità, perché la fame l’aveva già sofferta da bambino, durante la guerra, e non aveva proprio nessuna intenzione di ripetere l’esperienza. Una o due volte al mese si concedeva la carne, ma la pasta di primo prezzo non era male se si usava l’accortezza di toglierla un minuto prima rispetto a quanto consigliato sulla confezione. Poi bastava un po’ d’olio, dell’aglio e del peperoncino e, oltre alla fame, si dava soddisfazione anche all’appetito.
Lungo il fiume aveva pensato molto, come gli succedeva sempre più spesso. La solitudine non gli pesava anche perchè risolverla andando al bar del paese, tra vecchi come lui, a parlare di tutto e niente, lo innervosiva invece che distrarlo. Non aveva mai avuto molti amici, ricordava di aver solo lavorato tanto, sempre, per poi ritrovarsi vecchio, solo, con un tempo infinito da gestire ogni giorno. E questo tempo si era ulteriormente dilatato quando era morta Luisa, la sua compagna di una vita. Ma si, lo ricordava, avevano anche litigato tanto e, a volte, lei aveva il potere di farlo davvero andare in bestia, ma si erano voluti bene. Si erano conosciuti in fabbrica, operai alla catena di montaggio. Come rideva Luisa quando lui raccontava le barzellette durante la pausa pranzo. Poi lui aveva cambiato lavoro, voleva la libertà di un lavoro autonomo ed era andato a bottega da un falegname per imparare il mestiere, ma non l’aveva persa di vista.
Adesso comincia anche a piovere – pensava – mentre sentiva alcune gocce arrivargli sul viso. La gente intorno aveva cominciato ad allontanarsi anche perché i poliziotti non volevano curiosi. Gli operatori del pronto soccorso, sistemarono il ragazzo ferito sul lettino e lo chiusero nell’ambulanza. Con un balzo furono subito a bordo e se ne andarono di corsa, di nuovo a sirena spiegata.
I poliziotti sostarono quel poco per i dovuti rilievi, poi gli dissero di salire sulla loro auto per portarlo in centrale.
Adesso lo avrebbero interrogato e lui, cosa avrebbe detto, come avrebbe spiegato quanto era successo. La sensazione era quella di aver visto un brutto film.
Provò a fare mente locale. Era arrivato al parcheggio del supermercato circa mezz’ora prima, o forse più, o forse meno, perché il tempo si era fermato e non avrebbe saputo quantificare i minuti passati. Con la sua Panda procedeva lentamente alla ricerca di un posto libero, ma non era semplice, il supermercato doveva essere affollato. Finalmente ne aveva visto uno, un po’ lontano dall’entrata, ma non era un problema per lui camminare e non aveva certo fretta. Purtroppo però il passaggio verso la zona più lontana era ostruito da un paio di automobili che avevano parcheggiato fuori dagli spazi consentiti. Queste erano le cose che lo facevano imbestialire: l’arroganza e la noncuranza di chi parcheggia in modo selvaggio, fregandosene del prossimo. Con la sua auto era stato costretto a fare diverse manovre per aggiustare il tiro e un’auto che arrivava in controsenso, era stata costretta a fare altrettanto. Malediceva il proprietario dell’auto fuori posto, tra l’altro un oggetto dalle dimensioni decisamente notevoli e quindi nemmeno con la possibilità di passare inosservato.
Terminata la fatica di uscire dallo stretto corridoio, aveva visto, nello specchietto retrovisore, una figura che si avvicinava all’auto fuori dalle righe. La voglia di dirgliene quattro fu più forte del proprio buonsenso e quindi scese dalla Panda apostrofando il giovane, che non poteva avere più di trenta anni, con un “Ma ti pare di essere nel giusto?” – in fondo non era stato nemmeno troppo sgarbato, aveva cercato le parole meno offensive possibili non tanto per non offendere, quanto per non agitarsi ancora di più. Ma la strafottenza del giovane lo aveva ammutolito per qualche secondo. Gli aveva consigliato l’ospizio perché a quelli vecchi come te la patente la devono togliere. Non si aspettava questa reazione. Un momento, ma sei tu nel torto, qui non si può parcheggiare e, oltretutto ostruisci il passaggio verso l’altra zona di parcheggio. Gli scappò anche qualche “stronzo”. Il giovane attaccò quindi una litania di bestemmie da far arrossire un portuale concludendo che, dopo i settantanni, la demenza senile era una tappa obbligata ed era bene farsene una ragione.
E fu in quel momento che successe qualcosa.
Il suo vecchio cuore, solitamente tranquillo, anzi piuttosto bradicardico, aveva iniziato a pulsare velocemente facendogli dimenticare qualsiasi motivo valido per mantenere la calma, non fosse altro per la differenza di età che lo avrebbe sicuramente sopraffatto in una qualsiasi ipotesi di scontro con il giovanotto. Attaccò anche lui con il turpiloquio, riuscendo a stupirsi della quantità di vocaboli inediti per il suo normale modo di esprimersi. La sua rabbia stava diventando una rabbia cosmica, verso tutti gli automobilisti stronzi, verso i giovani arroganti, verso le auto di grossa cilindrata, verso tutti i passanti che non si curavano di loro, verso questa cazzo di vita che, a un certo punto, dopo aver corso e corso, dopo averti consumato, ti dice, basta, grazie, non ci servi più, vedi di arrangiarti come puoi e, possibilmente, non dare fastidio.
Aprì lo sportello della sua panda e vide la bottiglia in vetro, quella che usava per comprare il latte dal distributore del supermercato, perché così costa meno e non inquini con il cartone plastificato. Era stato un attimo pensare che voleva colpire e immaginarsi di poterlo fare con la bottiglia. Inaspettatamente agile, aveva recuperato questa senza dare al giovane il tempo di capire, sorpreso da una reazione così improvvisa. Dapprima la bottiglia, impugnata come un bastone, colpì l’auto del ragazzo, provocando una notevole ammaccatura e facendo volare qualche coccio di vetro. Il momento di follia non era però terminato. Il giovane non ebbe nemmeno il tempo di coprirsi con un braccio, nemmeno il tempo di immaginare una corsa lontano, verso l’altra ala di parcheggio, che fu colpito in testa da quanto era rimasto della bottiglia. E cadde subito in terra.
Dove ho trovato tutta questa forza? Si chiedeva l’anziano, ripensando al giovane che, immobile, davanti alla sua auto, perdeva sangue dalla testa. Adesso non faceva più lo stronzo.
Si rivedeva con l’impugnatura della bottiglia ancora in mano, mentre guardava i cocci aguzzi che gocciolavano di sangue. Non poteva essere vero. Ma la gente urlava, correva, gli agenti di sicurezza del supermercato lo avevano subito bloccato. Ma lui non aveva mai avuto intenzione di scappare. Chi sbaglia paga, chi sbaglia paga, nella sua mente adesso giravano queste parole e gli sembrava di sentire la voce di suo padre quando lo diceva. Con uno strano barlume di lucidità gli venne da dire agli agenti – “togliete la mia Panda da lì, ostruisce il passaggio al parcheggio, le chiavi sono sopra” – poi pensò che doveva avvertire sua figlia perché con tutta probabilità il giorno dopo non lo avrebbe trovato pronto a rispondere al telefono. Gli venne quindi da dire, con un assurdo tono cortese – “quando vi è possibile, chiamate mia figlia”. Adesso sentiva tanta confusione nella testa. Dove gli era uscito tutto quell’odio? E tutta quella violenza? La pozza di sangue era enorme, non riusciva a capire, lui, che più volte, pur di non investire un gatto per strada aveva rischiato di distruggere l’auto. Lui, che era stato donatore di sangue perchè aveva sempre pensato che amare il prossimo non fosse sempre necessario, ma fosse indispensabile rispettarlo e dargli una mano.
Si sentì vecchio come non mai e solo.
Il giorno dopo i titoli della cronaca locale riportavano “Attimo di follia: anziano ferisce gravemente giovane durante una lite per un parcheggio”. La notizia fu commentata nei bar per qualche giorno, con accese discussioni tra innocentisti e colpevolisti, ai tavoli delle partite a carte, tra bicchierini di rosso e ponce alla livornese. Una rapida eco fu concessa anche dalla televisione nazionale e locale. La radio propose perfino un breve dibattito con l’ausilio di esperti psicologi. Poi, tutto continuò come prima.
La tua storia ha il respiro di una storia vera raccontata così com’è, non sembra nascondere alcuna morale. Ha un ritmo asciutto e un’ambientazione corale. Mi piace.
Grazie. E’ l’ambiente che mi circonda che mi fa immaginare storie. E le scrivo perchè mi piace scrivere. O forse perchè mi piace farle leggere. Questo non l’ho ancora capito.
Le ingiustizie generano altre ingiustizie e la letteratura diventa in questo racconto di vita reale con il suo carico di stress e solitudini quotidiane diventa educatrice di un mondo attanagliato da piccoli e grandi egosimi. Un racconto che esprime sensibilità e comprensione. Complimenti.
Un racconto intenso, scritto bene e ricco di sentimento. Una storia di solitudine e emarginazione che, senza retorica, induce il lettore a riflettere.
Bel racconto, asciutto e ben scritto. Brava.
L’ho letto tutto d’un fitao e mi è piaciuto molto.
Quando scrivere significa parlare dei fatti quotidiani con il cuore, allora chi legge non può che rimanere estasiato da tanta bellezza.
E’ un racconto che pur nella sua crudeltà è scritto bene.
Non viene da chi lo legge, dimenticato, perchè è uno spaccato della Società in cui viviamo, dove sembra prevalere l’arroganza e la legge del più forte.
Anche se a volte per fortuna non è così, e l’animo umano è anche capace di amare e di aiutare il prossimo.
Pone anche delle riflessioni importanti perchè quello che è successo al vecchietto della storia, può capitare ogni giorno ad ognuno di noi.
Brava e complimenti sinceri.
La disperazione e la difficoltà di portare avanti un quotidiano. Quante persone nella nostra vita vivono così e spesso non abbiamo il tempo e l’attenzione per rendercene conto. La violenza appartiene a tutti, non solo a chi ferisce. Brava Silvia, c’è tristezza in questa storia vera che tu hai saputo ben raccontare.In bocca al lupo per la tua sana voglia di leggere e scrivere!
Grazie Francesca!
Bravissima. Hai una capacità di introspezione psicologica non comune, e anche in una storia “piccola” come questa sei riuscita a rendere, in modo implicito ed esplicito, tutto il senso di solitudine e ingiustizia della vita. Nella struggente richiesta dell’anziano di rimuovere la sua macchina affinché non infastidisca gli altri c’è la sua umanità, e forse il senso di tutto.
Ciao, silvia. Il tuo racconto e’ bello, l’azione e’ ben descritta, ma e’ lontano dal mio gusto, perche’ “dice” troppo le emozioni del protagonista. Insiste troppo nelle spiegazioni sugli stati d’animo. A me piace di piu’ che le emozioni siano immaginate dal lettore, e scaturiscano da accenni. Ma e’ solo il mio gusto, comunque.
Nicola
Da benpensante al raptus il tragitto sembra breve e casuale, ma le umiliazioni e la rabbia repressa hanno preparato il terreno. Tutto ben costruito, ottimo il finale .
Andrea Masotti
Bello questo!, ha la capacità di creare un’aspettativa nel ritmo del racconto e poi rende bene la drammaticità di una situazione. Realismo, efficacia, senza retorica e senza colpe, una goccia che fa traboccare il vaso della solitudine e dell’incomprensione….mi piace!!!! In bocca al lupo!!!!!
L C
Veramente choccante, ma attuale e vero.
Il racconto è scritto molto bene! Non sono riuscita a staccare gli occhi fino alla fine. Fa riflettere!
Giuliana Ricci
Resoconto di un’esacerbata reazione che rispecchia il disagio di vivere in una società senza rispetto e la voglia improvvisa di difendersi e fare giustizia in qualche modo. Efficace nell’introspezione del personaggio senza nemmeno volergli dare una giustificazione. Una presa d’atto della realtà. Si legge bene e si aspetta una fine sapendo che non esiste. Complimenti
Che bel racconto: più che una narratrice qui sei stata una cronista. Non però di quelle col plastico, odiose e sostanzialmente inutili e guardone, ma di quelle vere, alla Igor Man per intenderci.
Sembra proprio, pur nella brevità, uno di quei romanzi che non vogliono insegnare niente e mostrare tutto. La cronaca di uno scorcio di vita, sempre più folle, irrispettosa e terribile.
Che bello, Donatella.
L’avevo letto tempo addietro e mi era mancato il tempo di commentare… sai com’è, la vita e i suoi ritmi incessanti e quanto segue.
La lucida descrizione di un attimo di ordinaria follia che riesce nell’intento di guastare una vita vissuta onestamente – e magari anche quella di qualcun altro.
Per certi versi, argomento assonante al mio dello scorso anno – nel mio, un attimo di quasi-follia ti costringe rivedere le scelte della tua vita sotto un’ottica diversa, cambiandoti, alla fine, per il meglio.
Non c’è bisogno di dire che auguro al tuo brano la stessa fortuna del mio – per contrappasso, quella che non tocca in sorte al povero (davvero: che tenerezza, che fa: un anziano sempre onesto, sempre ligio, che finirà per pagare tanto caro l’unico errore della sua vita… c’è qualcosa di profondamente ingiusto, in tutto questo – ma chi ha ha mai detto che la vita sia giusta?…) – protagonista del tuo brano.
Bellissimo.
A presto,
Nikki
Allora Silvia, ho trovato dieci minuti di tempo e ho letto questo racconto. Il mio, tengo a precisare, è un commento da lettrice.
La, dove scrivi: “Aprì lo sportello della sua panda e vide la bottiglia in vetro, quella che usava per comprare il latte dal distributore del supermercato, perché così costa meno e non inquini con il cartone plastificato” – io, dal momento che le difficoltà del protagonista ci sono ormai chiare, avrei preferito leggere: “Aprì lo sportello della panda e vide la bottiglia del latte”. Un po’ come anche Nicola ha scritto, mentre leggo mi piace immaginare la scena e fare deduzioni. Mi è piaciuto come hai fatto progredire la rabbia dell’anziano, da reazione composta ad impulso incontrollato e violento. In alcuni passaggi la lettura è frenata dalla punteggiatura con qualche virgola di troppo: “…anche se c’era ben poco da accecare visto che i suoi occhi, già da un po’, funzionavano male, buoni quel tanto da permettergli di guidare l’automobile…”. La vicenda è attuale e si ha la sensazione di avervi potuto assistere di persona, stamane, andando a fare la spesa. L’anziano ci fa tenerezza e finiamo di leggere il racconto immaginando che in questura l’abbiano mandato via dopo una riuscita conciliazione col ragazzo perché il danno oltre la beffa (e qui l’inverso ci sta tutto) ci sembra davvero troppo per lui. In bocca al lupo. Donatella
Grazie Donatella. Apprezzo molto i tuoi suggerimenti. L’appunto sulla punteggiatura, in particolare, mi interessa, perchè non sei l’unica ad avere fatto tale osservazione sui miei racconti. Non sono una scrittrice, ma una buona lettrice (a volte mi definisco una lettrice bulimica nel senso che leggo di tutto a gran velocità…. e non è sicuramente un pregio), quindi osservazioni, appunti, critiche sono per me molto importanti. Grazie ancora. Ciao!
Le ristrettezze economiche, tali da indurlo a risparmiare sul mangiare. Cinquecento euro di pensione, pochi, ma non fino al punto da intaccare la sua dignità.
Una figlia che si fa viva solo per telefono. Il ricordo della compagna con cui ha diviso una vita.
E’ una vita difficile quella del protagonista del racconto, come quella di molti anziani.
Ma quella è davvero una giornata storta. Peggio delle altre.
Una fila enorme all’ufficio postale, il suv di quel maleducato che lo ha costretto a una manovra azzardata, causando la rottura del paraurti. E tanta rabbia dentro.
Poi quel giovane, davanti al parcheggio del supermercato, che dopo avere lasciato l’automobile a ostruire il passaggio vuole pure avere ragione e gli scarica addosso tutto il peso della violenza delle parole.
Ma lui non ce l’ha più la forza di sopportare anche questo.
E, in un attimo di rabbia, consuma il gesto più distruttivo della sua vita.
Fino alle parole dei due agenti “ma che cazzo hai fatto” che lo mettono di fronte al peso dell’azione appena compiuta, facendolo sentire ancora più solo.
Potrebbe essere una degli episodi di cronaca che spesso si leggono sui giornali, ma romanzato e narrato con tale coinvolgimento che sembra proprio di conoscerlo quell’uomo anziano, per il quale, da quel giorno, nulla sarà più come prima.
Molto brava.
Bel racconto dal ritmo serrato e coinvolgente.Hai saputo calarti così bene nella testa del protagonista di cui hai descritto mirabilmente il terribile e doloroso esplodere della sua rabbia tanto da fare provare al lettore tutte le sue sensazioni. Cronaca triste di un episodio di ordinaria quotidianità ma che la tua descrizione ha reso molto commovente
Brava!
Cara Silvia,
non c’è che dire: molto realistici la trama (che ci ricorda scene simili alle quali ci è capitato d’assistere) ed anche i personaggi (nei quali ci possiamo sicuramente rivedere conoscenti quando non ritrovarci in prima persona).
Hai saputo raccontare con efficacia la fatica, il dolore, la frustrazione di chi è anziano in questa nostra società della solitudine che ci addenta, ci mastica e quando ci ha spolpato per bene, ci risputa fuori come scarti. Una società in cui quello che conta agli occhi dei più sono l’efficienza, la produttività, la rapidità e che tende a tagliar fuori chi non tiene un passo che a ben vedere a volte è quasi folle.
E leggendoti, arriva forte e chiaro il tuo invito silenzioso (forse perché di silenzi io me ne intendo un po’ ;-)) a tentare di riscoprire altro: l’ascolto, la presenza (per quanto sia tutt’altro che facile, per chi, come la figlia del protagonista, e tanti di noi, si trova ancora incastrato in questo ingranaggio infernale), ma almeno quel minimo di rispetto che è dovuto a tutti.
Grazie Silvia per questo racconto che mette addosso la voglia di vivere non sopra, bensì con gli altri, come incontrandoti brevemente ho avuto l’impressione sappia fare tu, che conosci il valore dei sorrisi, antidoti semplici ma utilissimi per tenere, chi incrociamo nel nostro cammino, lontano da Attimi Oscuri.
A presto
Francesca
Leggo grande empatia in questo racconto assolutamente realistico dove la reazione “esagerata” del protagonista non rappresenta altro che il forte senso di ingiustizia e impotenza davanti all’arroganza gratuita. Complimenti.