Premio Racconti nella Rete 2012 “Il Cavaliere e lo Scudiero” (sezione racconti per bambini) di Virgoletta
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012C’era una volta, tanto e tanto tempo fa, un ragazzino. Aveva una folta zazzera scompigliata e tagliata corta, il volto perennemente imbrattato di terriccio e un continuo moccio al naso.
Viveva rusticamente: sua dimora era il profondo della foresta, dove si arrampicava sugli alberi restandovi a lungo di vedetta, scrutando il cielo, il volo degli uccelli, l’incessante mutare delle nubi.
Si cibava di ciò che la Natura spontaneamente gli offriva: bacche e frutti boschivi, il nettare delle violette e l’ambrosia dell’acacia, e con le mani a coppa si dissetava dalle sorgive acque che scaturivano da una roccia ascosa.
Suo rifugio dalle intemperie era una buia grotta, e non calor di foco nè panni (laceri e sporchi erano i miseri panni che indossava) ma solo l’interna fiamma e il calore di una mente ardente rendevano confortevoli il suo riposo.
Un giorno, nel profondo intrico del bosco, si addentrò un cavaliere: e visto il fanciullo, mosso a compassione dal miserevole stato di questi, lo issò sul suo destriero.
Il ragazzo acconsentì di buon grado a divenire il suo scudiero: strigliava il cavallo, gli procurava la biada, e mentre il suo signore dormiva gli lucidava l’argentea armatura fino ad assopirsi, esausto, in un cantuccio ai piedi del letto in cui riposava il suo signore.
Intanto scoppia la guerra col paese vicino: e il cavaliere, chiamato al mestiere delle armi, si prepara alla battaglia, scortato dal fedele scudiero.
Divampa la pugna: daghe, fendenti, volar di frecce. Lo scudiero, che anche sul campo insanguinato segue il suo signore, s’avvede di una freccia a lui diretta: e tosto s’interpone.
Il cavaliere, sgomento, fa per estrarre la freccia dal petto e solo allora s’avvede che è lordo di sangue non il petto di un uomo ma il seno virginale di una fanciulla!
“Tu m’hai accolto, e preso con te, quand’ero un essere selvatico. Hai destato in me l’amore: ecco, prendi la mia vita che t’offro al posto della tua, che m’è più cara ancora!”
Così dicendo morì.
Il cavaliere, che mai a quel momento aveva provato amore, impietrì ancor di più il suo cuore, perché non s’era avveduto di quel che aveva accanto, e nemmeno perdendolo il dolore scalfì il suo cuore.
Ma l’anima del ragazzo, divenuta errabonda, permeò il luogo ove egli aveva vissuto: e ancor oggi chi si china a bere l’acqua della fonte del moccioso un femmineo spirito acquisisce, sotto le mentite spoglie di un fanciullo cencioso.