Premio Racconti nella Rete 2012 “Fragile” di Laura Gori
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012Pensò che avevano toccato il fondo. O meglio, dopo di lì, ci poteva essere solo il baratro. Si erano detti cose orribili. La rabbia tira fuori il peggio di ognuno. Il lato oscuro. Si erano detti cose che non pensavano. Orribili parole. Ma ormai erano dette. E le parole restano. E fanno male. La cosa più orribile è che avevano litigato davanti agli occhi indifesi di loro figlio. Era così piccolo che le parole gli risultavano incomprensibili, ma il tono della voce no. Quello no. E si difendeva con l’unico modo che conosceva alla sua tenera età: piangendo con tutta la forza che aveva. Mentre loro litigavano, Sebastiano piangeva.
Tutto era cominciato due mesi prima, con la nascita di Sebastiano. Un bimbo bellissimo. Adesso a loro, non mancava nulla, per essere felici. Invece, proprio allora erano iniziate le incomprensioni. Viola non capiva. Dava la colpa alla stanchezza, al poco dormire. Poi passerà pensava. Ma le liti con Massimo continuavano e si facevano sempre più frequenti. Litigavano su tutto. Su ogni virgola. Per qualsiasi stronzata. Anche sul vestito della conduttrice del Tg1.
Ad un passo dall’essere felici, volevano distruggere tutto quello che avevano costruito fino allora. Avevano paura di essere felici? La delusione più grande fu per Viola rendersi conto della loro fragilità. Viola aveva pensato che il loro rapporto poteva spaccare monti, superare mari, volare fino al cielo e poi aprirsi in un arcobaleno. Niente di tutto questo. La realtà era che il loro rapporto era fragile, fragile…umanamente fragile…tristemente fragile….un vaso di terracotta in bilico sul bordo di un tavolo. Proprio così. Prendere coscienza di questa fragilità non fu facile. Una delusione. La realtà che stronca i sogni. Fragile. Ma quando avevano iniziato a litigare? Fragile. Ma perché avevano iniziato? Fragile. Ma dove si sarebbero spinti? C’era un limite? Esisteva un limite oltre il quale non sarebbero tornati indietro? Si erano detti cose orribili, che non pensavano. Ma le parole restano. Le parole feriscono. E loro le avevano dette. Si volevano far male.
Quando non mancava proprio nulla per essere felici, loro iniziarono a farsi del male.
A Viola veniva da piangere di fronte a Sebastiano che le rideva con quella naturalezza ed innocenza di un bimbo di due mesi. Forse era quello il baratro? Sforzarsi di non piangere di fronte al proprio figlio che ride per te, solo per te, solo perché sei tu? Ride per te, ride perché tu sei tutto per lui. Ma a lei veniva da piangere. Forse era quello il baratro, pensò. Viola si chiedeva se Sebastiano avesse capito. Avrà intuito con l’innocenza dei suoi due mesi, quel velo di tristezza che c’era nei suoi occhi da alcuni giorni? Si sforzava di ridere mentre voleva piangere. Sebastiano era in mezzo a loro nel letto. Non dormiva alle tre del mattino. Rideva a Viola. Massimo dormiva. Viola voleva piangere. Mai così in basso, ad un passo dal toccare la felicità. Mai così fragili. Sebastiano rideva in mezzo a loro. Viola voleva piangere. Massimo dormiva. Mai così umani. Sebastiano rideva con gli occhi, Viola piangeva con gli occhi, Massimo aveva gli occhi chiusi.
Viola pensò che quella tensione doveva finire. Dovevano ritrovare l’equilibrio perso. Eppure erano così innamorati un anno prima. Dovevano ritrovare il passo di danza perduto. Tutta la notte pensò a come erano un anno prima e come erano adesso. Rivide il giorno del matrimonio. La festa. Era stato proprio un bel giorno. Un giorno in cui aveva pensato “sono felice”. E l’altro qual era? Quando si era rotolata con Massimo sulla neve, come bambini, in un pomeriggio di Aprile, due anni prima. Erano ancora agli inizi della loro storia.
Alle sei del mattino, si andò a sedere sul divano, con una tisana calda tra le mani. Fissava il vapore caldo che usciva dalla tazza e si disperdeva nell’ambiente. Gli occhi vagavano nel vuoto, inseguendo i suoi pensieri. Erano diventati genitori, avevano smesso di essere una coppia.
Mentre guardava il movimento del vapore nella stanza, sentì Sebastiano lamentarsi. Si sforzo di non sentire, ancora cinque minuti di riposo, il tempo di finire la tisana, pensò. Sebastiano continuava a lamentarsi. Sentì il fruscio dei lenzuoli, Massimo si era svegliato al lamento del figlio. Sentiva i movimenti di Massimo nella camera da letto, si era alzato ed era andato verso la culla di Sebastiano. Poi non sentì nessun rumore.
“Viola dove sei?” la voce di Massimo aveva un tono preoccupato.
“Sono in sala” rispose stancamente Viola, pensando che Massimo senza di lei si perdeva in una goccia d’acqua.
“Vieni di qua, Sebastiano scotta, secondo me ha la febbre” .
A Viola scivolò la tazza, si alzò di soprassalto e corse in camera.
Trentotto e mezzo. Il termometro sentenziò che Sebastiano aveva la febbre. Panico.
“Che facciamo?” chiese Massimo.
“Chiamiamo la pediatra”, rispose Viola, il suo numero di telefono l’ho scritto sul libretto sanitario di Sebastiano.
“Ma sono le sei di mattina, non la puoi chiamare a questa ora” fece presente Massimo.
“A noi occorre un pediatra adesso” ribatté Viola con voce tremolante.
“Andiamo al pronto soccorso in ospedale, un pediatra ci sarà” replicò Massimo.
“Non trovo nulla di patologico in vostro figlio, tranne il rialzo febbrile,” disse il pediatra dopo una attenta visita medica, “ ma avendo solo due mesi preferisco fare alcuni esami del sangue e un esame delle urine per escludere una sepsi”.
Patologico, sepsi, Viola non capiva molto bene questi termini ma non poteva far altro che fidarsi ed affidare il suo Sebastiano nelle mani di quel dottorino giovane, con gli occhiali sul naso e l’aria da secchione.
Aveva pianto a squarciagola, mentre le infermiere gli tenevano il braccio stretto, fermo, il dottorino procedeva a fare il prelievo; poi una volta terminata la procedura, una supposta nel sederino per abbassare la febbre; ora Sebastiano dormiva stremato nella braccia di Viola in sala di attesa. Massimo camminava su e giù per la stanza aspettando l’esito degli esami. In un ora dovevano essere pronti, aveva detto il pediatra.
“Vanno bene”, dichiarò il dottorino, sventolando tra le mani due fogli bianchi. “però preferirei trattenere Sebastiano in osservazione per un giorno per monitorare l’andamento della febbre”.
Viola e Sebastiano furono sistemati in una camera, con gli orsetti blu colorati sulle pareti. Viola mise Sebastiano nel lettino con le sponde e notò che pur essendo un piccolo letto, né occupava solo un terzo. Viola si lasciò cadere sulla poltrona accanto al lettino, provata da tutta la tensione dell’attesa.
Il giorno e la notte passarono con i soliti orari delle poppate e delle dormite di Sebastiano. La febbre era scomparsa.
“Molto probabilmente è stata una virosi, non ha più la febbre da ventiquattro ore, il piccolo sta bene, mangia, vi mando a casa” disse il primario durante il turno mattutino.
“Ma potrà tornare la febbre?” chiese Viola preoccupata.
“Potrebbe, ma per prima cosa lei somministri una supposta di paracetamolo e vede l’andamento della febbre; la febbre in sé non è una malattia ma un sintomo, comunque noi siamo sempre qua se avete bisogno”.
Entrarono lenti e muti in casa, chiusero la porta senza far rumore, posero Sebastiano nella culla e si fermarono a guardarlo dormire. Abbattuti si misero a sedere sul bordo del letto senza staccare gli occhi da lui. Viola e Massimo erano prostrati da quella esperienza. Ed era solo l’inizio pensarono. Chissà quante volte si sarebbe ammalato Sebastiano, e non solo quello. Come avrebbero fatto a difenderlo da tutto? Dai pericoli, dal dolore che la vita ti sbatte tante volte in faccia?
Erano seduti, uno accanto all’altro, con le mani appoggiate sul letto e fissavano Sebastiano dormire. Come era difficile fare il genitore. Prendersi cura di un essere indifeso che dipende totalmente da te. Non erano stati preparati a tutto questo. Non avevano avuto il libretto di istruzione per essere genitori. Erano stati schiacciati da tutta questa responsabilità. Ad un tratto si voltarono e si guardarono nei loro occhi stanchi. Le mani si sfiorarono. Si ritrovarono in un lungo, caldo, abbraccio.