Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2012 “Nel cielo di Lhasa” di Decimo Lucio Todde

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

The Giant Machine Material occupava il cielo di Lhasa. Nubi vaporose di fumo acre e violaceo esalavano da un punto indefinito della complessa macchina. L’ora stabilita della soluzione finale era giunta senza tanti clamori e la gente capì che il tempo millenario della storia umana si era consumato velocemente. In ogni angolo della terra, migliaia e migliaia di persone sentirono la necessità di raggiungere la città santa del Tibet. Nel corso dei secoli passati, lentamente e inesorabilmente, la macchina aveva corrotto l’umanità, riducendola allo stato animalesco primordiale: tutti gli esseri viventi del pianeta, eccetto i monaci tibetani, erano caduti nel suo ologramma illusorio. Si presumeva che The Giant Machine Material fosse la proiezione subliminale di un mondo già morto da miliardi di anni, popolato da esseri antagonisti della creazione biologica e in perenne contrasto con l’evoluzione spirituale. Tuttavia, al sorgere dell’anno 2381, il nefasto lavoro di questo strumento solido inconoscibile non era concluso. Il programmatore nucleare della macchina analizzava dati su dati al fine di completare la sua opera maligna, che prevedeva l’annientamento di ogni singola volontà terrena per realizzare la sua funzione finale: l’assoggettamento totale dell’umanità all’eterna sofferenza materialistica.

Il solido roteava lentamente su se stesso. Privo di ogni estetismo creativo, riluceva nel suo freddo colore grigio metallico; emetteva nano-onde all’infrarosso, capaci di inibire i processi mentali superiori dell’uomo. Incessantemente l’atomico sistema operativo della macchina sublimava desideri materiali. The Giant Machine Material avrebbe cancellato definitivamente ogni traccia spirituale dalla Terra e annientato il principio divino della creazione!

Un uomo canuto e avanti negli anni posava in profonda meditazione all’interno di un cerchio di luce eterea, dal diametro di ventisei metri; entità matematica che nella Kabballah ebraica corrispondeva al numero perfetto di Dio. Quell’uomo si chiamava Sechen Lama Rinpoche.

Il vecchio monaco stava assorto nella posizione del loto dinanzi al tempio di Jokhang, al cui interno riecheggiava il canto tibetano dell’Omkara.

Già da secoli l’umanità conosceva il Karma del Buon Cuore racchiuso nel cerchio di luce, definito “ Mandala della Conoscenza Assoluta”, pur tuttavia effimeri programmi e progetti futuristici avevano attratto i pensieri degli uomini e, così, il tempo si era consumato inutilmente. Il Santo tibetano Sechen Lama Rinpoche era stato prescelto dal fato divino per la battaglia finale contro il diabolico marchingegno, arrivato sulla Terra dagli abissi siderali in epoca preistorica. Egli aveva atteso questa sfida da lungo tempo. All’età di un anno e otto mesi era stata riconosciuta, in lui, la reincarnazione di un illuminato maestro passato a Luce Divina nell’anno 1959. Era cresciuto nel sacro mantra della compassione e aveva vissuto per tutta la vita nel silenzio, in un luogo incerto del Tibet. In tanti credevano che egli fosse disceso dalla montagna sacra Kailash, sul cui tetto vive il dio Shiva con la consorte Parvati. La sua coscienza aveva oltrepassato la barriera del tempo spazio-temporale; aveva abbandonato il suo stato corporeo e si beatificava nella gloria suprema indefettibile del creato. La Fede incrollabile di questo Santo sconosciuto poggiava sulla magnificente energia spirituale, che il tempio tibetano emanava dalle profondità della sua storia millenaria.

Egli riposava nell’oasi della pace assoluta.

Tutte le guerre dei millenni passati avevano trasformato il mondo e l’uomo stesso era divenuto una creatura esclusivamente terrestre, deprivata di ogni afflato metafisico. Accalcata nella piazza del Bakhor in uno stato d’intenso condizionamento al male, la gente attendeva la sconfitta del Santo tibetano per esaltarsi nella possessione totale e definitiva della materia, così come la macchina siderale aveva introiettato nel loro vissuto interiore. I monaci buddisti resistevano stoicamente all’esalazione delle correnti spirituali negative. Statici e solenni assiepavano la grande piazza di Lhasa, e intonando i mantra d’antico lignaggio sostenevano il sacrificio del vecchio Santo.

Per ben centoventi anni, la macchina materiale aveva occupato la mente dei più saggi e aveva inibito gli antichi insegnamenti del Buddha.

La nascita di questo Santo aveva spezzato quell’incantesimo e, intorno a lui, era rifiorita l’antica spiritualità tibetana. Egli aveva attraversato il ciclo delle reincarnazioni di sua spontanea e illuminata volontà per giungere intatto e puro alla lotta finale contro la diabolica macchina. Fin dall’adolescenza, una voce misteriosa gli aveva indicato meticolosamente le varie fasi della sua immane battaglia spirituale.

La macchina sostava in sospensione nel cielo sopra l’antico tempio di Lhasa. La sua forma tronco-conica era divenuta visibile e, agli occhi di quella massa di gente genuflessa, appariva splendente più del sole. La ferrea disciplina del Guru Yoga Sechen Lama Rinpoche ostacolava l’insulso progetto della materia. Egli vigilava dallo stato del Rigpa (Luce splendente della mente) e vedeva in quella struttura l’inganno e la fallacità delle immagini illusorie che si proiettavano nella sfera psichica dell’umanità, ipnotizzata dalla materia.

The Giant Machine Material riversava nella mente del vecchio monaco visioni subliminali terrificanti per indebolirne la sua capacità spirituale. Egli reagiva al male e, lentamente, si trasformava in un’essenza di luce sempre più rarefatta. La macchina non poté aspettare oltre e sferrò un attacco orripilante al Mandala della Conoscenza Assoluta. Una figura mostruosa fuoriuscì dal solido lucido e compatto: un gigantesco drago cavalcato dalla nera forma della morte si avventò sulla dimensione astrale di Sechen Lama Rinpoche.

Il Manta universale Om Namaha Shivaya vibrò sulle labbra dell’illuminato maestro e quel luogo si riempì di pace.

Il drago svanì nel nulla.

The Giant Machine Material, allora, partorì un ragno enorme e maligno. Il mostro si aggrappò al Mandala di luce e cominciò a tessere intorno ad esso una ragnatela nera e viscida, fino a oscurare la sublime luce spirituale del maestro tibetano. Ogni sacrificio di quell’uomo misericordioso sembrò vanificarsi all’istante, ma la sua anima restava pura e intatta, se pur imbrigliata nella tela di Maya. La macchina cominciò così a introiettare i suoi perversi condizionamenti nella mente del saggio, sotto forma di visioni paradisiache. Mille candide voci lodavano la potenza del maestro e lo osannavano alla pari di Dio per gloria e santità. Immagini illusorie, false e sacrileghe, dovette osservare il buon uomo della luce spirituale.

La voce di Sechen Lama Rinpoche si levò alta e la tela materiale cominciò a sgretolarsi. Il sacro mantra di Avalokiteswara, l’eccelso mantra della compassione liberò il saggio dal groviglio del ragno, e il Mandala della Conoscenza Assoluta riprese a splendere di pura luce. Dallo spazio meditativo, egli pronunciò le parole dell’antico Santo tibetano Shantideva:

Tutta la gioia di questo mondo deriva dal desiderare la felicità degli altri; tutta la sofferenza di questo mondo deriva dal desiderare la felicità di me stesso.

Il cielo di Lhasa si oscurò e dalla macchina si liberò un gas soporifero, mentre un’onda vibratoria si propagava nell’etere e trasmetteva alla parte più istintuale del cervello umano un ordine ben preciso:

ABANDONMENT OFF ALL SPIRITUAL VISION!

Dalla gigantesca macchina si aprì una porta di luce violacea dall’inaudita potenza magnetica. Un’intensa attrazione biomolecolare cominciò ad agire su quel luogo sacro e molta gente fu risucchiata in quel mondo illusorio di falsa felicità.

L’illuminato maestro estese la sua dimensione meditativa e otto raggi di luce splendente illuminarono il cielo e la terra: “Ecco l’ottuplice sentiero del Buddha” pronunciò dalla luminosità del Dharma.

Il tempo si fermò.

La luce di una lampada a olio si accese nel monastero.

Om Padma Hum! Om Padma Hum! Om Padma Hum!

Il mantra della compassione risuonò in ogni luogo del mondo.

The Giant Machine Material cominciò a roteare vertiginosamente su se stessa a velocità astronomica, producendo un’energia quantistica negativa incommensurabile, ma fu soltanto l’ultimo atto della sua agonia. La perenne vibrazione del suono Om attraversò la sua materia ed essa prese a dissolversi in una sostanza grigiastra e fluida. Lentamente svanì nel calmo oceano del fiore di loto.

Un monaco agitò il gantha. La campana della saggezza risvegliò le coscienze.

Il Santo Sechen Lama Rinpoche uscì dal Mandala della Conoscenza Assoluta, congiunse le mani, fece un inchino al sacro monastero di Jokang e vide che il cielo di Lhasa splendeva diamantino come la mente del Buddha.

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3 commenti »

  1. Un racconto fantascientifico ricco di lessico, originale, didascalico e dal sapore illuministico. Bella l’ambientazione tibetana assunta come luogo della spiritualità assoluta, contrapposta al materialismo imperante e crescente degli ultimi secoli.

  2. Grazie per il tuo bel pensiero.

  3. Geniale! una scrittura precisa, fluida, ritmata e colta che mi è piaciuta moltissimo, un’idea davvero buona. Che dire? Bravissimo.

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