Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2012 “Luna su Alfama” di Maurizio Malavasi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

In quell’angolo della città passava un solo tram, uno di quei piccoli tram gialli che s’inerpicavano sulle stradine di Alfama e si perdevano tra le vecchie case e lo sventolìo di panni bianchi stesi.

Con l’approssimarsi alla parte alta del quartiere le viuzze salivano strettissime e le casette si facevano più fitte, costellate di finestre piene di gerani rossi e di edere, di volti di donne che cantavano o gridavano dietro i loro figlioletti.

In quella parte di Lisbona capitò Ricardo. Aveva lo sguardo rivolto ai numeri delle case e uno strano senso di smarrimento annebbiargli la mente.

Quel bramato numero 10 di Rua do Paradiso non arrivava mai; quando gli sembrava di essere ormai vicino, una serie di piccole botteghe, negozietti di azulejos e antiquariati prolungavano ancora per alcuni metri il suo cammino.

Cambiò di mano la valigia e, con quella libera, tolse ancora una volta di tasca il biglietto tutto spiegazzato “Rua do Paradiso n°10” c’era scritto. E, subito sotto, “Famiglia Bento”.

Poco dopo si fermò. Non vi erano dubbi. Era proprio di fronte al numero 10 di quella via. La sua casa. O, almeno, quella che per qualche tempo sarebbe stata la sua nuova casa.

Non che si aspettava certo una reggia: avrebbe preferito almeno una casa accogliente e meno fatiscente come quella…

Lui, che ad Albufeira abitava in una villetta con uno splendido giardino immersa nel verde.

Ma la capitale era una cosa e Albufeira un’altra.

Suo padre si era accomiato da lui davanti alla porta di casa raccomandandogli fiducioso:” E’ gente di Albufeira e sanno di chi sei figlio. Non ricchi, ma brave persone…e poi tu vai a Lisbona per lavoro, non per altro. Ti tratteranno col dovuto rispetto.”

Eh già…Qualche mese prima il ragazzo era riuscito a vincere il concorso per entrare in polizia e dopo vari tentativi andati a vuoto era bastata una nuova conoscenza di papà per superare la selezione e diventare finalmente un agente di pubblica sicurezza, quello che aveva sempre sognato.

Aveva posato ora la valigia a terra e stava immobile, davanti a quella porticina. Si affacciò da un balcone vicino un donnone con mezzo seno che le traboccava fuori dalla vestaglia e Ricardo abbassò lo sguardo.

Restare lì fermo, incollato sul marciapiede non aveva senso, gli conveniva salire da questi Bento, non aveva altre alternative per il momento. Caso mai, dopo qualche giorno, avrebbe telefonato a suo padre e cambiato casa. Per fortuna, non vi erano problemi economici, solo che per papà se una persona era anche lontanamente originaria di Albufeira era come un fratello.

“Oh…splendido, splendido…” esordì il signor Bento. Aveva tolto la valigia dalle mani del suo nuovo ospite e si era dimenticato di posarla, così gesticolando, la alzava e la abbassava e nella sua manona enorme non sembrava più una valigia, ma una cartellina vuota.

“Scommetto che non ha mangiato, vero?” lo interruppe la moglie, minuta e ilare nel suo volto dalle guancette rosse, “e tu stai ancora a ripetere per la ventesima volta splendido- splendido, posa quella valigia Luis” concluse la moglie riferendosi al marito.

Poi, rivolgendosi a Ricardo, lo esortò a non badare al caos in giro dato che in casa giravano due figli disordinatissimi.

Pochi minuti dopo Ricardo era a tavola. La signora aveva messo giù in fretta e furia una tovaglia di bucato fresco che sventolava fuori dal balcone prima della sigla del telegiornale, mentre il signor Luis era sceso a comprare il Porto, nonostante le proteste dell’ospite.

“Dannazione!” aveva detto quell’omone “sono un bidello, non un barbone! Non lo compro spesso perché mi rovina il fegato, però oggi c’è un nostro compaesano e dobbiamo festeggiare…”

A tavola, tra un bicchiere e l’altro, Bento padre aveva iniziato il suo sfogo che, finalmente, trovava un degno ascoltatore: i figli gli stavano rovinando l’esistenza e il fegato…ecco tutto. Dov’erano adesso, tanto per essere precisi, mentre la famiglia era a tavola e per di più c’era un “illustre” ospite?

Mistero.

Le scuse erano comunque già pronte: gli straordinari sul lavoro, il tram in ritardo, e così via, una frottola dietro l’altra.

Solo che si stavano sbagliando se credevano che lui abboccasse a tutto, non era certo nato ieri, ed era certo un tipo sveglio.

Ricardo ascoltava, annuiva, ogni tanto azzardava qualche giustificazione per i figli: non aveva capito nemmeno di che sesso fossero e che età potessero avere: ma non gliene importava assolutamente nulla, il suo pensiero era rivolto ancora a casa sua.

Le sere, a quest’ora, era già sul divano con Isabel ad ascoltare il loro CD preferito o a guardare un film preso a noleggio.

Isabel…così donna e matura, con un profumo sul collo che lo stordiva letteralmente.

A volte usciva con lei sul lungomare per passeggiare mano nella mano fino al locale di Xavier dove la prendeva in spalle e le faceva fare un po’ di metri “in spagoletta”.

Isabel aveva un modo tutto suo, tiepido e confidente di raccogliersi tra le sue braccia ed era per questo che Ricardo si sentiva il padrone dell’Oceano in quei momenti.

“Non resterò da questi Bento: domani, al massimo dopodomani, trovo una scusa qualunque e levo le tende” decise.

Suonò il campanello.

“Vede?” esplose Luis “A quest’ora…”

Entrò sua figlia, pallida, spettinata e con un fare un po’ trasandato.

Aveva qualcosa di sfrontato e di indifferente nello stesso tempo: attraente, a modo suo, ma niente affatto interessata al proprio aspetto.

Tese la mano dicendo “piacere” e si diresse verso il balcone accendendosi una sigaretta mentre papà le decantava ancora le qualità dell’ospite e del padre”

“Sa, è molto timida, è una ragazza particolare, a volte solitaria, non ha ancora un fidanzato e non gliene importa niente averlo…” sussurrò.

Ricardo annuì e, a dire la verità, il ritratto della ragazza che aveva delineato il padre non era molto lontano da quello che stava notando in quell’istante.

Suonò il telefono, la madre dopo aver parlottato un po’ alla cornetta, tornò in salotto con il viso semiafflitto mentre guardava di sottecchi il marito “Victor ha telefonato per dire che mangia un boccone fuori perché è appena andato a giocare a calcetto con gli amici”

“Splendido, splendido…”scattò in piedi Luis.

Mandò giù un bicchiere di Porto per dimenticare le parole della moglie, ma un accesso di tosse tolse ogni dignità al suo atteggiamento.

La figlia seguitava a fumare, appoggiata alla ringhiera mostrandoci il suo profilo.

Il sole stava calando sul quartiere e quel gioco di chiaro-scuri sui tetti delle case creava quel non so ché di diafano lungo tutta la sua sagoma.

“E’ pronto da mangiare per me?” chiese la ragazza rivolta alla madre.

Luis la interruppe con tutta la sua arrabbiatura ” Perché scusa? Arrivi quando cavolo vuoi e vuoi pure il piatto caldo, eh?”

“Devo uscire”

Luis guardò Ricardo e poi uccise sua figlia con gli occhi. “Tu non vai da nessuna parte, carina stasera…Stasera abbiamo ospiti e non ti muovi di qua!”

“Signor Bento, ma la signorina può uscire senza problemi…non sono certo un’ospite d’eccezione io…”

“Niente ma…signor Ricardo, il fatto è che la signorina deve imparare ancora cos’è il rispetto…”

Il giovane allargò le braccia e sorseggiò un po’ di Porto. Luis gli stava simpatico: voleva fare il pater familias, ma non ci riusciva: in fondo in fondo adorava i suoi figli.

La ragazza guardava il padre con freddo astio. I suoi occhi di sfida erano capaci di esprimere assai di più di quello che gli avrebbe urlato dietro. Buttò la sua sigaretta ed esordì con un “Cos’è ‘sta storia del non uscire stasera?”

Il padre parve titubare un attimo “E’ che…una ragazza di 19 anni non può uscire tutte le sere…cos’è questa? L’orgia del divertimento? Questa casa non è l’albergo Bento!!!”

“Allora vado a letto. Ho mal di testa” disse quasi con sprezzo. Si strofinò il naso, fece un cenno alla mamma e se ne andò verso la sua stanza.

“Vede? Vede?” proruppe Luis torcendo gli occhi.

“Ecco i figli d’oggi, la gratitudine che hanno verso chi ha sacrificato tutto per loro! Ed io che avrei voluto studiare e i miei non ne avevano le possibilità…continuiamo così, continuiamo a sputare addosso ai genitori, che bella riconoscenza!!!”

Sennonché, inaspettata, risuonò la vocina flebile della moglie “Tua figlia non è una bimba e studia per realizzarsi un giorno, quello che tu non sei riuscito a fare ma per colpe non tue…Avrà diritto a svagarsi anche lei o no? Non ti ricordi tu quando avevi vent’anni, eh? Che andavate in giro in vespa in 3…!!!”

Luis sbuffò, bevve un altro bicchiere di Porto. Era incazzato nero e confuso allo stesso tempo, incerto tra l’amore filiare e la loro mancanza di rispetto.

“Bello spettacolo che abbiamo dato! Chissà cosa penserà questo compaesano di noi!”

Ricardo lo interruppe “Per carità, signor Luis, non si metta idee sbagliate in testa…cose di questo genere succedono in tutte le famiglie”.

Luis pareva un po’ più consolato adesso. Guardava il fondo del bicchiere come se dovesse trovarci la risposta a ogni perché.

Il ragazzo si stirò un attimo e guardò l’orologio: in quel momento Isabel stava ascoltando il loro CD, come aveva promesso.

Isabel…

Quando stava per baciarla lei chiudeva gli occhi, lo sentiva sempre un attimo prima, come una micina…

Ma gli venne in mente improvvisamente anche la figlia di Luis e Isabel svanì, come in un ricordo d’infanzia.

Guardava il balcone lasciato vuoto da quella ragazza e provava un desiderio di rivederla, di sentire ancora la sua presenza senza neppure il bisogno di levare gli occhi.

O forse era il Porto…ne aveva bevuti di bicchieri!

Alle 11 Luis, che aveva cominciato a sbadigliare da mezz’ora, chiese scusa, sostenendo che il mattino seguente alle 6 e 30 era in piedi e andò a letto.

Dopo alcuni istanti di silenzio la madre uscì dalla cucina asciugandosi le mani, indicò la camera a Ricardo e poi si congedò da lui raggiungendo suo marito nella stanza da letto.

Il giovane ospite rimase solo.

L’idea di coricarsi adesso gli metteva angoscia: lui, che ascoltava il rumore del mare fino a mezzanotte.

Si soffermò sulla ringhiera del balcone a respirare il profumo notturno della capitale. Le grida dei bambini, i canti delle madri e l’odore di olio fritto avevano lasciato il posto al silenzio, all’oscurità e ai bagliori che uscivano dalle finestre.

Sentì un tintinnìo di bicchieri, si girò e notò la figlia che dal salotto si dirigeva verso di lui.

Non era andata a letto? Si chiese tra se e sé

Lei sorrise quando già era a un palmo dal suo viso.

“Non dormo se vado a letto così presto” sentenziò “L’ho detto perché non volevo più vedere mio padre in quel momento”

Gli si avvicinò con due bicchieri di Porto in mano e gliene porse uno.

“Beh…che ne pensi?”

“Di cosa?” balbettò Ricardo.

Era preso di sprovvista, legato all’idea di figlia che gli aveva delineato papà Bento.

“Ma di tutto naturalmente! Questa vecchia casa di Alfama, la tua stanzetta, le chiacchere di mio padre quando beve..”

“Cosa devo dire? Non mi dispiace…Mi sembra di ritornare in un luogo già noto, se penso che sono qui da qualche ora…”

In un certo senso era vero, forse era quell’aria fresca che entrava dal balcone a ricordargli il lungomare della sua cittadina o la semplice presenza di lei che lo agitava mettendogli in corpo una dolce, ebbra inquietudine.

Il ragazzo desiderò baciarla in quel secondo; lo desiderò più di qualsiasi altra cosa al mondo. Ma non ne avrebbe mai avuto il coraggio.

Avvicinò il suo bicchiere a quello della ragazza per un piccolo accenno di brindisi e sorseggiò del Porto.

“No…no…non ti preoccupare; di scene così ne ho viste…” e stoppò il suo istinto.

Lei trangugiò in un sol sorso il Porto dal suo bicchiere e prese per mano il suo ospite.

Il cuore di Ricardo batté a mille in quel mentre, poi lei fece scivolare le sue dita sul suo palmo e gli sorrise.

“Hai visto che luna stanotte su Alfama?”

Il giovane mise fuori la testa in direzione del cielo e scrutò l’orizzonte. Aveva ragione lei. La luna piena di quella serata illuminava a giorno i tetti del quartiere creando quasi una scia di falene che sfiorava tutti i camini delle case.

“E’ meravigliosa, non sembra neanche vera: ma è sempre così la luna su questa città?!?!”

“No, è che l’ho dipinta io…per questo è cosi!”

“Come l’hai dipinta te?”

“Sì, non sai che dipingo? Mio padre non ti ha raccontato nulla di me? Non ci credo…”

“No, nulla”

“Beh, allora sappi che sono un artista” concluse con un’aria piuttosto ironica.

Lui le sorrise accettando il gioco in cui lo aveva coinvolto. “Le piace giocare…allora stiamo al suo giuoco, vediamo dove mi porta…” ripassò mentalmente.

La ragazza gli strinse di nuovo la mano e lo trascinò verso il corridoio. “Vieni che ti faccio vedere la mia camera adesso!”

“Senti, ma…” mormorò il giovane.

Lei non lo ascoltò, aprì la porta piano piano e accese la abat-jour.

“Che te ne pare?”

“Eh!!!”

“Scccc” abbassa la voce “E’ tardi, i miei dormono…”

“Ah, scusa”

Su quelle quattro mura si stendevano una miriade di disegni, bozze, quadri e azulejos di varie dimensioni. L’intera scrivania era sommersa da colori, pennelli e altri barattolini vari. Il tappeto che si allungava di fianco al letto era totalmente coperto da cavalletti in legno e stracci sporchi di vernice.

“Come fai a muoverti qui dentro?”

“Ci sono abituata, sai…Non fare caso al delirio che c’è qua. Guarda quello che c’è appeso e dimmi che ne pensi”

“Sei bravissima, mamma mia quanti disegni! Stai facendo una scuola o dote naturale?”

“Uno e l’altro, disegno da quando ho imparato a tenere in mano una matita e adesso seguo una scuola di scenografia…Allora, quale di questi ti piace di più?” concluse indicandomi alcune delle sue opere.

“Mah…direi che questo volto di donna a carboncino mi ha colpito molto…”

“Sai chi è?”

“No”

“E’ mia madre da giovane, un suo ritratto”

“Caspita… sei proprio in gamba”

“Ci ho messo poco a farlo, adoro disegnare col carboncino, la mano mi scivola via con più facilità”

Poi mi guardò con aria indagatrice, aggrottò le ciglia ed esplose con un “Ma perché non ti siedi un attimo e ti fai fare un ritratto col carboncino?”

“Adesso?”
“Sì perché?”

“Non so…quanto ci metti? Non devi andare a letto?”

“No, ma va! Ci metto pochissimo, siediti, dai!”

Ricardo si convinse. Si sedette sulla sedia e mise il viso nelle direzione che gli aveva suggerito la ragazza.

Lei tirò fuori tutto il necessario, mise un cartoncino duro sotto un foglio bianco, si sdraiò davanti al nuovo ospite e iniziò a disegnare.

Dopo vari movimenti della mano e alcune sue espressioni da “artista al lavoro”, il provetto poliziotto ruppe il silenzio.

“Ma non mi starai facendo più brutto del solito, vero?”

“Scccc!!! Sto creando, quando creo ho bisogno di silenzio…”

“Va bene”

Il giovane si zittì e attese il tempo necessario per la conclusione del ritratto. Continuava comunque a spiare la figlia di Luis nei suoi atteggiamenti: mordicchiava il matitone con cui disegnava, storceva il naso a ogni schizzo, infine inarcò le labbra quando terminò l’opera d’arte.

Com’era naturale in queste sue movenze, sembrava proprio una bimba alle prese con i suoi primi disegnini.

Quanto gli piaceva!

“Ecco fatto”. Prese il disegno con entrambe le mani e, con ancora la lingua tra i denti, affermò che era venuto benissimo.

Poi lo appoggiò sulla faccia di Ricardo e lo tolse dopo qualche secondo.

Guardo dritto nei suoi occhi e in seguito lo coprì di nuovo col disegno.

“Sì, sì, è quasi perfetto!” terminò sorridendo.

Il ragazzo fremeva dal vedere quel foglio e glielo strappò quasi dalle mani: lo fissò per un attimo e poi guardò lei.

“Beh, ma non sono ancora in divisa!?!?”

Aveva anche schizzato sotto il volto del ragazzo il suo corpo in miniatura vestito con la divisa della polizia e una paletta in mano.

“Che matta che sei, mi somiglia tantissimo!”

“Bene, sono contenta, ridammelo un attimo che voglio ritoccarlo…”
“Sì, sì, ma dopo me lo ridai, vero?”

“Che scherzi? I disegni che faccio li tengo tutti io…”

“Ah…ma allora cosa l’hai fatto a fare?”

“Perché pensavi che te lo avrei regalato? Ogni ritratto che faccio è custodito gelosamente da me”. Ricardo non rispose. A dire il vero ci rimase un po’ male, poi ripensò alle parole di Bento Padre e capì che s’era fatto un’idea sbagliata di lei: era una ragazza molto strana e particolare, ma a lui piaceva non poco e bisognava accettarla così com’era.

La figlia di Luis coprì di nuovo il volto di lui col foglio e accennò alcuni ritocchi.

Si fermò all’improvviso. Passarono alcuni secondi. Avvicinò il proprio volto al disegno.

Solo un foglio bianco divideva il suo viso da quello di Ricardo.

Il giovane sentì il suo respiro vicinissimo e il suo alito inumidire la carta.

Lei tirò via il disegno che divideva i due profili e poi rimase in silenzio a osservarlo nella penombra della cameretta. Lo fissò negli occhi con serietà e compostezza. Rimase fissa e immobile a contemplarlo a un centimetro dal naso. Poi abbassò lo sguardo verso la su bocca e gli diede un bacio. Ricardo aveva freddino tra quelle mura, ma quell’incontro di labbra lo riscaldò frettolosamente e lo fece saltare sulla sedia.

Il sapore che gli lasciò sulla bocca lo inebriò moltissimo e quando lei si allontanò lentamente dal suo viso, fece passare la sua lingua sulle labbra per sentire ancora l’umido di quel bacio e per verificare se ciò che era accaduto era realmente vero.

“Scusa” disse lei “ti auguro una buona notte…”

Lui voleva sussurrarle qualcosa, ma non gli usciva niente dalla gola.

La ragazza si alzò e si diresse verso la finestra rimanendo parzialmente in controluce.

Ricardo capii che in quel momento qualsiasi cosa avrebbe vibrato la sua voce sarebbe stato superfluo. Solo il silenzio avrebbe espresso al meglio tutto quello che si era creato in quella stanzetta. Il giovane si girò di nuovo verso la finestra. Lei fece un sospiro profondo poi sussurrò “Ana…mi chiamo Ana”

“Buonanotte Ana” mormorò Ricardo

“Buonanotte Ricardo”

Il ragazzo si allontanò lentamente lasciandosi dietro la porta a vetri. Entrò nella sua stanza, aprì i vetri della finestra e si sdraiò sul letto cercando di assaporare ancora il momento in cui incrociò le labbra di Ana. Poi ripensò a Isabel, al suo volto gentile, ai suoi capelli mossi.

Ma l’immagine di Ana era molto più forte: il suo volto, triste e indifferente insieme, soverchiava tutto: era appeso su quella luna piena che quella notte dominava Alfama.

Poco dopo scattò una chiave nella porta d’ingresso. Il fratello tornava dalla partita di calcetto.

Ricardo si voltò nel letto. Chi avrebbe preso sonno dopo quello che era appena successo?

Fissò fuori dai vetri in cerca di nuovo di un’immagine di lei.

Alcune lontane note di fado salivano dal ristorantino all’angolo della via. La luna brillava ancora sopra i tetti del barrio, e sembrò per una frazione di secondo avere il volto di Ana che gli strizzava l’occhio allegramente. Il giovane fece un sobbalzo nel letto. Ora si sapeva con certezza che non si sarebbe più mosso di lì. Il caso lo aveva condotto nel posto giusto. La sua nuova casa, a Lisbona, era in rua do Paraiso al numero 10.

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1 commento »

  1. Un racconto che in maniera dolce e armoniosa descrive come spesso i padri, pur sforzandosi, capiscono poco la vera indole
    dei propri figli. Ana è giustamente fiera di avere un carattere tutto suo, e Ricardo inizialmente spaesato dinnanzi alla nuova famiglia,
    ha potuto vedere da vicino, come Ana sia in grado oltre a dipingerle, pure di farle vivere a chi la ascolta, le atmosfere inattese e piacevoli.
    Caratteristica tipica delle persone molto creative, come l’autore di questo racconto.

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