Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2012 “L’appartamento in affitto” di Giovanni Fiorina

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

Il cellulare vibra sulla mia scrivania come una mosca caduta nell’acqua.

– Pronto?

– Ciao, sono Barbara. Mi ha dato il tuo numero Vittorio, ha detto che forse hai un appartamento da affittare.

Vittorio è un mio amico che insegna all’accademia di teatro. Come ogni settembre, i nuovi iscritti cercano qualcosa in affitto, non lontano dalla scuola, in zona Porta Romana, e lui mi chiede sempre se ho qualche appartamento libero, se può girare il mio numero. Di solito rispondo di no, intanto perché lavoro solo tramite agenzia, e poi perché aspirante attore non sempre fa rima con garanzie economiche. Quest’anno, però, il mio numero l’ho dato a tutti, pur di riuscire ad affittare qualcosa.

– Cosa ti serve? Un bilocale o un trilocale?

– Stavo cercando un bilocale, arredato.

La voce di Barbara è giovane e bella.

– Sì, ho qualcosa. Però i nostri appartamenti sono nuovi, arredati e corredati, con televisione, microonde, stoviglie. Insomma, sono un po’ cari – le spiego, un poco annoiato.

– Ah, ho capito. Il mio budget è di mille e cento euro al mese, possono bastare?

Cazzo. L’agenzia quest’appartamento l’ha fuori a mille euro, e sono cinque mesi che è fermo. Il tono della mia voce diventa all’improvviso più alto e gentile.

– Guarda, la richiesta sarebbe mille e duecento, spese condominiali comprese, comunque iniziamo a vederci e se poi ti piace una soluzione la troviamo. Ma tu sei in accademia con Vittorio, giusto?

– Sì, sì, Vittorio. Se potremmo vederlo presto, l’appartamento, che ho un po’ di fretta, che dici?

Le allieve di Vittorio di solito non sbagliano i congiuntivi. Ma per mille e duecento euro al mese per un bilocale sono pronto a sbagliarli anch’io, i congiuntivi.

– Facciamo stasera verso le sei e mezza? L’appartamento è in via Piacenza 4, ci troviamo lì davanti.

– Perfetto, a dopo.

Quando arrivo in via Piacenza, Barbara è già lì davanti al portone. Un po’ bassa, i capelli neri, lisci sulle spalle, indossa una maglietta viola attillata, jeans stretti, stivali neri. La tipica allieva di Vittorio è lesbica, di sinistra e incazzata. Questa è molto più atteggiata, anche se non è un granché: mi ricorda la mia compagna delle medie Lovati, una che a tredici anni aveva un seno da maggiorenne e un ragazzo che l’accompagnava a scuola in moto.

– Ciao. Io sono Barbara.

Mi presento e le chiedo se conosce la zona, se sa quanto è fornita, quanto è strategica come posizione, con la metro, i negozi, i ristoranti e tutto il resto. La faccio camminare di fronte a me, indicandole la porta dell’appartamento e sforzandomi di non guardarle il sedere, che infatti non capisco com’è, e intanto le racconto dei tanti lavori fatti nel palazzo dalla mia società per ristrutturarlo, dell’ascensore, del tetto rifatto, dei serramenti cambiati per raggiungere una maggiore classe energetica.

Lei sorride, senza farmi domande.

Quando entriamo nell’appartamento ne prende subito possesso, senza lasciarmi il tempo di guidarla per il mio tour organizzato. Ho paura che parta dal bagno, che in questo bilocale è una vera tragedia, piccolo e stretto com’è, soprattutto per una donna è qualcosa d’invivibile, ma lei, invece, va diretta in camera da letto, che è una bella camera, spaziosa, ben arredata, e poi nel soggiorno cucina. Io, intanto, cerco di farmi notare mostrandole quello che dovrebbe essere il pezzo forte di questo appartamento, un giardino interno tutto suo, anche se in realtà è un piccolo cortile, senza un filo d’erba, con un bell’abuso edilizio del vicino che lo sovrasta. All’inizio quasi mi vergognavo, di dire che c’era anche un giardino, però a Milano è una rarità, in effetti, avere uno spazio all’aperto privato, magari per un cane, così di solito il mio giro prevede camera, veloce passaggio nel soggiorno cucina (nulla d’indimenticabile), vista sul cortile, e poi via con tutti i comfort, dalla lavatrice alla lavastoviglie, dal televisore a schermo piatto alle pentole tutte nuove. Il bagno non lo faccio vedere fino a quando non me lo chiedono loro, e comunque non prima di aver elencato anche tutti i vantaggi del condominio, la sua tranquillità, la serietà degli altri condomini, la sua magnifica posizione. Li bombardo talmente tanto d’informazioni che molti neanche se lo ricordano, di chiedere del bagno. Barbara è una di queste: esce dalla stanza da letto con la faccia di chi ha già deciso che va bene, dà un’occhiata al soggiorno-cucina, poi sposta le tende per vedere il cortile. I suoi occhi guardano in alto, verso le finestre dei vicini. Poi si siede e appoggia la borsa sul tavolo da pranzo. Quando mi passa accanto, mi accorgo che i suoi capelli odorano di fumo.

– Va benissimo. È tranquillo, isolato, la gente si fa i fatti suoi. A me interessa soprattutto questo, che la gente si fa i fatti suoi.

Penso agli Esposito, i pensionati che vivono qui sopra. Entrambi ex portinai, sono le mie spie nel palazzo.

– Guarda, è tranquillissimo. Ci abitano solo persone che lavorano: escono il mattino e tornano la sera. Di giorno c’è solo un poco di passaggio per via dello studio d’architettura qui sopra e dei negozi sulla strada, ma stai tranquilla che si studia benissimo.

– Meglio se c’è un po’ di passaggio, così ci si confonde.

Questa non l’ho capita.

– Scusa, ma tu sei amica di Vittorio, giusto?

– Sì, di Vittorio.

– E fai l’accademia di teatro con lui, no?

Barbara mi guarda con una strana espressione in viso. Credo si stia domandando se sono un cretino.

– No. Io intendo Vittorio quello che lavorava all’agenzia immobiliare, hai capito quale?

Le dico di sì, anche se non è vero: quell’agenzia cambia personale ogni tre mesi.

– Comunque, chi se ne frega di Vittorio. Ti piace l’appartamento?

– Sì, va benissimo. Ma ho veramente fretta: posso entrarci subito?

– Certo. Devo chiederti, però, che garanzie economiche mi puoi dare.

– Oh, per quello non c’è problema: i miei clienti sono tutti professionisti.

Non riesco a non sorridere.

– Scusa?

– Ma sì, sono tutti medici, avvocati, gente seria. Anche Vittorio l’ho conosciuto così, gli ho detto che avevo urgenza di trovare un altro appartamento e lui mi ha dato il tuo numero.

Cerco di ricordarmi che faccia ha quella testa di cazzo di Vittorio, senza però riuscirci.

– Ah perché quindi tu…

– Sì, faccio quel lavoro lì, è inutile nasconderlo. Sto cercando un appartamento per me e per il mio ragazzo, lui di giorno lavora, io ricevo. Perché, c’è qualche problema?

– No, figurati, è che sai, io lavoro per una società, facciamo tutto in regola, mi chiedono di portare solo persone con garanzie economiche ben precise. Che so, una busta paga, una dichiarazione dei redditi, qualcosa del genere.

Barbara sussurra un capisco, e guarda per terra. Poi ricomincia a parlare come se non avessi detto nulla.

– Perché io credevo che era casa tua, questa, ok? Allora dicevo, a lui che gli frega? Passi qui una volta alla settimana, ti do trecento euro e se vuoi anche un regalino, e siamo tutti contenti, no?

– Certo, figurati, solo che non saprei proprio come f…

– Perché guarda che io lo faccio solo adesso perché è un periodo di crisi. Io avevo la mia attività, sai? Poi è andata male, e allora ho bisogno di soldi. Però ho una reputazione, mi vesto bene, mica c’ho scritto zoccola in faccia, no? Solo che ora ho bisogno, e questa è come una seconda vita, una cosa temporanea, personale, sono cazzi miei.

– Certo, figurati, ci mancherebbe.

Ormai riesco a dire solo figurati.

– Io ho i miei clienti fissi, ne faccio massimo quattro al giorno, uno ogni tre ore, così c’è tutto il tempo. Ogni volta sono duecento euro, trecento se vuoi qualcosa di più. Tutta gente che paga subito, fidata, professionisti. Quando arrivo a quattromila smetto fino al mese dopo, ma solo perché non ho più voglia, perché se ho bisogno di soldi ne faccio anche duemila a settimana. Ma ora non ho un posto, e andare a casa della gente non mi fido. Per un po’ sono andata in macchina, o nei parcheggi dei supermercati, solo che così mi sentivo proprio zoccola. Allora ho iniziato a dare cinquanta euro di qui e cento di là, per farmi prestare una stanza, ma così vanno via quasi mille e cinquecento euro al mese. Meglio prendere qualcosa in affitto, no? Senti, fino a mille e cinquecento ci arrivo tranquilla, ti va bene?

Il cellulare di Barbara suona prima che io possa rispondere. Non controlla neanche chi è, dice di richiamare tra mezz’ora e riattacca. Poi mi guarda con gli occhi della femmina che fa capire al maschio che ci sta, e questa volta ho la certezza che ci sta sicuro.

– E’ che non posso, avremmo problemi sia io che te.

Non mi sembra vero di avere una scusa inattaccabile anche dalle tentazioni.

– Che peccato…L’appartamento è perfetto, mi ricorda quello che avevo da bambina al mare con i miei – e si guarda di nuovo intorno, sincera. Poi torna a fissarmi, e capisco che tra poco dovrò decidere.

– Sono davvero nella merda, non so dove andare. Potrei lasciarti un anticipo di mille euro e un bel regalo, subito – mi sussurra sporgendosi verso di me e appoggiando la mano sul mio ginocchio. Qualcosa si muove dentro i miei pantaloni. Barbara se ne accorge, e si avvicina ancora di più. Sento di nuovo l’odore di fumo dei suoi capelli, e vedo le unghie sporche delle sue dita. A un tratto l’immagine del mio pene che la penetra come forse hanno già fatto almeno altri tre quest’oggi mi sembra di una tristezza assoluta. Le allontano la mano, e sorridendo le dico che è meglio di no. La vorrei aiutare, ma se le offrissi qualcosa poi sarebbe impossibile liberarsene. Mi alzo, per farle capire che è ora di andare.

Si alza anche lei, lentamente, controvoglia, e questa volta sono io a uscire per primo dall’appartamento.

Per cercare di sembrare gentile, le dico che per ora è così, che però se tra qualche mese sono ancora fermo magari ci ripenso, tanto il suo numero l’abbiamo. Lei non cambia espressione, sa che sto cercando solo un modo per salutarla. Quando mi dice ok ho già allungato la mano, lei la stringe debole e poi fa per aspettarmi, per uscire insieme. Ma non voglio, e le spiego che devo chiudere tutto, di andare pure. Barbara allora si gira verso il portone, e io posso finalmente fissarle il sedere.

No, non è nemmeno un bel sedere.

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