Premio Racconti nella Rete 2012 “Indugiare” di Tullio Bugari
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012Saluta la sua compagna sfiorandole le labbra con un bacio fugace, quasi distratto, ma lei è altrove e quando si volta lui già si distoglie. Va di fretta, o quasi. Beve in piedi il caffè, poi s’allontana e le dice ciao, mentre strizza l’occhio, scherzoso. Ancora ignaro. Lei accenna un sorriso, il suo aspetto è sereno, si volge di nuovo alle sue cose.
In corridoio ha un fremito davanti allo specchio. Vede se stesso e, dietro, un altro se stesso che lo guarda alle spalle, ma lontano e sfocato, come l’eco di un altro. E’ il doppio riflesso di un secondo specchio alle sue spalle. Non trova nulla di meglio che aggiustarsi il nodo della cravatta, e guardarsi i capelli oramai grigi. Mentre se ne va sbircia ancora con la coda dell’occhio, sente come uno sguardo dietro la nuca. Ostenta un tocco naturale nei suoi gesti, afferra la borsa dalla mensola, poi non resiste e torna allo specchio… ma non c’è più nulla. Si guarda, muove il capo a destra e a sinistra, fa scattare le sopracciglia verso l’alto, si sorride. Ma fugace. Quasi di fretta. Scende le scale, esce in strada e sale in auto. Nessuno gli presta attenzione. Appoggia la borsa sul sedile, gira la chiave, accende il motore, l’autoradio, controlla lo specchietto retrovisore ma sbirciando appena le immagini della strada dietro… quasi ci fosse il suo eco, a sbirciare lui… guarda di nuovo anche se stesso, ripete lo scatto fugace delle sopracciglia verso l’alto, inserisce la freccia, ingrana la marcia e… non ha tolto il freno a mano… a forza d’essere fugace s’è distratto davvero, si dice divertito tra sé. Un piccolo sobbalzo strattona l’auto, ma eccolo che va, verso il suo ufficio, da qualche parte laggiù, nella città. Il suo giorno sta davvero iniziando.
Guida distratto, come se non avesse fretta e la strada avesse pazienza con lui, come un abitudine, un automatismo che fa ripetere ogni giorno gli stessi gesti… gli stessi pensieri… umori. Come se li avesse lasciati davvero lì, i suoi umori, in quel tratto di strada, il giorno prima, ancorati a un ricordo che gli scorreva nella memoria, o mescolati all’immagine di un palazzo… o al rumore del passo di un uomo, o una donna che va di fretta… che traballa col suo tacco sul fondo vissuto di una strada, ignaro di restare agganciato ai pensieri che transitano per caso, gli stessi che lui ora ritrova, e riprende, per un attimo, arricchendoli magari col ticchettio di un altro tacco, che raccoglie dalla sua memoria in un tempo diverso, su un diverso marciapiede… per poi lasciarli di nuovo tutti insieme in qualche caseggiato più avanti, dove magari ne aveva lasciati altri, di pensieri, il giorno prima, anche più banali o forse no, che ora riprende, ma solo per distrarsi ancora mentre guida. Per evitare di rammentare i suoi impegni, che lo attendono laggiù, da qualche parte.
Come al solito c’è traffico e l’auto avanza lenta. Il semaforo è rosso. Si ferma e guarda distratto la gente sul marciapiede, quando… quando vede… quando vede se stesso, sì, proprio se stesso… non il suo eco. Non ci sono dubbi. E’ proprio lui quel tipo che lo guarda!
O forse è il suo Doppio? Se davvero esiste da qualche parte il nostro Doppio! Sdoppiatosi da noi chissà in quale circostanza, e che ancora s’aggira per le strade del mondo, in cerca delle opportunità che noi non abbiamo colto, perché eravamo troppo… distratti… e poi un giorno, magari oggi, eccolo il nostro Doppio che torna sui suoi passi e ci sbarra il cammino. Forse siamo proprio noi la sua opportunità… sì, deve essere proprio il suo Doppio e non un eco qualunque, quel signore fermo lì al semaforo, con il piattino dell’elemosina in mano.
Lo guarda incredulo. Anche il suo Doppio lo sta fissando ma con un sottile sorriso che gli vivacizza lo sguardo. Adesso lo vede che scende dal marciapiede e si avvicina all’auto, come se lo avesse riconosciuto. O lo stesse aspettando. Come se il suo Doppio conoscesse già le sue abitudini, le sue strade, i suoi gesti fugaci… i suoi pensieri… disseminati per anni lungo quella via. Lo vede che scuote sornione la testa mentre si avvicina, come per rimproverarlo indulgente, per l’attesa a cui l’ha costretto, ma felice ora di vederlo.
Guarda il suo Doppio e si sente irrigidire dentro, come morso dal tetano.
Il Doppio ha un passo sicuro. Gira attorno all’auto, va verso la portiera e la apre. Lo guarda, dall’alto, poi si curva su di lui e gli sorride con quel cenno che significa “Dai!”, accompagnandolo con un piccolo scatto della testa in direzione del centro della strada. Per indicargliela. Come se tutto ciò accadesse in modo naturale e fosse già deciso da tempo, ma senza averlo deciso davvero.
Lui scende e gli cede il posto, come se tutto ciò accadesse in modo innaturale e si stesse decidendo proprio ora, ma senza deciderlo davvero.
Non c’è più nulla a distrarlo, tutto si fa dettaglio. Il rumore fisico della portiera che si apre. Lo scalpiccio dei pedoni attorno. Il colpo di smog sul viso. Perfino un raggio di sole disperso, che si trova lì. I gesti che intravede, il suo modo di scendere dall’auto e distendersi in piedi, viso a viso col suo Doppio, cercandone l’eco ma… è solo un attimo. Una frazione. Un salto effimero tra due dimensioni. Un dettaglio più sottile degli altri. Forse l’ha soltanto immaginato… o sta cercando ancora di immaginarlo…
E’ in piedi in mezzo alla strada. Il semaforo è verde, tutto riparte, ciò che è sospeso ha smesso di sospendersi, riaggancia i suoi ritmi, si strattona… il suo Doppio se ne sta andando via con la sua auto. Lui lo segue con lo sguardo finché non scompare laggiù, lungo la stessa strada di ogni mattina… anzi no, forse sta girando per un’altra direzione…
Prima di sedersi al suo posto di guida il Doppio gli ha lasciato sulle mani il piattino dell’elemosina, con qualche moneta dentro. Un semplice piattino di plastica. Che dozzinale, pensa ora lui osservandolo, come se per chiedere l’elemosina a un semaforo occorresse una ciotola elegante. Ma non lo pensa davvero, in realtà non riesce a pensare a nulla, mentre le auto già gli scorrono attorno e gli suonano.
S’accorge soltanto ora che nel veloce scambio si sono scambiati la giacca. Ora indossa una di quelle vecchie giacche di velluto verde a coste, di trenta o quaranta anni prima, quelle che aiutavano a scimmiottare un’aria da intellettuale, meglio ancora se con un giornale di sinistra infilato in tasca. Magari sgualcito ma non troppo, il giornale. Anzi, stropicciato più che sgualcito, sì, sta pensando proprio questo ora, ingeneroso con il se stesso di tanti anni prima… forse un altro suo Doppio disperso nel tempo… mentre è lì, anche lui come quel vecchio giornale, un po’ stropicciato, riemerso da vecchie memorie, stupito come un viso appena sveglio, ma svegliatosi tardi, con il tempo già oltre.
Scuote via questo accenno di malinconia dai suoi pensieri. Si trova davvero in mezzo alla strada, con il piattino di plastica in mano. Al turno successivo di semaforo rosso accosta l’auto della sua compagna. Non lo guarda e nemmeno lo sbircia, come se non fosse lui ma una qualunque identità non prevista. Non gira nemmeno il viso, che peccato, non sapremo mai cosa avrebbe visto. Apre invece una fessura del finestrino, è già qualcosa, lascia cadere distratta una moneta che tintinna a terra… e diffonde un suono che si ancora proprio lì nelle coordinate di quel punto in quel momento preciso del giorno… Lui raccoglie la moneta e il suo tintinnio. Quando si rialza lei è già andata, non ha indugiato. La intravede ancora per un attimo e poi più nulla, è di nuovo solo nell’incrocio vuoto e sconosciuto.
Suonano i clacson, lo invitano a togliersi. Raggiunge il marciapiede e si dirige verso il semaforo. Passa davanti a una vetrina e con la coda dell’occhio vede per un attimo il riflesso del suo volto sgualcito. Un brivido. Il suo riflesso non gli cammina accanto sul vetro, s’è fermato e lo sta guardando mentre lui passa.
Sa che non può reggere a lungo quello sguardo e s’affretta, passa oltre. Poi controlla con la coda dell’occhio e sì… il riflesso non è scomparso dopo il suo passaggio, è ancora lì, sul vetro, che indugia. Forse pensa qualcosa.
Cerca ancora di sbirciare quel riflesso restando defilato, di lato, ma non riesce a vedere bene. Non capisce se è davvero il suo, quel riflesso, oppure del suo Doppio… se ne sta lì che indugia, intrappolato nel vetro, vestito con la giacca nera e la borsa stretta in mano, che cerca di guardare lui ma lui sta ancora defilato, schiacciato contro il muro, per non farsi scorgere…
Il semaforo è di nuovo rosso. E’ di nuovo il suo turno. Si stacca dal muro e si inoltra verso il centro della strada, come se nulla fosse… e intanto le auto passano, continuano a passare e il semaforo scatta e scatta ancora e lui è sempre lì, di nuovo, ogni volta in mezzo alla strada, ad agitare il piattino e raccogliere soldi, sempre attento a non girarsi mai indietro verso quella vetrina, evitando con cura di guardarsi indietro, come se non accadesse nulla alle sue spalle… sbirciando appena… con la coda dell’occhio vede… vede il riflesso indugiare, indugiare a lungo, fino a che non… sì, poggia la borsa a terra, sì, è quasi in ginocchio… allunga la mano fuori dalla vetrina, sta davvero appoggiando la borsa sul marciapiede…