Racconti nella Rete 2009 “Piove” di Roberta Calliano
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009Piove. Il pomeriggio fresco di vento e di profumi si è ormai da qualche ora tramutato in una scura, minacciosa, antipatica pozzanghera di fronte al cancello. Nera, quasi invisibile dominerà i passanti, padrona della notte, dell’attimo insignificante in cui qualcuno vi immergerà coi piedi i propri pensieri. Fuori il tip-tap della pioggia sembra venire filtrato dai fari delle auto che sparano i loro rauchi riflettori contro il muro coperto d’edera: dov’è finito il chiaro cielo macchiato di nubi? Sui fili del balcone della casa di fronte si agita un rosso maglione dimenticato nel vento, salutando la metamorfosi scrosciante di un tipico pomeriggio di pioggia che sale dalla lucida strada regalando la sorprendente, solita essenza di un mondo bagnato. Ombre, fantasmi ricurvi lungo lo schermo carta da zucchero, stanno lottando contro gli schizzi strisciando contro il muro nella forzata solitudine di un gesto quasi ribelle. Le vie semideserte scandiscono ovattate il sempre mutevole ticchettio dei confetti d’acqua, che ormai ha sbiadito i contorni, disgregato i suoni quotidiani dipingendo uno spettro scheletrico sui ricurvi alberi dei giardini per bene.
Alberto è curvo sul davanzale, poggiato sui gomiti, che muto osserva il mondo racchiuso dai rumori bagnati. Una posizione forse naturale per lui, sempre stato curvo sotto un immaginario fardello sempre compagno dei suoi passi lunghi e lenti e del suo sorriso serio. Un fardello… sorride appena pensando di sfuggita a quella ridicola parola che vede saldamente incollata ai propri pensieri – un fardello. L’avrebbe mai considerato tale?
Un’auto sfreccia a tutta velocità investendo la facciata già fradicia della palazzina di fronte, e spara un fascio di luce sulla strada deserta: solo pioggia; muta pioggia e immaginari fardelli.
No. Sa in cuor suo che non arriverà mai a tanto. Chiude gli occhi, solennemente, come quando si cerca con decisione nell’infinito dei ricordi, e annuisce fra sé e sé – ama parlarsi – e decide di no. So amare tutti, o forse non ho il coraggio di amare nessuno? Era stato così facile, con Michele, quella Pasqua lontana… Alberto si era presentato da lui, cosa usuale da anni, ormai. Era una giornata decisamente isterica. Avrebbe piovuto, sicuramente. Avevano passato il pomeriggio a fare compiti e a mangiare cioccolatini. Arrossisce pensando a sua sorella, che ormai da tempo lo ha soprannominato “uomo di cioccolata”. Era stato uno spunto casuale, ormai dimenticato, il desiderio di dare un senso più profondo alla definizione che certo li legava, la volontà di riempire la parola amicizia.
Trema poggiato con la fronte al vetro, rivivendo quel giorno. Io so amare tutti – ripete – o non so amare nessuno? O forse – come ancora si chiede spesso – era stato un tarlo inutile che rosicchiava anima e tempo o la forte paura che un giorno potessero perdersi?
Si sforza di non pensare. Da quanto tempo è affacciato? Da quanto tempo si è alzato dal tappeto, da quanto ha lasciato il libro, la luce della lampada accesa che ingiallisce la stanza e – come sempre, rapito dai suoni del mondo bagnato si è appoggiato al davanzale?
Ricorda troppo vividamente quando Michele, l’amico per la pelle, l’inseparabile compagno di banco, compiti e passeggiate in bicicletta, si era innamorato di Carlotta. E la gelosia nascosta, una gelosia perfida – ma era gelosia? – che si era insinuata violentemente… e sua sorella non capiva – pensava – ma eppure era così chiaro…
Un brivido, al pensiero: Carlotta, sempre stata timida, sempre schiva, sempre l’ombra minore di un fratello maggiore anche troppo vivace. Sorride pensando in un lampo alla loro infanzia apoplettica e solitaria. Carlotta, sempre pronta a essere incantata dalle sue parole, da un suo gesto, sempre pronta a prendere parte e ad ubbidire ai giochi, ai comandi, alle manie di questo suo fratello. L’ aveva spesso ringraziata nei dormiveglia, per aver subito la violenza tragica di quell’anno senza chiedere spiegazioni di una sterilità diventata acuta, e si chiedeva se fosse predestinata, l’infanzia dei fratelli minori, se fosse una regola che donassero l’amore incondizionatamente, e vergognandosi un poco, arrossendo al buio delle coperte, rispondeva sempre di sì.
Era stato troppo sofferto il periodo della cotta di Michele per lei… un trambusto totale afferrava per le caviglie tutti i sentimenti e li ribaltava… erano sentimenti uguali ma diversi, spiegava a testa china Michele ad Alberto, tentava per lo meno, per se stesso, anche e soprattutto, sentimenti profondi e acuti. Alberto era tutti i ricordi e un sorriso placido che saliva dal cuore, un sentimento delicato ma forte, che sapevano entrambi sarebbe durato in eterno, non si sarebbe estinto con gli anni. Carlotta era curiosità tramutata in forza, graffiante dolcezza che avvolgeva.
Ricorda tutto, ogni parola, ogni gesto. Ricorda ogni alterazione della voce, ogni pugno lanciato alla parete, ogni odio mandato a Carlotta e poi espiato in notti di lacrime silenziose.
La pioggia batte contro i vetri coperti. Il vento è arrabbiato. Che lite, quel giorno… Con un ombrello ammaccato camminavano, Alberto e Michele, parlavano di lei: “Mi uccidi” aveva quasi urlato fra il vento. Come poteva, come… si era fermato in un attimo puntando i piedi sul lucido porfido che lastricava sotto la pioggia la strada. Si era ritrovato di colpo bagnato. Michele era tornato a coprirlo, ma lo scansava – la gente guardava. Un tira e molla terminato da una raffica di vento che aveva schizzato l’ombrello contro un muro. Alberto piangeva, ma chi poteva accorgersene? Erano corsi dentro un portone a cercare l’oscurità, e fra i singhiozzi di Alberto erano rimasti, in silenzio, a contemplare i rivoli d’acqua correre nella fognatura in mezzo alla strada.
Starnutisce, distogliendo lo sguardo fisso il lungo abete in giardino. Guarda le proprie calze di lana poggiare sul pavimento di marmo quasi con insofferenza e si volge verso il tappeto, dove ha come sempre lasciato le scarpe nella confusione della sua camera zeppa.
Sul tappeto, quella sera, con Michele e Carlotta stava giocando a domino, il gioco della loro infanzia, il suo gioco preferito. I suoni e i colori intorno avevano cominciato a sbiadire e pian piano tutto era diventato lontano, un sogno, sperava, fino a quando Michele aveva finito col rivelare a Carlotta i propri sentimenti. Che pena ricordarlo: lei aveva reagito d’istinto, un gesto che a distanza d’anni riempie il cuore di Alberto e lo gonfia quasi fino a farlo scoppiare: “ E’ una vita che tu ami mio fratello!”. Poi silenzio. Alberto si era alzato dal tappeto multicolore e sbattendo rumorosamente la porta si era scaraventato giù dalle scale. Era stato quasi un insulto. La sera, tornando, sul cuscino del suo letto disordinato aveva trovato un biglietto: “lo so Berto, lo so”. Lo conserva ancora nascosto sul fondo di un cassetto.
Si sta facendo velocemente buio e sua sorella non è ancora tornata. Alberto e Michele sapevano che avrebbero allora potuto scegliere entrambi vie diverse, forse nemmeno più facili, nemmeno più sicure, ma una sera si erano ritrovati a dire di no, scacciando definitivamente la paura che fosse codardia, stupida parola, annuisce Alberto mentre alza i gomiti dal davanzale stiracchiandosi, ad avvicinarli.
Guarda giù verso la strada che brilla alla luce notturna dei lampioni: la nera pozzanghera ha quasi ricoperto la via. Sorride al pensiero della sorella, che come di consueto ritornando troverà il passaggio ostruito… Si guarderà pensierosa attorno cercando il punto più solido per attraversare e, come sempre, rimarrà senza scampo nel mezzo del piccolo lago scuro, cercando confusamente attorno, speranzosa che dietro le finestre bagnate dalla pioggia e dai termosifoni, ognuno si stia facendo gli affari propri.
Ciao Roberta,
la tua scrittura è molto “ricca” e densa di metafore visive. Forse il paragrafo iniziale è un po’ troppo lungo.
Bello, complimenti!!!
Ciao
Adriano
Ciao Adriano,
ti ringrazio per i complimenti. Hai ragione senz’altro in merito al primo paragrafo, è sempre difficile tagliare qualcosa di “tuo”. Farò tesoro di questo consiglio per il futuro!!!
Roberta
ciao Roberta,il racconto è molto denso di immagini,è bella l’atmosfera,però come ha detto già Adry, io snellirei un pò tutto non solo il primo paragrafo,taglierei una sovrabbondanza di aggettivi,cercando di suggerire ciò che vuoi esprimere ma senza strafare.Verso la fine mi sono un pò persa:il punto di vista entra e sce da Alberto e Michele e non mi è più molto chiaro cosa stai raccontando.Forse,ma è il mio modestissimo parere,se tu ti calassi nel punto di vista di uno solo di questi personaggi il racconto acquistarebbe in intensità.
in bocca al lupo e grazie per il tuo commento alla mia storia.
Francesca Giulia