Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Racconti nella Rete 2009 “Il collezionista” di Alessandra Santi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009

Come una penna stilografica potesse essere fantasticamente trasformata in una balestra, un aliscafo o un ariete per sfondare i cancelli delle antiche fortificazioni, lo sapeva solo il professor Dell’Oro, almeno come rappresentante del mondo razionale e come esempio di quel tipo di attività mentale che si contraddistingue dall’immaginazione infantile.

Il professor Dell’Oro era stato docente di archeologia all’Università, e ora in pensione.

Era un uomo tranquillo, compito, quasi imperturbabile, ma in compenso molto pignolo e fondamentalmente sterile nella sua erudizione. In lui sobbolliva un particolare disprezzo profondo e sottile per l’essere umano, che affiorava dal suo atteggiamento altezzoso, dal bisogno di sentirsi e porsi un po’ più al di sopra degli altri, sempre in modo quieto e cinico.

Ispirava anche molto rispetto, in qualcuno persino ammirazione, per le sue conoscenze straripanti e precisissime, ma quel senso di perfezione intellettuale cui tendeva da sempre nella sua vita lo portava a passare per un individuo non molto naturale, quasi disumano.

Più la gente lo cercava, all’inizio, più lui si allontanava, non voleva rimanere a lungo in compagnia di persone comuni con cui non accettava mescolanze sociali. E appunto per questo, con il tempo, l’isolamento non fu più una ricerca e uno sforzo, diventò piuttosto una conseguenza comportamentale spontanea da parte degli uomini normali, o anche di quelli qualitativamente solo un po’ più al di sotto di lui.

La passione per le stilografiche nacque un giorno primaverile, durante una passeggiata con la moglie tra le bancarelle di certi cosiddetti “antiquari di piazza”.

Si accorse di una penna dal pennino d’oro e il corpo d’agata, con bellissime e particolari venature sfumate e da allora, con il passare del tempo, preferì sentirsi, più che un professore, un collezionista.

Accumulò una quantità imprecisabile di penne di ogni tipo e adibì la stanza da stiro della moglie a sua saletta privata di esposizione.

La signora Dell’Oro temperava con la sua remissività l’autoritarismo del marito e quando lui la obbligò a lasciare spazio alle sue penne, tolse tutto quello che aveva sistemato nella stanza per stirare e fare altri lavori quotidiani, e, più a fatica di prima, trovò altri modi per piazzare le cose nel resto della casa.

Il professore acquistò bacheche, mobiletti e astucci per le sue penne. Trascorreva la maggior parte del tempo in operazioni di pulitura e disposizione. Nessuno poteva né doveva toccare quegli oggetti preziosi all’infuori di lui, che li spolverava accuratamente con pennellini, panni e piumini opportuni.

Lucidava le penne, le rigirava tra le dita, e allora gli occhi gli si accendevano di una luce indefinita, la sua persona assumeva un atteggiamento diverso dal solito, più estraniato dal mondo, ma anche più commosso e tenero. Le penne sprigionavano un campo magnetico misterioso e forte da cui il professore si lasciava felicemente avvolgere. L’aria di casa, in quei momenti, non si respirava più come prima e la stanza si impregnava di un qualcosa di fosco e inquietante.

Un giorno, la moglie entrò nella stanza sopra pensiero per cercare un rocchetto di filo. Aveva aperto il cassetto di un vecchio mobile che lui non aveva spostato, e non si accorse che il marito era comparso silenzioso alle sue spalle.

“Cosa cerchi?” le aveva chiesto.

Lei era sobbalzata e fissandolo per un attimo gli aveva scoperto quella luce strana e malevola che non gli aveva mai visto altre volte.

“Cercavo un rotolo di filo per cucire…”

“E vieni a cercarlo qui? Mi pare di essere stato chiaro riguardo questa stanza. Non voglio che entri nessuno. Vai a cercarlo da un’altra parte.”

E finché lei non uscì, continuò a fissarla con un’ostinazione minacciosa.

Il professore cambiò.

La moglie cominciò a esistere solo per i lavori di casa e per i pasti. Al termine del pranzo masticato in silenzio, il professore si ritirava nella sua saletta e ci rimaneva fino a sera. Gli studi e le attività parallele al mondo universitario per pubblicazioni scientifiche su riviste o testi specifici si fermarono. Quei colleghi e amici rimasti che ogni tanto lo andavano a trovare, sparirono. Di fronte alle sue penne tutto perdeva valore e svaniva in una nebbia di mediocrità. E solo allora il professore iniziò a impiegare diversamente il suo cervello. Riempiva il vuoto lasciato dagli oggetti e dagli eventi comuni, dai quali si era allontanato, trasformando le penne negli oggetti stessi, o in qualcosa di sublimato che oltrepassava il limite della normalità. Le penne formavano un universo stupefacente e allucinato in cui lui si perdeva, beato nella distruzione del reale con l’immaginario. Le penne erano i figli che non aveva avuto, i genitori che aveva lasciato, gli amici dell’adolescenza che aveva perso per strada. Le sognava di notte, le vedeva nelle forchette e nei coltelli, nelle bottiglie. Si procurò spille e polsini a forma di penna stilografica, e quando non li trovava se li faceva creare dall’orafo.

Prese a portarsi le penne anche a tavola, per osservarle mentre mangiava, perché i colori cambiavano, perché c’era sempre qualche dettaglio nuovo da analizzare e di cui compiacersi. Perché semplicemente non c’era altro di cui compiacersi. Ignorava la moglie che ormai gli piangeva in faccia e lo guardava smarrita, poi disperata, portandosi le mani dal grembo alla testa, e qualche volta tentando di avvicinarlo, ma sempre scostata con fastidio.

Alla fine si fece portare da mangiare nella sua stanza, perché lo sguardo arrossato e lacrimoso di lei lo innervosiva troppo per sopportarlo regolarmente

Grazie alle penne, il professor Dell’Oro raggiunse quella solitudine paradisiaca e perfetta che aveva sempre desiderato: in alto più di tutti sul suo trespolo d’oro, a forma di penna, naturalmente.

Non c’era niente, ora, che valesse più di quella sua simbiosi con gli oggetti meravigliosi che per lui avevano anch’essi la loro piccola vita, raccolta nell’inchiostro e pulsante attraverso il solco del pennino, quando li usava.

Cosa gli importava, ormai, vivere secondo le norme sociali? I muri della sua casa si erano ispessiti e cementati contro ogni infiltrazione esterna e convenzionale. Faceva quello che gli pareva. Finalmente aveva rinunciato alla sua rigidità forzata, alla diabolica compostezza cattedratica che si portava dietro anche nell’intimità casalinga; si era elasticizzato in un comportamento confidenziale, sciolto e, parlando alle penne, ricordava gli studi universitari, gli amori, la vita passata che adesso gli appariva tutta d’un colpo e tremendamente distante e, alle volte, in quel flusso libero e sregolato di coscienza, lo prendeva improvvisamente uno sconforto che non sapeva spiegarsi. Ogni tanto pensava alla moglie, quella debole donna che alla fine, dopo qualche mese della nuova vita, lo aveva lasciato.

Ma il professore era forte e sopportò quell’assenza (perché, in fondo, come aveva spiegato alle penne, gli era dispiaciuto che lo avesse abbandonato, ma capiva che per creature inferiori come lei non era possibile resistere tanto e che la fuga era la soluzione più logica e intelligente).

Si poteva rimediare anche a questo. Il mondo era pieno di donne, ne poteva benissimo trovare un’altra, ma questa volta una della sua altezza e qualità intellettuali, che lo capisse e lo sostenesse nelle sue passioni e pensieri sovrumani.

Dopo un po’ di tempo, il professor Dell’Oro riprovò quella remota voluttà genuina di svegliarsi a letto accanto a una compagna. Ogni mattina della nuova primavera apriva gli occhi e si voltava verso di lei.

“Buongiorno, amore!”. Dal cuscino accanto gli arrivava il riflesso di una stilografica d’oro.

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3 commenti »

  1. Bel delirio. Purtroppo nel mondo reale c’è di peggio. Di molto peggio.
    Comunque ottimo.

  2. Ciao Peter. Ti ringrazio per l’apprezzamento. Mettiamola così: un delirio che nella sua follia omaggia un strumento di scrittura…
    Ma tu di dove sei? Mi spiace solo conoscerti tramite quest’interfaccia…

  3. Ale
    Mi dispiace di non aver preso il tuo libro. Sono curiosissimo di sapere cosa si può fare con una penna stilo. Mi piacerebbe scambiare 2 chiacchere con te,anche oggi se ti va, cosi da scrittrice a scrittore…
    Diego

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