Premio Racconti nella Rete 2011 “L’occhio” di Luca Olivieri
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011La strada era deserta.
Gli sembrava quasi che tutti in città avessero finalmente compreso quanto lui fosse potente e non osassero più uscire di casa temendo la sua collera divina. Bene, le cose si stavano mettendo bene.
Scorse un cane randagio frugare in un secchio dell’immondizia cercando qualcosa da mettere sotto i denti e lo freddò su due piedi con la calibro 38 rubata a suo padre quella mattina.
Aveva fame.
Aveva sete.
Soprattutto aveva sonno.
Decise di incamminarsi verso casa.
*-*-*
Il grande condominio in acciaio e vetro era stato costruito da alcuni speculatori senza scrupoli, tra cui figurava anche suo padre, in luogo del grazioso parco panoramico che sorgeva sulla piccola collina a nord della città sin da quando questa era stata fondata. Da qui il mastodontico edificio era libero di proiettare la sua gigantesca ombra sul piccolo centro abitato, quasi oscurandolo del tutto.
A suo parere la costruzione di quell’edificio era stata un vero e proprio abominio, ma tant’è, quella era la sua casa. Appena ebbe varcato il portone attraversò silenziosamente l’enorme atrio decorato con marmi italiani e si avviò con circospezione verso l’ ascensore, le cui enormi porte a specchio riflettevano il vasto ambiente circostante ingrandendolo oltre misura.
Stava per premere il pulsante di chiamata dell’ascensore quando questo si aprì davanti a lui: la vecchia signora Andersen, che abitava al quindicesimo piano, uscì dalla cabina trascinando per i piedi il cadavere di suo marito. L’uomo aveva sul viso un’espressione di vacua rassegnazione, mentre dal forellino al centro della sua fronte sgorgava un piccolo rivolo di sangue che scendeva lungo il lato destro del suo viso fino a scomparire all’interno della camicia di seta bianca.
Quella vista lo eccitava.
Salutò gentilmente la Andersen e quindi salì sull’ascensore, spinse il tasto con il numero ventidue e lanciò un’ultima occhiata alla vecchietta mentre le porte a specchio si chiudevano davanti a lui.
Attese.
*-*-*
Aprì la porta.
La scena che gli si presentò davanti agli occhi non gli sembrò affatto inusuale o degna di particolare attenzione: il suo coniglietto di peluche era chino sui cadaveri dei suoi genitori e rosicchiava in quel momento il cervello della sua mammina dopo aver già, a quanto sembrava, gradito quello del paparino che giaceva riverso al suolo poco distante la porta dello studio, proprio dove lo aveva lasciato, negli occhi ancora lo sguardo stupefatto di quando gli aveva sparato.
Si sentiva molto stanco, quindi decise che doveva agire in fretta, prese il suo nuovo coltello a serramanico, sottratto ad un ragazzino che aveva ucciso quella mattina nel parco, e si diede da fare per scalzare dall’orbita uno degli splendidi occhi verdi di suo padre, idea che lo tormentava sin da quando si era svegliato. L’impresa si rivelò ardua e l’occhio sinistro si sfaldò nelle sue mani.
Merda.
Aveva solo un altro tentativo e non poteva permettersi di fallire.
Si mise d’impegno con l’esperienza e la delicatezza di un chirurgo e, di lì a dieci minuti, stringeva tra le mani il suo trofeo. Soddisfatto si avviò verso la sua stanza lasciando il coniglietto ai suoi giochi.
Una volta entrato si sdraiò sul letto scostando infastidito il freddo cadavere della sua cara sorellina Ginger che cadde pigramente sulla moquette rosa pallido che ricopriva il pavimento della stanza senza quasi emettere suono.
Alla luce dalla lampada Tiffany che si trovava sul suo comodino si divertì a studiare con attenzione l’occhio paterno e a guardarne con infinita ammirazione tutte le rosse venature e la nera pupilla, sbarrata e vitrea. Quello che sin dall’infanzia lo affascinava maggiormente, era però lo smeraldino verde dell’iride, intenso ed abbagliante come nessun altro verde che avesse mai visto in natura, cosa che da sempre aveva costituito uno dei maggiori vanti del vecchio. Rimase assorto in quella adorante contemplazione per un tempo che gli sembrò infinito, gli parve addirittura di scorgere nuovi e meravigliosi universi di smeraldo lucente che si agitavano sul fondo dell’iride, universi in cui si sarebbe potuto perdere se avesse guardato troppo a lungo. Si riscosse, quindi mise in bocca il suo prezioso trofeo e godé della sua gommosa, umida e viscosa consistenza mentre il ferroso sapore del sangue lo inebriava come vino d’annata.
Assaporò a lungo l’occhio destro di suo padre prima di inghiottirlo, godendo di ogni singolo momento di quella sublime estasi, quindi bevve un sorso di birra e cadde addormentato.
Un futuro inquietante con echi che rimandano alla grande caccia della Decima Vittima. Qui però la storia vira sul truculento.Interessante