Premio Racconti nella Rete 2011 “Anna” di Chiara Girardi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011Fin da piccola le piaceva giocare con i coltelli. Era stata sua madre, una mattina in cucina, ad iniziarla a quel gioco, a quella passione. Inconsapevolmente. Si era spaventata vedendola armeggiare con un piccolo coltello. Era cominciato così. Con il fastidio per un divieto, per una reazione troppo impulsiva ed irrazionale. Con il piacere di trasgredire. Il piacere di quel brivido prodotto da una lama fredda che faceva rabbrividire tutti i peli del suo corpo, scaricando eccitante adrenalina al cervello.
E poi accadde. Quell’evento rivelatore che dà senso ad un’intera esistenza.
Stava giocando. Come faceva appena possibile. Con le sue personali “bambole”, piccoli coltellini multiuso. Per lei monouso.
Lo aveva sottratto ad un padre troppo distratto, trafugato alla sua attrezzatura da montagna.
Bello e di rosso colorato. Come un destino. Come il suo destino.
La maestra la chiamò. Distratta ai suoi pensieri si ridestò al mondo grazie a quella voce lontana.
Distrattamente la pelle si lacerò dispettosa, gocciolando piccole rosse stille di vita.
Anna guardò stupefatta la mano, di nuovo lontana da quella realtà troppo stretta. Guardò il sangue che gocciolava paralizzata dallo stupore e dall’attrazione per ciò che era accaduto.
Per ciò che poteva accadere ancora.
Meccanicamente si portò la mano alla bocca.
Succhiò quel suo liquido che voleva scappare da lei.
Fu il suo primo taglio ma non l’ultimo.
Assuefatta al solo brivido del metallo cercava altro.
Feriva volontariamente la sua pelle per vederla colorarsi, per bersi un po’.
Aveva appena sette anni.
Il rosso stava diventando la sua ossessione, palliativo visivo e addosso del suo stesso sangue.
Obbligava i genitori a comperarle vestiti sgargianti. Aborriva tutti gli altri colori in tutto.
Sceglieva libri dalle copertine rosse, indipendentemente dal contenuto, chiedeva lenzuola rosse o perlomeno rosate, beveva sanguinella e spremute d’arancia, insistendo magari per prepararsele, per tagliarsi “involontariamente” e mescolarsi un po’ al succo.
Amava tagliare bistecche poco cotte, amava vedere l’affondo del coltello nella carne, morbido burro sotto la lama. Chiedeva cervella e frattaglie, rape rosse e ciliegie.
Chiedeva sangue in forma di cibo colorato di rosso.
Ed intanto cresceva. Divorata dal suo stesso desiderio ma all’apparenza serena. Sempre in compagnia delle sue “bambole”.
Conosceva ragazzi e ci usciva. Intrecciava relazioni e chiedeva patti di sangue. Scherzando, serissima nelle intenzioni. Ipnotica col suo sorriso innocentemente malato.
Cominciava con morsi, fingendo di sperimentare la sopportazione del dolore dell’altro, confidando nel machismo maschile, dominando consapevole e civetta il gioco.
Affondava i suoi denti nella carne della cavia di turno, creando originali orologi di denti, macchiando la pelle di piccole ecchimosi e solchi. E poi rideva. Guardava in faccia la sua vittima, che fingeva stoica sopportazione del dolore, mentre ne sentiva il corpo indolenzirsi e si rituffava tra la peluria facendo più pressione, affondando con foga i denti. Ancora. Fino al sangue.
Poi fingeva un bisogno fisico improvviso e scappava al bagno, richiamata da un lama, dalla lama del suo coltellino. Fessurava la sua pelle, in angoli nascosti ad altri, e si godeva la vittoria sull’altro bevendosi. Sorseggiandosi piano.
che bella scrittura elegante, che rende bene il mix di solitudine e ossessione, con un pizzico di pulp che rimescola le carte nel finale, mi è piaciuto molto!
Autoeducazione all’autolesionismo o prove generali per un futuro criminale, un racconto che lascia spazio all’immaginazione del lettore circa il futuro della protagonista
Grazie Adriana e Grazie FrancoSalvatore dei vostri commenti!