Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2011 “Iper-vita” di Leonardo Palumbo

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011

Apro lentamente gli occhi mentre mi giro su un fianco. Il fresco fruscio delle coperte. La morbida carezza del guanciale. La luce del giorno penetra nella stanza. Attraversa la tapparella. Si scompone in bianchi dardi tra cui danzano minuscoli granelli di polvere.

Mi guardo intorno. C’è qualcosa di strano. La camera non è come me la ricordavo. Non è la mia. Mi metto in ascolto. Non sento la voce della mamma. Non sento niente. Mi giro sull’altro fianco. Non c’è il muro tanto familiare. Poi ricordo. Non sono a casa. O meglio: sono a casa, ma a Pescara, dove studio. Ora tutto mi sembra più familiare. E’ la mia stanza, ma non quella che mi aspettavo. Fisso la scrivania: non ci sono libri o quaderni. C’è la valigia. Tristezza. Nostalgia. Entusiasmo. Voglia di fare. Sorrido…

Il mondo, visto dal finestrino, sembra irreale. Una serie di fotogrammi dinamici che si fissano nella memoria. Il buio nasconde quasi tutto. In lontananza si intravede il mare: uno specchio nero frantumato in mille riflessi argentei. Sulla costa infinite scintille arancioni indicano la presenza di una città. La immagino: piena di gente che si muove, si sposta, lavora, studia, si diverte. Piccolo frammento pulsante di un modo enorme.

Una casa a pochi metri dall’autostrada. Mi sembra di poterla sfiorare se solo allungassi una mano. La luce di una camera è accesa. Per una frazione di secondo vedo l’interno: una sagoma alle prese con i fornelli. Immagino una sera qualsiasi in quella casa: la mamma cucina, il papà torna da lavoro stanco, la figlia piccola gioca con le bambole in salotto, il figlio grande è in camera a studiare, l’altro figlio a zonzo con gli amici sui motorini. Chiudo gli occhi per un attimo. Ripenso ai miei: cosa staranno facendo? Sentiranno la mia mancanza? In fondo, dovrebbero essersi abituati alla mia assenza! Boh!?

Aspettando l’autobus sotto la pensilina penso al periodaccio che mi attende. Dovrò studiare parecchio. Gli esami sono lì che mi aspettano: mi guardano sogghignando e mi fanno cenno con l’indice di avvicinarmi. Faccio un ultimo tiro alla sigaretta. La lascio cadere a terra. Schiaccio il mozzicone con la suola delle scarpe. Non contento comincio a giocherellarci. Lo riduco a una strana poltiglia giallastra. Mi accanisco su di esso come se fosse la causa dei miei mali.

“Scusa, mi fai accendere?”

La domanda è rivolta a me. Mi distrae dal mio giochino.

“Sì… un attimo… dove l’ho messo?… ah, ecco!”

Porgo l’accendino alla ragazza che mi ha distratto. La guardo. E’ carina. Gli occhi marroni molto grandi. I capelli neri e lunghi, con una frangia che le copre quasi tutta la fronte. Un neo sulla guancia sinistra. Le labbra abbastanza sottili. Si allargano in un sorriso di ringraziamento. Mi sta porgendo l’accendino. Lo riprendo e lo infilo in una tasca a caso: ecco perché non lo ritrovo mai!

“Grazie!”

“Di niente!”

Mi si siede accanto. Il silenzio in questi casi mi mette sempre in imbarazzo. No so mai se parlare per rompere il ghiaccio o se aspettare che sia l’altra persona ad attaccare discorso. Che dire? La solita banalità sul bello o cattivo tempo? Mi viene un’idea. E’ una cosa banalissima, ma, mentre penso, la sto già dicendo.

“Speriamo che il pullman non faccia tardi…”

Che schifo di frase!

“Già, ma di solito non fa ritardo… o meglio, non mi è mai capitato!”

“A me una volta è successo. Sono arrivato a Pescara un’ora e mezza più tardi del previsto!”

“Ah, vai a Pescara?”

Per fortuna cambiamo discorso: brava!

“Sì, studio lì! E tu?”

“Anch’io sto a Pescara, studio economia. Tu invece? Non ti ho mai visto!”

E il discorso s’incanala così nei classici e noiosi binari del che fai, dove stai, come stai. Si ride anche quando non ce n’è bisogno, tanto per sembrare cordiali e simpatici. Poi, in realtà, si fa la figura degli imbecilli.

A pranzo si sta parlando del più e del meno. Non ci sono notizie importanti dai parenti che mamma deve comunicare. Così, tra una forchettata e l’altra, ognuno parla con se stesso. Non c’è un filo logico tra domande, risposte e affermazioni.

Mamma: “Ti piace la pasta? E’ una nuova ricetta che ho sentito in televisione…”

Sorella maggiore: “Oggi all’università il prof ha parlato del teatro greco. Una cosa stranissima. Ti faccio un esempio…”

Sorella minore: “Sì, ma non possono mai essere strani come le cose che stiamo studiando noi…”

Papà: “Quel ministro è proprio stupido! A che serve fare quella legge se poi…”

All’inizio cerco di seguire tutti i vari discorsi, poi decido che forse è meglio pensare a mangiare e rispondere a monosillabi alle domande che mi fanno. La tattica funziona fino a che non sento mamma che alza un po’ la voce. Mi volto. Ce l’ha con me.

“Hai sentito la domanda? Che significa no?! Ti ho chiesto a che ora parti, e tu rispondi no!?”

La guardo stupito. In effetti la risposta non ha molto senso. Scoppio a ridere.

“Hai ragione. Ma come faccio a sentire te che mi fai una domanda, quando state parlando tutti insieme. E per di più di cose completamente scollegate?!”

Si rendono conto del caos che regna a tavola e cominciano a ridere anche loro. Quindi tutto torna alla normalità e si comincia a parlare in modo civile.

In macchina, mentre torno dopo le ultime commissioni della mattinata, mi viene voglia di allungare un po’ il tragitto. Così ho il tempo di fumarmi una sigaretta e di godermi un ultimo giro alla guida. Abbasso il finestrino. L’aria fresca mi schiarisce le idee. Domani sarò di nuovo a Pescara. Finiscono le vacanze. Ricomincia lo studio. Come sempre in questi casi, sono un po’ triste. Lascio una realtà e ne ritrovo un’altra. Un continuo su e giù. Un ciclico rimbalzare da una situazione all’altra. Però sono anche orgoglioso. E’ bella la possibilità di scavalcare gli orizzonti del nostro mondo. Ripenso agli amici che mi aspettano lì. Penso a tutti i momenti di vita quotidiana all’università. Visti da fuori sono divertenti. Poi, magari, quando ci sei dentro, diventano noiosi e ripetitivi. Sono anche felice di poterli vivere. Ripenso a chi, come qualche amico che rimane qui, non ha neanche la possibilità di cambiare ciclicamente. Poi penso alle mie vacanze. Niente di eccezionale. Comunque mi sono divertito. Ho trovato un po’ di relax. Posso affrontare il periodo di studio con più grinta. Mi vengono in mente le immagini dell’altra sera.

Un gruppone di amici che parla degli argomenti più diversi: università, vacanze, scuola, lavoro, famiglia, episodi divertenti. Si scherza, si ride, si è seri. Chi fuma una sigaretta, chi beve una birra, chi si allontana per fare una passeggiata. Alla fine non si fa niente. Al massimo si decide di andare in qualche locale per continuare le chiacchiere. Così, solo per dire di aver fatto qualcosa. Solo per prolungare una serata che altrimenti finirebbe troppo presto. Comunque non tutti vengono: qualcuno deve lavorare, altri hanno da fare, qualcuno è stanco, altri sono spariti senza dire nulla, forse a casa, forse appartati da qualche parte.

Il locale è stracolmo. Proviamo se in un altro c’è posto. Nel frattempo si continua a ridere e scherzare. Chi fa battute, chi tiene un discorso serio, chi urla, chi sta zitto. Finalmente ci sediamo. Ordiniamo da bere. Si continua a far casino. La serata si trascina così, tra una risata e una parola, tra uno scherzo e un racconto.

Ti ritrovi in macchina per tornare a casa. Hai salutato tutti: sembra di star partendo ogni volta per la guerra. I realtà ci si rivedrà tutti tra un mesetto. Mentre guidi ripensi alla serata. Sorridi. Che pazzi!

Nella camera in penombra ripenso a tutto questo. Non so quanto sia strana la mia vita, sempre che poi ne esista una normale; comunque mi sorprende questo essere ora qua, ora là. Mi sorprende lo scenario altalenante dove mi muovo, in cui i giorni di viaggio sono giorni-cuscinetto, di assestamento psicologico alla variazione sul tema: navigo da uno scenario all’altro attraverso dei collegamenti non sempre logici e coerenti. Mi sembra una specie di vita ipertestuale, insomma una iper-vita!

Sospiro. Sollevo le coperte. Mi alzo. Mi stiracchio. Si ricomincia!

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