Premio Racconti nella Rete 2011 “L’ultimo estratto” di Paolo Pobbiati
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011Si fece coraggio e si mosse verso un uomo che, per qualche motivo, gli ispirava più fiducia degli altri. “Buongiorno” gli uscì, “Come va?”. L’altro lo guardò un po’ assente. “Bene, credo”. Seguì un attimo di imbarazzo, come se nessuno dei due sapesse come continuare quella conversazione. Riprovò, porgendogli la mano: “Piacere, mi chiamo…” e la frase gli si interruppe. Come si chiamava? Possibile che non si ricordasse nemmeno il suo nome? Il suo interlocutore glie la strinse, guardandolo con comprensione. “Anche lei, eh?”. Quindi nemmeno lui sa chi è. “Ma almeno sa dirmi perché ci troviamo qui?”. L’altro scosse la testa e si risedette per terra appoggiando la fronte sulle ginocchia.
Cercò di fare mente locale su quello che stava accadendo. Non riusciva a ricordare nemmeno come fosse arrivato in quel luogo, né perché. Per la verità non ricordava assolutamente nulla di sé. “Un ictus. Sì, sicuramente ho avuto un ictus”, pensò. L’ipotesi gli parve subito plausibile: non solo avrebbe giustificato in pieno quell’amnesia, ma avrebbe anche spiegato perché si trovava in quel luogo, che quindi doveva per forza essere un ospedale. Fece una rapida ricognizione del proprio corpo: muoveva tutto in modo corretto. Non c’erano danni, bene, e nonostante il buio più totale nel momento in cui cercava di ricordare il suo passato, si sentiva lucido e in forma. Gli passò con sgomento nella mente la storia letta anni prima di un marinaio la cui memoria durava solo pochi minuti, per cui non riusciva nemmeno ad avere coscienza della sua condizione, perché anche se qualcuno glie la spiegava, la dimenticava immediatamente dopo.
Ripensandoci, non poteva essere un ospedale: non ne aveva per nulla l’aspetto. Non c’erano letti, né medici o infermieri, né apparecchiature mediche. Caso mai assomigliava più a un vecchio capannone industriale dimesso, un po’ squallido, diviso in tanti locali più piccoli, illuminati da una strana luce verdognola. Un pensiero gli si fece largo con una crescente inquietudine: “Dio mio, non mi avranno chiuso in un manicomio?”. Insieme a lui c’erano parecchie persone, ma nessuno sembrava fare molto caso agli altri, come se ciascuno fosse impegnato a cercare solo dentro di sé le risposte alle domande delle quali come lui era prigioniero: chi sono e perché mi trovo qui. Erano uomini e donne di diversa età. La sua attenzione fu per un attimo attirata da una giovane coppia; stavano vicini uno all’altro, ma non si erano detti una parola e guardavano in direzioni diverse. Lei, carina, indossava una casacca grigia e un paio di pantaloncini corti.
Stava succedendo qualcosa a poca distanza da dove si trovava. Un uomo, comparso improvvisamente, stava richiamando l’attenzione dei presenti. Il signore che aveva interpellato poco prima gli venne incontro con fare gentile. Sembrava aver riacquistato vitalità: “Venga, venga anche lei, ci spiegano cosa succede”. Lo seguì insieme agli altri, come si fossero risvegliati dal torpore nel quale erano immersi sino a pochi istanti prima e ora si accalcavano davanti al nuovo arrivato, chiedendogli chi fosse e perché fossero stati portati lì. Era un uomo biondo, con indosso qualcosa che ricordava un camice; aveva un’aria delicata, quasi virginale, nonostante la statura considerevole e una corporatura atletica, resa ancora più evidente dal piano rialzato sul quale si era messo perché tutti potessero vederlo e sentirlo. Fece un cenno con la mano per zittire gli astanti; ottenuto il silenzio incrociò il braccio destro all’altezza dello stomaco; nella mano teneva uno strumento che poteva sembrare uno stetoscopio (doveva proprio essere un medico, allora), mentre appoggiava la mano sinistra dalla parte opposta, sfiorandosi la clavicola. Pensò che aveva un’aria vagamente familiare, ma era inutile che frugasse nei suoi ricordi. “Calma, calma, avrete tutte le risposte che state cercando”, disse. Quindi ci spiegherà lui cosa succede, ma qualcuno in quella piccola folla che lo attorniava sembrava molto intimorito dalla sua presenza. “Ci dica chi è lei e perché ci troviamo qui!!” urlò un tizio da dietro. L’uomo sorrise: “E’ possibile che mi conosciate con nomi molto diversi, anzi è probabile che ciascuno di voi mi veda con un aspetto differente da quello con cui mi vedono gli altri”. Cosa voleva dire? Gli sovvenne un nome: Zaraele. Sì, gli appariva evidente che quell’uomo si chiamasse così. Ma come era possibile che si ricordasse il nome di quell’individuo e non il suo? “Sono qui per accompagnarvi in quello che sarà il vostro viaggio finale”. “No, non è Zaraele il nome, è Azrael” ma quel pensiero si troncò immediatamente mentre realizzava quello che aveva appena sentito. “So che non c’è un modo piacevole per dirlo, ma voi tutti siete qui perché siete morti”.
L’attimo che seguì quella frase gli sembrò interminabile, e quando fu passato ebbe come l’impressione di risvegliarsi dopo un lungo sonno. Dunque era questo che c’era oltre la vita: non aveva nulla a che vedere con ciò che si era immaginato per l’aldilà. Non che avesse mai dato credito a quanto veniva raccontato dalle varie religioni, ma che senso poteva avere passare l’eternità in un posto del genere? Si impose di staccarsi dalle sue congetture e di continuare ad ascoltare. “Vi trovate ora in una fase di passaggio, prima di inoltrarvi verso quella che sarà la vostra destinazione finale. Abbiate pazienza: ci vorrà ancora un poco di tempo”. All’improvviso si accorse di ricordare il suo nome, e tutta la sua vita.
Forse era questo che significava quando dicevano che nell’attimo della morte uno rivedesse come in un film tutta la propria esistenza. Gli riemersero improvvisamente ricordi sotterrati da tempo, e che ora si affollavano affiorando alla sua coscienza in una sequenza come sospesa nel tempo: momenti crucciali per la sua vita si alternavano a episodi apparentemente insignificanti, mescolati senza alcuna progressione che rispettasse la cronologia: una vacanza al mare insieme ad alcuni amici ai tempi del liceo, una promozione ottenuta sul lavoro, il viaggio nella Cina del sud, la scelta dello stipetto il primo giorno in cui era andato all’asilo, l’accusa per appropriazione indebita che gli era stata mossa ingiustamente nell’azienda dove aveva lavorato per vent’anni, il processo e il completo proscioglimento. Ma sentì identica la fitta di dolore e di vergogna provata allora. Gli sfilavano davanti le immagini delle persone che avevano incrociato la sua esistenza, capite e amate in modi diversi. Le sensazioni fisiche erano molto reali, come se le stesse vivendo in quello stesso momento, come il sapore di una frittata con i ricci di mare in un ristorantino a Castro.
E poi le donne, tante, che aveva amato e da cui era stato riamato; arrivarono tutte insieme alla sua coscienza, come fossero un unico essere, scagliando per un attimo infinito la sua anima in un vortice di innamoramento e passione, che diveniva poi dolore e buio dell’abbandono. Adesso ricordava tutto. L’unica cosa della quale non aveva memoria era di come era morto.
La voce di Azrael lo riportò alla realtà di quel momento; alzò lo sguardo e incrociò quello delle altre persone che si trovavano lì. Alcuni stavano piangendo, chi più sommessamente, chi disperato come solo i bambini sanno esserlo, camminando senza meta con lo sguardo perso nel nulla; altri erano immobili nella loro espressione vuota, ce n’erano alcuni che ancora seguivano ciò che Azrael stava spiegando, ma come se la cosa non li riguardasse. Nessuno però interagiva con gli altri. La morte è il momento sommamente intimo, pensò, e non poté fare a meno di coglierne l’assoluta mancanza di solennità.
Non sapeva quanto assorto in questi pensieri avesse perso di quanto Azrael stesse dicendo, ma riprendendo il filo del suo discorso si accorse che stava spiegando di come alcune volte veniva data la possibilità per qualcuno di tornare indietro. Mostrò una fiala di metallo grigio e vetro, nella quale era contenuta una sostanza verde brillante, fluorescente. Iniettarsi quel liquido voleva dire avere una seconda possibilità, voleva dire ritornare alla propria vita. Spiegò che sarebbe stato sufficiente premere nell’incavo del braccio la fiala perché il meccanismo necessario all’iniezione si attivasse. Disse anche che sarebbe stato necessario un sorteggio, perché le fiale disponibili erano soltanto nove, e le persone presenti lì molte di più. Questa notizia aveva comunque rivitalizzato tutti gli astanti, ansiosi di riuscire in quell’estremo tentativo. I nomi dei presenti si trovavano in un bussolotto di velluto viola scuro, fissato all’imboccatura da un cerchio in ottone; tutti erano ora attenti e silenziosi, mentre Azrael, lentamente ma con quel modo vagamente impersonale di chi tradisce una antica abitudine a quei gesti, estraeva e leggeva a uno a uno i nomi di coloro che avrebbero ricevuto una delle fiale.
Il primo nome fu quello di una donna di una cinquantina d’anni; aveva i capelli crespi raccolti in una coda di cavallo. Nel sentirsi chiamare si guardò in giro con circospezione, come se volesse essere sicura di non aver capito male o come si aspettasse una reazione violenta da parte degli altri. Con molta cautela si avvicinò ad Azrael per ricevere la fiala, che protesse immediatamente sotto la giacca prima di allontanarsi quasi furtivamente, tradendo solo dallo sguardo la sua felicità. Il secondo era un uomo giovane con gli occhiali da sole, che lasciò invece esplodere tutta la sua gioia, gridando a tutti che ce l’aveva fatta, che sarebbe vissuto ancora, che sarebbe tornato indietro.
Venne estratto un terzo nome, poi un quarto, un quinto. La tensione cresceva ogni volta, diminuendo le probabilità di rientrare fra i nove fortunati. Ciascuno degli estratti reagiva a modo suo: una gigantesca signora di colore esplose in un pianto dirotto, tanto che qualcuno si sentì paradossalmente in obbligo di consolarla, e furono necessarie diverse persone per sorreggerla quando venne meno. Era l’ottava estratta. Nel realizzare che rimaneva una sola fiala per quella moltitudine di persone, fu preso dallo sconforto: le possibilità rimaste erano davvero poche. Non sarebbe più tornato alla sua vita, alla sua famiglia, agli amici, al suo lavoro. Gli venne da piangere. E’ che non voleva, proprio non avrebbe voluto morire. Si lasciò cadere seduto a terra, ma nel momento stesso in cui toccò il suolo sentì la voce di Azrael pronunciare il suo nome. Il suo nome. Quel suono non gli era mai sembrato così bello: balzò in piedi e si avvicinò alla sua mano, che gli porgeva quell’inestimabile tesoro. Lo prese con le due mani a conca, come si fa con un dono prezioso, e lo osservò per un momento. Il liquido aveva una strana luminescenza e si poteva sentire sul palmo delle mani l’energia che stava emettendo. Era davvero capitato a lui.
La fine di quella riffa aveva segnato un cambiamento improvviso: l’assembramento si era sciolto e ciascuno stava raccogliendo le proprie cose per proseguire il viaggio, assistito da alcuni personaggi simili in tutto ad Azrael che erano comparsi nella stanza. Tutto ora era un brulicare di preparativi. Cercò gli altri estratti, ma vide che erano già scomparsi: era chiaro che l’iniezione non necessitava di molto tempo per fare effetto. Se li immaginò in quel momento mentre si risvegliavano da quella che sarebbe stata chiamata morte apparente, e festeggiati come miracolati da parenti e amici. Miracolati lo erano davvero, e così sarebbe stato chiamato anche lui fra pochissimo.
Fu la vista di quel ragazzo, ancora accovacciato a terra, che piangeva disperato poco distante da lui. Fece per avvicinarglisi per dirgli qualche parola di conforto, quando gli passò vicino, senza neanche guardarlo, la ragazza con la casacca grigia e i pantaloncini corti. Camminava con decisione verso un lato della stanza da cui proveniva una luce più chiara, come se ci fosse un’apertura che dava all’esterno. Resistette all’impulso di utilizzare immediatamente la fiala: non voleva ritornare senza almeno prima provare a parlare a quel ragazzo disperato.
In fondo qualche minuto non avrebbe fatto alcuna differenza. Si fece raccontare di come era stata la sua esistenza: spezzare ora il legame con tutto ciò che aveva amato e apprezzato in vita gli appariva insopportabilmente doloroso. Cercò di consolarlo: aveva amato ed era stato riamato; il valore della sua vita era rappresentato da quanto era riuscito a rendere migliore quella di chi gli stava vicino, e da ciò che gli aveva raccontato non era certo cosa da poco. Ora aveva la possibilità di intraprendere una esistenza nuova, di scoprire e capire cose che in quel momento non poteva neanche immaginare. Gli chiese se credeva in Dio. Il ragazzo annuì. Ecco, ora avrebbe avuto la possibilità di vederlo. Vedere Dio: che cosa meravigliosa, disse, e se ne stupì un poco, visto che non si sarebbe potuto definire proprio un credente.
Non avrebbe potuto dire se fu per lui o perché vide la ragazza con la casacca grigia e i pantaloncini che si stava allontanando e che non sembrava tradire alcun rimpianto per ciò che stava lasciando. Non lo avrebbe proprio potuto dire, ma fu che prese le mani del ragazzo e vi pose la fiala.
Si rialzò. Sorrise al ragazzo che lo guardava inebetito e incredulo, e si avviò nella direzione verso la quale si erano mossi gli altri. La luce ora sembrava più forte e si affrettò a raggiungerli, mentre veniva preso dalla smania di vedere cosa c’era più in là e, anche se in salita, passo dopo passo il cammino gli sembrava più leggero.
mi è piaciuto molto il racconto, un modo diverso di parlare della fine, e del dopo
Scrittura scorrevole e finale curioso. L’ultimo gesto del protagonista potrebbe essere letto sia in chiave di “generosità” che di “ripensamento” visto e considerato cosa comporta la rinuncia. Originale.
Intanto volevo ringraziarvi dei vostri commenti. Riguardo al finale, non so se il protagonista compie quel gesto per generosità (o forse sarebbe meglio definirla “compassione”, nella sua accezione più ampia), o perché proprio parlando a quel ragazzo comprende poco per volta che qualcosa si è chiuso e che tornare indietro in fondo non ha poi tanto senso, e che davanti a sé si apre un universo intero. Forse è più “curiosità”.
Il protagonista perde un’occasione che più irripetibile non si potrebbe. Perchè? Forse in cuor suo pensa di aver avuto una vita piena. Forse perché è un inguaribile altruista, dote che conserva anche oltre la vita. O forse, infine, perché chissà, non è detto che il viaggio non prosegua stimolante. La storia non avrebbe sfigurato nella gloriosa serie “Ai confini della realtà. Si legge senza intoppi.