Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2011 “Spiros” di Mario Angelo Carlo Dotti

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011

Il mare più blu della Grecia, il sole, un’isola verde.

Villaggio di Kerì: sta per compiersi un evento a cui tutti parteciperanno, nativi del paese, degli altri villaggi e persino gli immigrati che qui vivono.

Pochi non verranno ma non potranno fare a meno di assistervi con i pensieri e sia pur inconsapevolmente attenderanno il suono grave dei rintocchi della campana che ad una cert’ora annuncerà definitivamente la dipartita di un uomo.

La morte di Spìros: non inaspettata certo, ma è una “faccenda” che sancisce naturalmente qualcosa come un dovere, verso la famiglia e verso lo stesso defunto… l’ultimo saluto ad un membro della piccola comunità, conosciuto da tutti, come tutti in un piccolo borgo.

Malgrado le diatribe politiche, ognuno qui sente la “partenza” di un altro come qualcosa di personale.

Per alcuni sarà come perdere un dito, per altri una mano, per altri ancora un amico che se ne va per sempre.

Anche per i sostenitori del partito “nemico” Spìros non è solo un avversario: Spìros è Spìros ed il villaggio è come se fosse un unico corpo e Spìros ne era una parte.

Nessuno si taglierebbe volentieri un braccio, anche se infetto.

Per il resto poi Spìros era considerato da tutti una brava persona, decisamente cordiale e generoso ed era sempre piacevole fare quattro oziose chiacchiere con lui al kafenìo oppure sulle sedie a dondolo del portichetto antistante alla sua casa.

Oggi, sotto al suono cupo delle campane, dentro alla chiesa adorna più che mai di ori, argenti e luci scintillanti di candele di cera ovunque, trovo tutta la gente che conosco assieme a molti altri mai visti prima.

Ci sono persino gli anziani gemelli Petro e Costantino, identici dietro ai loro baffi bianchi tuttavia tanto diversi da non parlarsi da decenni, lì, nei loro vestiti più ordinati sia pur vecchi di almeno cent’anni, con il cappello tenuto in mano in segno di rispetto al defunto. Ognuno dei due sa della presenza dell’altro ma evitano di guardarsi…

All’ingresso grande laterale, che è il principale alla chiesa di Kerì, sta la bara nel mezzo e, sopra, la foto di Spìros in un abito tanto elegante che forse non ha mai posseduto.

Dietro, sulla parete della chiesa, davanti agli altissimi scranni di legno nero, in fila, la famiglia, a partire dalla moglie e le sue figlie, tutte donne.

Entrando si passa così prima davanti a Spìros, e gli si rende omaggio, poi si passa sotto all’iconostasi dietro cui sta l’altare, e ci si inchina a Dio, si prosegue di fronte ai familiari e si stringe la mano ad ognuno, scambiandosi abbracci, parole e lacrime.

Difficile dire se sono i visitatori a dare conforto ai congiunti o viceversa, tanta è la commozione ed il coinvolgimento, e non resto neppure io indifferente ai tratti somatici dei nipotini che crescendo sembrano copiare il volto del vecchio Spìros, che poi non era davvero vecchio, e che scorgo, nel ricordo, mentre come sempre sorride da solo svolgendo le faccende quotidiane.

Dopo che tutti hanno visto negli occhi i parenti di Spiros, si celebra la funzione che raggiunge il culmine quando, ed io che sono straniero non so se sia per tradizione, l’anziana sorella inizia una sorta di lamento cantilenante in cui chiama il defunto usando tutti i diminutivi possibili, gridando sempre più forte, fino ad avvicinarsi al feretro e battere con la mano sulla bara, mentre altre persone fanno il gesto poco convincente di trattenerla.

Mentre ella insiste nella sua litania invocando “mio piccolo Spìros, Spirino mio, fratellino mio, mio piccolo amore…”, il pope ed i parenti aprono il coperchio della cassa, tenendolo sollevato e senza asportarlo, per consentirle un ultimo saluto, un ultimo abbraccio, ancora un bacio…

L’atto si ripete più volte e le guance delle vecchie del paese si rigano di lucide lacrime, con gli occhi rivolti in alto come per una preghiera, guardando scene perdute nel tempo, contorcendo le molli rughe scavate nei volti scarni, in una tenera smorfia di dolore.

Ora tutti ancora una volta stringono la mano ai parenti e chi vuole, passando dalla porta sul retro, prende biscotti secchi alle mandorle ed un bicchiere di brandy, posti come d’usanza su un tavolino appena prima dell’uscita.

Durante il tragitto, a piedi, verso il cimitero di campagna, lontana la voce della sorella a tratti rompe il tramestio sommesso dei passi, con i richiami del suo pianto per Spìros.

La fossa è già pronta, scavata nella terra, così una foto posta sul semplice monumento di famiglia, in una cornice d’argento che ritrae Spìros più giovane di almeno vent’anni, con i baffi, come non lo avevo mai visto ed il sorriso da giovanotto baldanzoso, con tanto futuro davanti a sé.

La bara è stata calata con le funi e le prime palate di terra spettano ai parenti: gli amici gettano con le mani il loro contributo alla sepoltura… Non io, i rituali mi imbarazzano e non mi va, oggi, di toccare qualcosa di così polveroso.

Ora qualcuno infila nel terreno ancora smosso alcune sigarette, Spìros fumava parecchio, e non manca vicino alla fotografia un pacchetto della sua marca preferita, una bottiglietta di uzo, il suo accendino ed un fiore reciso.

I necrofori con i badili in un attimo hanno chiuso la fossa.

Non è rimasto nessuno davanti al sepolcro, solo un Italiano; gli amici sono stati invitati alla casa del defunto per il tradizionale caffè con gli intimi dopo la cerimonia.

È per quest’usanza che i Greci brindano con tutto tranne che con il caffè.

Anch’io, l’Italiano, ma per tutti qui sull’isola sono sempre stato soltanto Kàrlos, sono invitato, ma non me la sento.

Rimango solo nel camposanto a pensare ad un amico che non parlava molto la mia lingua ma che sembrava comprendere tutto, con cui ho lavorato e con cui ho condiviso parte della mia vita.

Lo ricordo quando mandava la moglie a portarmi un piatto della sua lepre in salmì, frutto delle sue battute di caccia o delle sue trappole, quando cuoceva i suvlàki per gli ospiti dell’albergo di cui era custode, quando alla domenica venivano a trovarlo i suoi tanti e tanti nipoti e spesso vi erano dei nuovi arrivati, quando sistemava archetti e lacci per la selvaggina, quando dava da mangiare al suo cane, quando si inteneriva alla vista dei suoi gatti e quando, consegnando un frutto del suo orto, sorrideva al mio bambino…

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