Racconti nella Rete 2009 “Paul e Juliette” di Lella De Marchi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009Cafè Mazzini. Place de Vosges. Quartier Marais. Ventidue e trenta. Come un’ombra scivolosa ed animata nella notte, fuori dal cafè, Parigi piove a intermittenza sotto i neon. Nell’anno del Signore 1999.
Perché non mi stupisco di vederti, dopo tutto questo tempo?
Sono seminascosta dietro una colonna, vicino al bancone del bar. Così, non ti è possibile vedermi. Né sai che sono qui. Il mio sguardo che ti segue da lontano ti arriva in diagonale, sorvolando oggetti, persone, rumori dentro al cafè. Centrandoti. Non c’è nessuno oltre me e te. Siamo dentro al nostro microcosmo, avvolti in una bolla chiusa d’aria in mezzo a tante altre bolle d’aria fluttuanti nello spazio che ci circonda. Mi piace pensarti così. Dentro la tua bolla d’aria. Guardarti da qui. Senza essere vista da te. Se tu resti fermo dove sei in questo momento, io posso restare ad osservarti per tutto il tempo che mi va. Senza mai mancarti. Così, mentre ti guardo, mi appari. Sorridi dolcemente. Le tue labbra si schiudono scoprendo denti lucidi e bianchissimi. Un pavimento di lastricato paradisiaco marmo bianco. Potrei fidarmi di te, se non ti conoscessi. Un cerchio di luce circonda la tua bocca e si diffonde. Sei tutto dentro la tua stessa luce. Mentre, fuori dal cafè, come un’ombra scivolosa ed animata nella notte, Parigi piove a intermittenza sotto i neon. Nell’anno del Signore 1999.
Allunghi la tua mano, che incontra la stretta di un’altra mano. E’ la mano di una donna. Le hai dato appuntamento in questo cafè per conoscerla. Le tue mani forti. Certe notti, sogno ancora le tue mani. Ricorrenti, le tue mani ricoprono interamente la mia visione. Vedo solo le tue mani aprirsi chiudersi e stringere il mio cuore che si dibatte nella morsa. Sofferente, ma felice. Dentro al sogno. Guardo il tuo corpo ben piantato, ma leggero, muoversi lento. Hai l’eleganza di un felino. Sei come trattenuto all’interno di una campo di gravitazione che fa del tuo corpo il suo perno.
Perché non mi stupisco di vederti, dopo tutto questo tempo?
Chiamerò Mirelle, per comodità di narrazione poiché non ne conosco il nome, la donna che è con te dentro al cafè. Inviti Mirelle con lo sguardo a sedersi ad un tavolo. In un angolo del cafè, diametralmente opposto rispetto a me. Ma il mio sguardo che ti segue da lontano ti arriva in diagonale, sorvolando oggetti, persone, rumori dentro al cafè. Centrandoti. Accompagni Mirelle con la mano lievemente appoggiata sulla sua spalla destra. Poi, una volta seduti, ordini due gin tonic. Con un solo cenno della mano. Quanto basta, però, perché Mirelle si accorga di quanto sono belle le tue mani. Mirelle è una donna bionda, con lunghi capelli ondulati, un soprabito nero, ed un collo di lapin a circondarle il viso. Io sono Juliette. Sono bionda, con lunghi capelli ondulati, un soprabito nero, ed un collo di lapin a circondarmi il viso. Mirelle ti siede accanto al tavolo del cafè. Io sono seminascosta dietro una colonna vicino al bancone del bar. Così non ti è possibile vedermi. Né sai che sono qui. La prima volta che ti incontrai per conoscerti, fu in questo cafè. A Place de Vosges. Quartier Marais. Mentre, come un’ombra scivolosa ed animata nella notte, fuori dal cafè, Parigi pioveva a intermittenza sotto i neon.
Perché non mi stupisco di vederti, dopo tutto questo tempo?
Stai pure tranquilla, Juliette. Non credo tu possa conoscere qualcuno, in questo cafè. Chi è che non avrei dovuto conoscere? Chi non avrebbe dovuto vedermi con te, in questo cafè? La tua voce. Mi ritorna come un’eco. Profonda e un po’ impostata, con un andamento forzatamente piano, quasi recitativo. Ricordo di avere pensato, per un momento, che stessi recitando il copione di una scena già vissuta. Se avessi spiegato davanti a me tra le tue mani un foglio di quaderno e ti fossi messo a seguirne le parole ad una ad una, non mi sarei meravigliata più di tanto. Non ci sono mai stata, in questo cafè. Ricordo di averti risposto, un po’ imbarazzata. Guardo Mirelle accanto a te. Cerco il suo viso con lo sguardo. Intimamente le chiedo di confermare quella mia sensazione. Mirelle ha afferrato il bicchiere di gin tonic davanti a sé con tutte e due le mani. Quasi si aggrappa, a quel bicchiere. Lo gira e lo rigira, passandoselo tra le mani. Come se volesse scaldarne il contenuto. Ha le labbra stirate in una specie di imbarazzato sorriso e la sua bocca assomiglia ad una fessura sottile ed allungata praticata sul suo viso. Secondo me, neanche Mirelle è mai stata in questo cafè. Se quello che le hai appena detto, con molta probabilità, è quello che dicesti a me la prima sera, seduti al tavolo di questo cafè. Stai pure tranquilla, Mirelle. Non credo tu possa conoscere qualcuno, in questo cafè. Stai pure tranquilla.
Perché non mi stupisco di vederti, dopo tutto questo tempo?
Guardo Mirelle accanto a te. Cerco il suo viso con lo sguardo. Intimamente le chiedo di confermare quella mia sensazione. Guardo la bocca di Mirelle e vedo le sue labbra stirate schiudersi in un aperto sorriso. E’ come il manifestarsi atteso di un temporale, preannunciato da lampi e piccoli fulmini del cielo. Mi sembra persino di sentire il suono della sua voce mentre ride, confusa tra gli oggetti, le persone, i rumori dentro al cafè. La conosci la barzelletta dell’orsetto polare, Juliette? No, non la conosco. E’ carina? Mi spiace, non vi racconterò la barzelletta dell’orsetto polare. Ho deciso di risparmiarvi questa pena. E’ una storiella assurda. Però vi confesserò che come ogni cosa assurda pronunciata con la consapevolezza della sua assurdità, produce in chi la ascolta un effetto alquanto rassicurante. Specie quando sei al primo incontro. E’ un pazzo questo qua, ti dici. Ma questa cosa ti solleva dal peso di dire cose inadatte all’occasione, mentre ti preoccupi di meno di fare brutta figura. Guardo le labbra stirate di Mirelle schiudersi in un aperto sorriso. Ha denti lucidi e bianchissimi. Un pavimento di lastricato paradisiaco marmo bianco. Hai raccontato a Mirelle la barzelletta dell’orsetto polare.
Perché non mi stupisco di vederti, dopo tutto questo tempo?
Fa caldo qui dentro, Juliette, non trovi? Perché non ti togli il soprabito? Mi gira un po’ la testa, forse c’era molto gin dentro al bicchiere, dico, accarezzandomi sensualmente l’avambraccio sinistro con la mano destra. Guardo Mirelle accanto a te. Cerco il suo viso con lo sguardo. Intimamente le chiedo di confermare quella mia sensazione. Mirelle, in tutta risposta, si toglie il soprabito e lo appoggia dietro di sé sullo schienale della sedia. Nel compiere questo movimento, vedo scoprirsi la sua scollatura. Mirelle china la testa a guardare la sua stessa scollatura. No, non è particolarmente vanitosa, Mirelle. Solo che tu le guardi insistentemente la scollatura, che lei si era dimenticata per un attimo di avere, nascosta sotto il soprabito nero. Quando mi alzo dalla sedia prima che ce ne andiamo dal cafè, tu ti avvicini a me. Con quel tuo fare lento. Sei ad un passo dalla mia scollatura. E continui a fissarla. Poi mi aiuti ad indossare il mio soprabito nero che giace appoggiato allo schienale della sedia dietro di me. Sempre continuando a fissare la mia scollatura. Quando Mirelle si alza dalla sedia prima che ve ne andiate dal cafè, tu ti avvicini a lei. Con quel tuo fare lento. Sei ad un passo dalla sua scollatura. E continui a fissarla. Poi l’aiuti ad indossare il suo soprabito nero, che giace appoggiato allo schienale della sedia dietro di lei.
Quindi, vi vedo uscire dal cafè.
Il resto della serata, perdonatemi, gradirei non raccontarlo.
Cafè Mazzini. Place de Vosges. Quartier Marais. Ventidue e trenta. Come un’ombra scivolosa ed animata nella notte, fuori dal cafè, Parigi piove a intermittenza sotto i neon. Nell’anno del Signore 1999.
Perché non mi stupisco di vederti, dopo tutto questo tempo?
belle le descrizioni, lente e particolareggiate… Anche le ripetizioni mi piacciono, ne condivido l’effetto di una piacevole ridondanza narrativa, in senso acustico e figurato..
Brava!
Ciao Lella, il tuo racconto mi ha davvero affascinato, lo trovo maturo e poetico, stilisticamente molto personale.
Mi piace l’uso di una precisione geometrica che in realtà mette in scena l’indefinito, e personaggi che finiscono col confondersi tra loro. L’oggettività armonica, quasi cristallina, è il tuo filtro per arrivare all’emozione ed è proprio in questo contrasto che risiede la bellezza del tuo racconto.
Strano e familiare.
Ciao Lella. Ti ringrazio per il commento.
Ho letto il tuo racconto. Devo dire che è particolare, molto diverso dallo svolgimento che mi ero immaginata fino al primo “perchè non mi stupisco di vederti”. Sinceramente ho apprezzato le immagini che sai ricreare, e ho notato una certa musicalità nello scandire lo scritto in questa maniera, e anche nelle descrizioni; però, e credo sia un pochino paradossale, non mi sono piaciute le ripetizioni. O almeno, non tante quante ne hai usate. Anche se mi pare di aver capito che il racconto doveva essere simmetrico o speculare, quindi alcune erano necessarie.
Si percepisce che scrivi poesie.
Veniamo al mio racconto. Dove sparisce il diritto di suspence? Nel finale, nella puntualizzazione, per la prima volta, di un tempo e uno spazio che appartengono al passato? Doveva essere così. Un passato netto, un presente indistinto. Il finale poi è, se vogliamo, abbastanza aperto; momentaneamente bloccato, ma aperto.
Scusami se ho voluto fare queste precisazioni, ma mi piacciono le critiche e quindi cerco sempre di approfondire e di rifletterci su. Se vuoi puoi replicare sulla mia pagina.
Complimenti per il tuo racconto e in bocca al lupo per la pubblicazione delle tue poesie.
Ciao Lella!Un racconto molto lirico,a tratti come uno schizzo di un piccolo dipinto parigino di quelli che vendono a Montmartre.Le immagini sono accurate e ben costruite,la ripetizione della frase dà un ritmo musicale come una ballata.Questo mi è piaciuto,mi è piaciuto di meno il senso di incompletezza,mi sembra estrapolato da un insieme più ampio e diciamo che dopo la zummata fatta sulla scena del caffè mi piacerebbe e mi aspetterei di vedere dell’altro,ma forse è la mia personale inclinazione a voler vedere più cose che succedono anche in un racconto breve,che è un risultato a cui la forma breve deve pervenire ancora più della lunga,diciamo in altre parole che la storia che è sottintesa nel tuo raccontare io la preferirei più raccontata. 🙂
in bocca al lupo.
A mio modo di vedere è un bel racconto, originale, sensuale, sofisticato e dagli echi dannunziani (il ritmo musicale e la raffinata sensualità della pioggia nel pineto, ad esempio) Mi sembra evidente che scrivi anche poesie, forse non tutte così…decadenti! “Potrei fidarmi di te, se non ti conoscessi”: mi basta questa frase per capire di chi parli! Complimenti sinceri e in bocca al lupo. Andrea Ercolini