Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2011 “Donne in cammino” di Armida Massarelli

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011

 

“Sai, Serè? Ho pensato che se le foto verranno bene, come vorrei, potremmo fare un bel lavoro insieme, unendo alle immagini le nostre riflessioni e i nostri pensieri e magari anche i pensieri di altri …. Che ne dici?!”

Così scrive mia cugina Giulia in un’intensa pagina del suo diario di viaggio.

È il 20 giugno 2010, il giorno prima del mio compleanno. Mi piacerebbe che lei fosse qui a festeggiare con me e con le persone più care. È un compleanno speciale, questo. Lavoro come sempre, non ho cambiato paese né casa (forse dovrei), frequento gli stessi amici e ascolto la stessa musica. Preoccupazioni, tante. Delusioni, troppe e troppo profonde. Tutto in apparenza uguale a qualche mese fa. Eppure sono in cammino. E questo compleanno ne è una tappa importante. C’è una femminilità riscoperta, una forza di cui sono orgogliosa, la vitalità di una donna che ha ancora desiderio e bisogno di creare. E tutto questo, ho deciso, va festeggiato. 

E, mentre preparo per domani un vestito azzurro intenso (sarà troppo elegante? e, se anche fosse, voglio essere elegante) e scelgo le decorazioni per la tavola (roselline rosse fissate su mele gialle), ascolto una canzone. È di qualche anno fa, l’ha scritta il grande Vinicio. Ho sassi nelle scarpe / E polvere sul cuore / Freddo nel sole / E non bastan le parole / Mi spiace se ho peccato / Mi spiace se ho sbagliato / Se non ci sono stato / Se non sono tornato … Anch’io ho sassi nelle scarpe, forse ancora un po’ di polvere sul cuore. Mi spiace se … mi spiace… Ma sento che il cammino è buono, mi fa e mi farà bene. Per strada polvere, freddo, errori, distacchi. Un po’ vado spedita, un po’ arranco ma le scarpe sono comode (nonostante i sassi), gli occhi attenti e il mio sguardo è indulgente e curioso. Non prendo scorciatoie. Sono certa: disperderò sassi, polvere e freddo in un vento amico che pulirà viali, sentieri e renderà il cielo terso e luminoso. Brava Serena, o come direbbe Giulia, brava Serè!

C’eravamo viste un mese prima della sua partenza. Chiacchierate lunghe, riflessioni ad alta voce. Una sera, tornavamo da un paese vicino. Mi viene così bene far incontrare persone, spesso donne, che hanno calcato tratti di cammino diversi con intenzioni simili, con  la strada nel cuore e i piedi sempre pronti a partire. E quel pomeriggio l’incontro era stato straordinario. Si erano mescolati racconti, emozioni, atmosfere d’Africa e nebbie padane, mare, oceani, e figli, tanti figli. Quelli arrivati, quelli desiderati.

Avevamo percorso, in un buio accogliente, una strada tortuosa e conosciuta. La luce dei fari aveva, a tratti, svelato con discrezione muretti a secco, rugosi tronchi di vecchi ulivi ricurvi e qualche strettissima via di campagna della quale si intuiva soltanto l’imbocco.

E, proprio sotto casa, accostata la macchina, i discorsi erano continuati. Libertà assoluta di incoerenza e spontanea sincerità. Sollievo. Meraviglie. Dubbi non risolti. Ottimismo, nonostante tutto. Progetti. Lì, chiuse in quel guscio scomodo ma gradevole, quasi protettivo, una scatola insonorizzata, avevamo accolto la pioggia senza sorprenderci più di tanto. Le gocce scorrevano sui finestrini, alcune più velocemente, altre trattenute dalla polvere ormai incrostata sul vetro. C’era della bellezza. C’è sempre bellezza quando due donne scavano nel loro intimo e, con la naturalezza di amiche bambine, comunicano l’una all’altra l’esito delle loro scoperte. C’è bellezza quando sanno dire la loro complessità e ne parlano con conquistata semplicità. Delusione, sì, più che altro per chi non cambia, loro sempre pronte a cambiare.

Qualcuno, camminando a passo svelto, aveva scrutato con curiosità l’interno della mia macchina e ci aveva, sia pur distrattamente, osservato. Strane, le donne! 

Si sarà stupita, chissà, anche la luna quella sera. Lei, quella che io chiamo amichevolmente Palla d’Argento, si era fatta largo nel cielo e ci aveva mandato, tra la pioggia che si faceva più rada e qualche nuvola scura, un piccolo sprazzo di luce inaspettata. E, non credo per caso, aveva illuminato un proposito.

Fu in quella inconsueta situazione che Giulia mi confessò il suo progetto. Avrebbe fatto di lì a poco il cammino di Santiago de Compostela. Sola, in bicicletta.

Non mi stupii. Appresi la sua intenzione con la certezza dell’incanto di quel progetto.

Avevo ben chiare tutte le difficoltà, gli ostacoli. Un po’ di geografia la conosco! Ebbi subito l’immagine netta di  qualche tratto di quel percorso. Vidi la tortuosità di certe strade, le montagne, nuvole nerissime, e immaginai pioggia battente e copiosa (altro che quella scesa sulla macchina!) sul volto stremato di mia cugina.

Ma non mi stupii. E, soprattutto, non scattò in me il mio solito e incontenibile sentimento protettivo (diciamo la verità, tipico delle mamme apprensive). Ero sicura che tutto sarebbe stato sì faticoso ma incredibilmente bello e grande. Brava, Giulia.

Un’altra donna forte, coraggiosa, pensai. Un’altra che trasforma le sue fragilità in energia, in determinazione. Pensai a quante amiche, in quest’ultimo anno, erano state forti, coraggiose, tenaci. C’era chi aveva affrontato un cancro e lo aveva combattuto, vincendolo, con tutta la volontà e l’aggressiva risolutezza. Chi aveva vissuto una separazione inaspettata e cruenta. Chi aveva perso il bambino che aspettava, chi l’amore della sua vita, o quella considerato tale. E, andando indietro nel tempo, c’era chi aveva cresciuto, sola, una figlia coltivandola con profonda sensibilità e chi, figlia, aveva fatto da madre alla sua mamma.

E allora, eccola Giulia che parte, diversamente dalle altre, eppure come le altre.

Eccola che, sola, si ascolta e si fa compagnia.

Eccola che vede papaveri gialli e li considera effetto della stanchezza.

Eccola affrontare le vertigini e, nel silenzio, “aprire il cuore all’infinito”.

Eccola, nonostante la macchina fotografica che ha preso l’abitudine di incepparsi, scattare foto meravigliose.

Eccola che, sulla strada per Leon, mi pensa e a sera, nel momentaneo e confortante riposo, considera la possibilità di unire le nostre esperienze, i nostri “cammini”. Farne un lavoro insieme, un libro. Lei le sue foto, io le mie parole e le parole di altri. Lei il suo cammino, io il mio cammino.

È il 20 giugno. Sono contenta. Domani mi festeggeranno e mi festeggerò. Non mi facevo regali da tempo. Non pensavo a me da troppo tempo. Sono convinta più che mai che indosserò il vestito azzurro intenso. Sono sicura che riceverò dei fiori e saranno rose di un rosso intenso. Domani pioverà, a dispetto del solstizio d’estate ma è il mio solstizio e la pioggia mi divertirà.

Un messaggio sul cellulare! Mi scuote in questi pensieri leggeri (non mi regalavo da tempo anche la leggerezza). È Giulia.

Nella brevità di un SMS, ci sono i paesaggi, le strade polverose, le nuvole, i papaveri e la sua anima, la sua generosità. C’è il suo essere nel vento, la sua stanchezza e la sua nostalgia. Ci sono i suoi doni, le sue preghiere. I fardelli alleggeriti (chissà, forse come i miei pensieri, quelli di questi ultimi tempi). Ci sono gli incontri. C’è la sua conquistata serenità.

Mi dirà, poi, delle lacrime mescolate alla pioggia. Mi racconterà, al ritorno, della sua ricerca del silenzio. Del suo essere sola, lì, per le difficili strade deserte, e del non sentirsi sola. Delle piaghe sulle braccia dovute alle ustioni (troppo sole, troppo intenso). Della grande “comitiva” che ha portato con sé, nel suo cuore e della forza ricevuta dalla compagnia di figli, genitori, fratelli, amici. Mi dirà dopo di avermi pensata davanti a cespugli profumati di ginestre e a gruppi di fiori “di un viola stupendo”. Mi narrerà degli incontri. Di Marcelino Lobato, per esempio,  del suo asino e della Virgen de la Locura (bello sapere che c’è una Madonna  della Follia!). Mi parlerà delle cicogne e delle loro danze nel cielo. Dei nidi e della nostalgia di casa e della nostalgia del cammino. Insieme a lei ho “ascoltato” il suono delle foglie al vento e del gracidare delle rane. Di un’anima rivolta all’Infinito e di preghiere che salgono, quasi danzando,  come quegli uccelli ballerini nel vuoto.

Al suo ritorno, sul Pontegobbo di Bobbio, Giulia mi commuoverà con la sua aria ancora meravigliata, consapevole e al contempo ancora incredula.

E lì, allegre, entusiasmandoci per l’acqua del fiume che scorre impetuosa, progetteremo insieme un altro cammino, per un’altra via. Questa volta sapremo, forse, evitare ferite, e andare leggere sin dalla partenza. E sentiremo insieme il suono del silenzio e, speriamo, saremo silenzio anche noi.

È il 20 giugno.

Ancora ascolto quella canzone.  Ma ancora proteggi / La grazia del mio cuore / Adesso e per quando / Tornerà nel tempo / Il tempo per partire / Il tempo per restare… / Il tempo di lasciare / Il tempo di abbracciare. Grande Capossela!

Grazie, Giulia. Il tuo viaggio è diventato anche il mio viaggio. Serena

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3 commenti »

  1. Una scrittura soffice come una nuvola che abbraccia, teneramente, la fragilità femminile. Una fragilità così tanto vicina alla forza al punto da confondersi con essa e diventare un tutt’uno. Una ricchezza, questo insieme di forza e fragilità, che appartiene solo alle donne. Passaggi leggeri e commoventi sui pensieri che quotidianamente ci fanno compagnia, quelli che ci fanno piangere senza motivo, quelli che diventano fonte di gioia, spesso senza motivo. Un racconto che è una carezza.

  2. Il viaggio è l’esperienza introspettiva più bella; allo stesso tempo ci apre alla curiosità verso il mondo e alla sua ammirazione.

  3. Il racconto del ”viaggio” condiviso da due donne, offre molti spunti di riflessione sulla ricchezza e profondità dell’animo femminile capace di gustare e assaporare tutto ciò che è dentro e fuori di noi.

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