Premio Racconti nella Rete 2011 “Una giornata d’autunno” di Vanda Liber
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011Quell’anno l’autunno era arrivato tardi. Gli alberi secolari del parco conservavano ancora le loro foglie ma il vento gelido di quel mattino li stava spogliando d’un tratto e facendolo disegnava nell’aria un’onda, una sciame in movimento, fatto di foglie morte che un pittore immaginario sembrava aver disegnato nel cielo con la tavolozza sporcata di giallo, arancione e rosso.
Lei correva lungo la stradina di ghiaia che si snodava nel parco come un serpente addormentato a lambire l’erba rada e calpestata dei prati intorno.
L’auricolare, ficcato dentro le orecchie fin dal risveglio, la metteva in contatto con il mondo, quello che si sveglia presto al mattino e quello che si sta infilando sotto le lenzuola con le ombre lunghe della notte che si allungano fin dentro le case. Le notizie dal mondo, già. L’indice Nikkei, il dollaro e le previsioni degli analisti sul FTSE Mibtel, sull’economia americana e sulla questione medio-orientale.
Aveva cominciato a correre sei mesi prima, di ritorno da un viaggio negli USA, dove aveva visto i colleghi di Manhattan iniziare sempre le loro giornate correndo tra i vialetti di Central Park. Ma non era uno svago. Era lavoro, perché quando si sfilavano le scarpe da ginnastica, con le goccioline di sudore che formavano rigagnoli acquosi che scendevano lungo le guance arrossate, avevano già disposto vendite di futures o acquistato quote di fondi brasiliani per i loro clienti.
I calzoncini corti, la felpa ed i capelli raccolti in una coda di cavallo che si muoveva da destra a sinistra e viceversa, seguendo il ritmo regolare della corsa leggera. Guardava dritto ma il suo sguardo non si appoggiava mai. Restava lì, a librare nell’aria, senza una mèta, mai alla ricerca di qualcosa, uno scorcio, una foglia, uno spicchio di cielo. Gli occhi dentro sembravano chiusi, come le labbra, serrate. Era una corsa solitaria, come su un tapis roulant nella propria stanza da letto, o in una polverosa soffitta o in una cantina umida o in mezzo al deserto. Un puntino nell’universo, visto dall’alto. Una macchiolina che corre ma che non dà e non toglie niente al mondo.
Il vecchio aveva curvato la schiena in avanti e la testa, china, sembrava penzolare senza forza. Gli capitava spesso. All’inizio aveva cercato di ribellarsi, raccogliendo tutte le forze per raddrizzare il suo corpo stanco. Ma negli ultimi giorni quello sforzo gli era sembrato troppo grande e così aveva smesso di combattere contro quel nemico oscuro che gli toglieva ogni giorno qualcosa. Un pezzettino di energia, di desiderio, lasciandogli credere che a poco a poco lo avrebbe derubato di tutto fino a lasciargli quel brandello di vita che lui stesso avrebbe poi consegnato tra le sue mani.
I passi della donna scivolavano accanto alle panchine vuote. Correva dentro la cornice di un quadro. L’immagine ritraeva la stradina sterrata e le panchine di legno dipinto di verde, leggermente scrostate sulle rotondità. Sulla terza a destra, c’era la sagoma di un vecchio con il cappello in testa e le braccia scivolate lungo il corpo. Correva dentro l’immobilità di tutto ciò che la circondava. Senza vita perché sempre uguale. Ma quel giorno il vento aveva sollevato il giornale del vecchio e lo aveva portato lontano lasciandolo cadere sulla ghiaia, stropicciato. Il giornale non c’era mai stato nel quadro e gli occhi della donna si mossero, cadendo su quelle pagine fruscianti del rumore del vento che ancora soffiava dentro quei fogli sottili.
Si fermò, mentre i suoi piedi seguitavano a saltellare per non interrompere la corsa.
Si chinò leggermente per sbirciare il giornale, indagandone la data. Doveva essere di quel giorno. Ecco perché non c’era nel quadro. Invece il giornale portava la data di qualche mese prima. 27 agosto. Allora smise di saltellare e si guardò intorno. Fu in quell’istante che scorse il corpo del vecchio accasciato sulla panchina.
Dall’auricolare stavano arrivando le chiusure dei mercati asiatici e a qualche metro da lei c’era un uomo con le scarpe da vecchio e il cappello in testa. Aveva gli occhi chiusi e le braccia addormentate dentro la giacca pesante e consunta.
I piedi di lei si erano fermati ed il respiro affannoso muoveva il suo petto in su e in giù. Si avvicinò al vecchio, lentamente, con addosso il timore dell’ignoto ma anche la paura di violare, di calpestare uno spazio altrui. Già, perché la sagoma del vecchio, ne era certa, c’era sempre stata nel dipinto.
“Scusi, il giornale è suo?” – il tono della voce era alto per sovrastare quello del cronista che stava elencando le performance dei titoli azionari. ‘Meno male che ho comprato ieri sera’ – pensò – ‘con l’indice schizzato su così, ho fatto guadagnare un bel po’ a Maseti. Chissà come sarà contento il mio capo quando lo saprà’. Stava sorridendo ma poi si ricordò dell’uomo, accanto a lei. “Si stente bene?” – si era avvicinata ancora un po’ ed ora la sua mano sfiorava la spalla curva del vecchio. Si guardò intorno cercando fin oltre la cortina del parco, la presenza di qualche essere umano. Ma non scorse nessuno. Gli toccò allora la mano, fredda e rugosa, appena un soffio. Ed allora il vecchio alzò la testa verso di lei.
“Mi dispiace” – sussurrò piano la donna – “non volevo svegliarla … è che … insomma … pensavo che forse … avesse bisogno di aiuto.” –
L’uomo le sorrise. Debolmente. La pelle del viso era pallida e costellata dai segni del tempo. Incisioni profonde che passavano da parte a parte, scavate un poco alla volta, anno dopo anno.
“Grazie” – rispose allungando la mano tremante.
“Ho visto che è di qualche tempo fa … forse vorrebbe leggere quello di oggi?” – chiese la donna.
“No, no, questo va bene. Lo porto sempre con me. Sa, è importante conoscere le notizie!” – rispose appoggiando il giornale sulle ginocchia tremanti.
“Certo, lo penso anch’io. Però quelle sono notizie vecchie! Dopo di quel giorno sono successe molte altre cose …”
Il vecchio rise, scuotendo la testa. “E che cosa è successo di così importante che non sia già stato scritto in tutti questi anni?” – chiese sottovoce.
“Allora vuole dire che non accade mai niente nel mondo che non sia già successo?” – era sbalordita.
“La gente, i popoli, continuano a commettere gli stessi errori. Combattono tra di loro, si insultano, si tradiscono, si uccidono. Danno fuoco alle loro case e bruciano i loro sogni. E’ successo qualcosa di diverso in questi ultimi mesi?” – chiese il vecchio guardando la donna fisso negli occhi.
“Beh, no … forse no … ma allora, per lei, il tempo non è importante?” – domandò togliendosi l’auricolare e mettendosi a sedere accanto all’uomo.
“Sì, può essere importante, ma solo se riusciamo a riempirlo bene.” – tossì e poi chiuse gli occhi portandosi entrambe le mani sul viso. Quando li riaprì erano velati di un sottile strato d’acqua. “Io, purtroppo, non lo ho usato bene”. – concluse
Il reticolo di rughe si era inspessito nello sforzo di celare l’emozione.
“Ma lei è rimasto qui tutta la notte?” – chiese vedendo la giacca vistosamente stropicciata. – “Forse qualcuno della sua famiglia la sta cercando!” – disse con apprensione.
Il vecchio si girò verso di lei. Ma attese qualche istante prima di parlare. “No, non mi cerca più nessuno. Gliel’ho detto che ho speso male il mio tempo. La mia famiglia è ormai lontana. Ed anche i miei figli … sono cresciuti e mah …”
“Ma lei non ha una casa dove stare? Vive forse in un ospizio?”
L’uomo non ascoltò le ultime parole che caddero come polvere sulla stradina di ghiaia. “Devi ascoltare sempre il tuo cuore. Da lì e solo da lì devono partire le tue scelte. Quello che ti sta attorno è solo il canovaccio sul quale costruire la tua vita e non può essere quello che ne tira le fila. E alla sera non scordare mai di guardare dentro te stessa per chiederti se non hai dimenticato qualcosa o qualcuno.” – il vecchio fece un respiro profondo, poi le sorrise.
La donna si ricordò d’un tratto del tempo che poteva essere passato e sbirciò l’orologio. Era quasi mezzogiorno. Si chinò su quella figura fragile e provò uno struggente affetto.
“E’ molto tardi, ora devo andare.. ma domani.. sì, domani la porterò in un posto bellissimo. Pranzeremo vicino al mare, con i piedi nella sabbia …”
“Domani. Sì. Il tempo non mi appartiene più e la serata e la notte scivoleranno via senza lasciare traccia …”
Si girò a guardarlo, dopo qualche passo. Lui accennò un saluto con la mano, ma la testa era già di nuova china.
L’aria del mattino era gelida e la giovane donna era arrivata al parco molto presto. Guardò gli alberi secolari e il mulinello di foglie colorate dal solito pittore immaginario che ora stava risciacquando i pennelli alla fontana. Forse il dipinto non era più lo stesso.
Si affrettò. La corsa si era fatta più concitata. L’auricolare era rimasto sul comodino, accanto al black-berry, agli indici Nikkei ed alle altre piccole cose.
Dietro la curva, la terza panchina a destra… si fermò d’un tratto. Qualcosa nel quadro era cambiato. Sentì calde lacrime salire su fino agli occhi. La sagoma del vecchio, quella non c’era più.