Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2011 “Ancora una spinta” di Ildebrando Paganelli

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011

Più forte!” gridi, “più forte!” mentre spingo con maggiore energia l’altalena e non faccio in tempo a vedere la tua chioma corvina allontanarsi che di nuovo ne respiro l’odore mentre sei pronta a reclamare una nuova spinta. Sei proprio una bimba e ti sono grato per questo.

Avevo smesso di credere che mi sarei trovato ancora una volta in tua compagnia e mai avrei immaginato sarebbe accaduto in questo frangente: a spingerti sull’altalena, in un parco cittadino in mezzo a mamme, nonni e bambini, in una città che non conosco, quella nella quale vivi con la tua famiglia.

Grazie per avermi telefonato, per avere risposto alle mie tante lettere, per aver letto i libri che ti ho inviato, per quest’incontro, quest’emozione, l’ennesima che ancora sei in grado di donarmi nonostante sia passato tutto questo tempo. Vent’anni. Vent’anni sono trascorsi… ma lo diresti tu? Io no davvero.

E’ come se t’avessi lasciata poche settimane fa e ti ritrovo oggi, bella come allora, preziosa più d’allora per effetto della tua morbida maturità.

E folle, pericolosamente folle. Come allora.

Chissà come ti sembro io: me lo sono domandato poco fa in aeroporto mentre con un dito teneramente seguivi una ruga sulla mia fronte.

Te l’ho chiesto con gli occhi ed i tuoi si sono riempiti di dolcezza. Chissà cosa pensi di me: vorrei domandartelo ma non ne ho il coraggio.

E nemmeno riesco a chiederti se sei appagata o felice addirittura. Io spero di sì, lo spero proprio. L’ho tanto desiderato per te e credo d’aver finanche pregato una volta che tu stessi bene ma bene davvero. Non sopporterei l’idea che così non fosse. Pensarti serena mi fa vivere meglio.  

L’hai capito – vero? – che non ho mai smesso d’amarti in tutti questi anni.

Non avrei potuto, non so come fare. D’altronde m’innamorai subito di te, non appena ti conobbi.

Non credo d’avertelo mai detto – certo perché l’ho capito solo dopo – ma quanto mi attrasse davvero di te furono le tue ferite, sopratutto quando capii che erano quelle il tuo dono e che attraverso esse ti offrivi, senza risparmiare nulla di te, nemmeno l’anima. Quella, anzi, meno d’ogni altra cosa.

Le tue ferite ti rendevano unica e bellissima, oltremodo desiderabile. Esse hanno guarito le mie e le mie le tue, almeno per il tempo che trascorremmo assieme.

Eravamo come piantine nate in un terreno arido che, a causa dell’egoistica invadenza delle piante vicine, hanno ricevuto poca luce ed ancor meno calore, che sono state poco irrorate dalla pioggia e che nel crescere, di conseguenza, hanno stentato, elevandosi dolorosamente ed a costo di sgradevoli storture nel tronco e nei rami. Ma la radice che possedevamo – il nostro spirito – era forte e nobile, tanto da aver avuto la forza di portarci, seppur faticosamente, ad emergere dall’insensato groviglio delle altre piante, ad incontrare la luce ed il calore, quindi a riassumere la giusta postura del tronco ed a dispiegare armoniosamente i rami.

 L’acqua di cui abbisognavamo l’abbiamo cercata nella profondità del terreno, più dentro di noi, ricongiungendoci a noi stessi, immergendoci e talvolta finanche affogando nella nostra coscienza e nella verità della nostra storia.

E quanto ci unì davvero, al di là dell’amore, credo fu il nostro essere così irreparabilmente danneggiati, così bisognosi di qualcosa che potesse salvarci da quelle maree inarrestabili di disperazione e placare la nostra sete di vita.

Eccomi qui, con te, per te, per un giorno ancora.

Me la leggi negli occhi questa passione mai lenita, nei gesti, nel tono della voce. E così te l’ho detto, ti ho detto che ti amo, ti amo ancora e sono felice sia così perché mi fa star bene amarti anche se non posso vederti e addirittura sentirti. Mi fa star bene perché talvolta mi fa sentire come il ragazzo che hai adorato, al quale non riesco, non voglio rinunciare.

E in fondo non m’importa se non sei più innamorata di me, se non provi la stessa spinta d’allora, quando per vedermi anche solo un minuto dimenticavi di dormire o di mangiare.

Ti comportavi come una pazza che corre incontro alla propria ossessione ed ogni cosa, ogni cosa facevi per farmi sentire la dolcezza del tuo amore, la potenza devastante della tua passione, del tuo desiderio.

Fare l’amore con te, possederti è stata l’esperienza più straordinaria della mia vita, la cosa più meravigliosa che mi sia capitata e mai nessuna, nessuna mai è stata capace di farmi provare quel che mi hai fatto avvertire tu.

Sei stata la prima. L’ultima.

Reclamavamo l’eternità che credevamo potesse assicurarci il nostro amore e per averla eravamo pronti a dannarci l’anima dacché gli unici limiti che conoscevamo erano quelli dei nostri occhi, non certo quelli delle nostre fantasie, dei nostri aneliti inconfessabili.

Era una sensazione così enorme che non sono in grado di spiegartela, non ci sono mai riuscito ma tu sai di cosa parlo, se solo sai ricordarlo, se solo puoi.

Curiosa la vita che ci sottrae a volte quel che desideriamo di più.

Crudele, forse.

Io in qualche modo mi ci sono abituato perché se è vero che ho avuto tanto nella mia esistenza è altresì vero che non poco m’è stato sottratto.

E va bene così.

Sai, mi considero un privilegiato perché questa stagione della mia vita mi ha generosamente, inaspettatamente restituito la speranza. Non solo quella del futuro ma anche e sopratutto quella del passato. E’ difficile per me spiegarlo ma ha a che vedere con tutto quanto ho vissuto, con tutta quella vita.

Tutta quella vita: sopratutto quella di quanti mi sono stati accanto, permeando la mia esistenza anche della loro assenza e sopratutto in virtù di questa stravolgendola. Come ha fatto mia padre. Come hai fatto tu.

Tante, troppe volte mi sono chiesto come sarebbe andata se noi due fossimo rimasti assieme. Non credo vi sarebbero state mezze misure: malissimo.

O benissimo. Non lo sapremo mai, eh? Temo che mio malgrado continuerò a domandarmelo ancora a lungo, forse per tutta la vita.

 So già che un giorno ti chiederai quale sia il senso del nostro rapporto e perché sostenerlo, proteggerlo se non potrà sfociare nella quotidianità od in una qualche consistenza.

La risposta sta proprio nella fragilità, nell’indeterminatezza, nella difficoltà che lo caratterizzano, lo nutrono, gli danno respiro.

E’ un amore fatto d’anelito, d’ispirazione, di sospensione, di malinconia e nostalgia, d’irrealtà ed immaginazione, di sconforto e rinuncia, di gioia improvvisa, comunque di speranza. 

Non dubitare mai che si tratti d’amore vero perché lo è.

E’ amore. Certo un altro modo d’amare che solo a taluni è concesso ed è tanto più prezioso perché si nutre di poco, quasi di niente: la nostra voce, in brevi telefonate, alla quale si contrappongono silenzi improvvisi ed imbarazzati, poche righe pregne di tenerezza e desiderio, piccoli doni che apriamo con ansia grati dell’attenzione che l’altro ha voluto rinnovare… E fantasie morbose nel buio della nostra stanza. Sì, proprio quelle perché noi siamo anche così.

E’ tutto qui ma non è poco – credimi – non è poco. Ed anzi, in certi periodi della nostra vita può valere tanto, significare molto.

A vent’anni di distanza siamo capaci di volerci ancora bene, di trepidare l’uno per l’altra, di desiderare che l’altro faccia parte, in qualche modo, della nostra vita.

Fino a poco tempo fa tu eri una parte del mio passato che si ritraeva ogni qual volta cercavo d’avvicinarmi ed oggi io sono un brandello, un piccolo lembo del tuo futuro che ti viene incontro. Se poi mi chiedi quanto durerà quest’incanto ti rispondo che non lo so e davvero non m’importa.

Ci ritroveremo nel tempo, da qualche parte per raccontarci ancora ed ancora di quell’amore e di come quei ragazzi d’allora non abbiano potuto dimenticarlo ed anche in virtù di esso siano rimasti tali, cristallizzati in quella dimensione da una promessa sussurrata tanti anni prima. Come in un sortilegio.

Dimmi, puoi vederli? Puoi vederci?

Alle spalle hanno un radioso, irrinunciabile futuro.

Adesso però non posso farmi distrarre dai miei pensieri mentre mi chiedi a gran voce di spingerti più forte, più in alto.

Io il padre, tu la figlia; la madre tu, io tuo figlio.

La tua risata limpida, di bambina, mi allaga l’anima di luce e mi scopro a ridere con te, a ridere forte non so neanch’io di cosa, dimentico della mia esistenza, di quanto è stato in tutto questo tempo, di quanto ancora sarà.

Di quanto mai sarà.

Guardami mentre sono qui per te a spingere quest’altalena che mi ricorda la nostra storia e la mia vita intera: la spinta verso l’alto, l’illusione di librarsi in volo, finalmente liberi, l’abbaglio del cielo mentre già si ricade giù, verso il basso.

Ecco un’altra spinta ed un’altra ancora, più forte, più forte che posso, più forte – vita mia – ora che ti giri a guardarmi, adesso mentre mi guardi.

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1 commento »

  1. Ritrovarsi dopo vent’anni, trascorsi senza mai dimenticarsi l’uno dell’altra.
    Un sentimento che si nutre di poco. Ma, se è ancora vivo nonostante abbia potuto nutrirsi negli anni soltanto di quel poco, vuol dire che è un sentimento vero.
    E’ un racconto carico di nostalgia, ma di una nostalgia gioiosa, illuminata dalla luce di ricordi teneri e intensi.
    Molto bella l’immagine della donna ritornata bambina sull’altalena, mentre lui la spinge sempre più forte.

    Nikki Simonetti
    Gioacchino De Padova

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