Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2011 “Con gli occhi al cielo” di Overthesky

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011

Era sera, era soltanto un’altra sera, identica, identica come doveva, a tutte le altre che l’avevano preceduta. Tra tutti gli avvenimenti quotidiani, niente aveva turbato la serenità della loro famiglia; tutto sarebbe dovuto scorrere placido, e tranquillo, come al solito, nel quieto clima di una sera primaverile. Erano le otto, e in cucina avevano appena finito i preparativi per la cena. La tavola pronta, tutto era già stato apparecchiato; solo, si aspettava il ritorno dei ragazzi, che avevano passato l’intera giornata a casa di amici.

In quel momento, nulla avrebbe potuto far sospettare il rapido precipitare degli eventi. Le notizie che – tuttavia – erano giunte, erano di quanto più inaspettato e temuto potesse esserci allora; e non lasciavano, e mai avrebbero potuto lasciare, le cose come erano state, fino ad allora. Sul volto di Paola era comparsa un’espressione di grande stupore, quasi di terrore; e Roberto, suo marito, da poco rientrato dal suo turno, era stato colto impreparato dalle novità che avevano fatto breccia, alla fine, nell’ambiente di casa. Lo sguardo di lei era muto, smarrito, in cerca di risposte; e cercava il volto, e le parole, dell’unica persona che avrebbe potuto darle conforto. Ma quel viso, quello sguardo, non davano responso, non davano speranza! Volgeva gli occhi altrove, sfuggenti; tentando di guardare dinanzi a sé, al futuro,  dove non si scorgeva più nulla, nulla, di ciò che sarebbe potuto essere, e che, probabilmente, ora non sarebbe mai più stato.

Sembrava come essersi spento il sereno bagliore con qui si scorge l’avvenire silenzioso e lontano! E la notizia che era giunta, con l’impeto del tuono, all’interno dell’inconsapevole ménage domestico, aveva avuto lo stesso effetto d’una bomba che esplode, fragorosa, e che spazza via tutto ciò che incontra, nel momento stesso del suo impatto fatale.

Era stato un attimo, pochissimi attimi! E la crisi era scoppiata, inevitabile.

Roberto, cosa significa tutto ciò? Perché non ne sapevamo nulla?

Roberto non aveva saputo dire nulla. Lui, padre di famiglia, non riusciva a dare risposta alcuna a quelle domande, a dare spiegazioni alla donna amata, che stava dinanzi a lui, tesa, come poche altre volte era stata.

Guardami. Rispondimi! Perché non ne sapevo niente? Perché non ne hai mai parlato?

Gli occhi di Paola non lasciavano scampo. Risplendevano d’una fiamma particolare, come solo il sentimento d’un inganno, d’un tradimento, può accendere. E cercavano con insistenza gli occhi del marito; perché lei, lei per prima! Non aveva udito parola, fino ad allora, di tutto quel che era successo in quelle settimane, e che le era stato, più o meno abilmente, nascosto, o almeno camuffato. In modo che, in ogni caso, all’udir le voci, che si alzavano sempre più prepotenti, in quei giorni torbidi e scuri, non sarebbe stato dato pensiero, e a tutte quelle cose che, più o meno, corrispondevano a verità, non sarebbe stato dato peso.

Come posso spiegarti? Come potrei? Le rispondeva suo marito, come a volerla implorare, a pregarla di non opporsi ad uno stato di cose che sempre più si faceva inevitabile.

Provaci, almeno! Abbiamo delle responsabilità nei confronti della nostra famiglia! Perché tenerci nascosto tutto? La rabbia che provava in quel momento era intrisa delle più diverse sensazioni, della fiducia tradita, della frustrazione per le speranze illuse: e la paura per il futuro.

Perché non avevo altra scelta, Paola, perché non avevo scelta! Come avrei potuto portarvi questa notizia? Che avrebbe gettato nello sconforto non solo te, ma anche i nostri figli? Come, dimmelo! Come?

Anche Roberto aveva provato, e provava tutt’ora, quegli stessi sentimenti! Di delusione, quasi disperazione, per quell’avvenire che sembra voler fuggir via, e scordarsi – di te, e di tutti coloro che condividono il tuo stesso destino. Ma di fronte ad esse cercava di porre rimedio ragionando su una soluzione, pazientando, pregando il tempo di non scappare lontano, veloce, come invece scorreva, da mesi. Da quando lui, per primo, aveva udito le parole di quella che sembrava essere una vera e propria condanna, per lui, e per le persone a lui inscindibilmente legate.

Allora, allora…! Credi, credi che sia stato giusto, mentire così, a tutti noi? Perché queste sono bugie, solo bugie! Aver taciuto tutto questo tempo e, anzi, aver continuato a… a comportarti normalmente, come se nulla fosse, continuando a parlarci – a parlarmi! Sempre allo stesso modo, di tutto quanto, come se nulla fosse…! Rispondeva lei, tentando di dar voce a tutti i pensieri che attraversavano il suo animo sconvolto. Impetuose e, a lor modo, quasi feroci, quelle parole andavano a colpire la coscienza di Roberto, che si scuoteva, e risuonava, di quelle espressioni brucianti, e tuttavia vere. Lui avrebbe tanto, tanto voluto trovare il modo di mutare la realtà delle cose, e di trasformare le brutte notizie in novità ben più liete! Ma ciò non gli era possibile. Non avevo alternative, non ne avevo, lo capisci questo? Avrei potuto trovare un altro posto, nel frattempo; le cose potevano cambiare, da un momento all’altro, perché nessuno sapeva cosa ci fosse di certo. Nessuno, tra noi!

Così come non gli era possibile tornare indietro, e, almeno, comportarsi diversamente. Quando aveva scoperto che la vita sua, e della sua famiglia, era destinata a cambiare, perché il suo stabilimento era in procinto di chiudere i battenti, lasciando lui, e molti altri, senza lavoro, non aveva fatto altro che evitare di scaricare il peso delle sue preoccupazioni sui suoi cari. In quei giorni non aveva fatto parola con nessuno, al di fuori del lavoro, della chiusura della fabbrica; era stata una tempesta che si era avventata cieca e impetuosa su di loro, pronta a travolgerli; mentre tutti, a casa, erano sereni; e si concentravano sul futuro, pensando ai progetti, alle vacanze vicine, alla scuola a settembre, e al resto; e lui non aveva potuto fare nient’altro che assecondare quei discorsi, o, nel migliore dei casi, evitarli, riparandosi dietro ad una sola, laconica, espressione: Vedremo.

Non aveva avuto il cuore di infrangere le aspettative di tutta la famiglia! Ma il momento era giunto, e lui non aveva più potuto nascondere niente della sua sorte futura.

La mia fabbrica chiuderà, e tutti saremo lasciati a casa. Per un po’ potremo fare affidamento sugli assegni di disoccupazione; poi, poi…

La frase si chiudeva lì. Il discorso, non era stato udito dalla sola Paola, e dal solo Roberto; ad un tratto, sull’uscio luminoso della cucina, si era affacciato il volto, esterrefatto, ma pur anche spaurito, di Stefano, il loro figlio più grande, di sedici anni. Che non aveva potuto non sentire, assieme alla sua sorellina, l’intero litigio dei loro genitori. Quando il padre vide lui, e la piccola, fu colto da un nuovo moto di tristezza, e di sorpresa. Vedeva scritto sui loro volti che avevano sentito, e sapevano ogni cosa; avevano capito che tutto stava per cambiare. Stefano non disse nulla; neppure suo padre. E’ il caso di sedersi a tavola, su. La cena si sta raffreddando, ragazzi. Non è il caso di perder tempo, no? Disse poi.

Tutti presero il loro posto a tavola, ma nessuno parlò più. E avevano da poco iniziato a mangiare, che già la piccola Alessia veniva scossa dai primi singhiozzi di pianto. Aveva solo sette anni! Come avrebbe mai potuto reggere la tensione di quei momenti? Non finì di cenare, quasi non iniziò. Si alzò di scatto dalla sedia, e, rotta dalle lacrime, fuggì di sopra, in camera sua. E pensare che tutto, fino ad allora, era andato così bene…

Stefano lanciò uno sguardo al padre, e lui gli restituì un cenno d’intesa, come a dire: vai a vedere di tua sorella, non stare qui.

Il ragazzo ben comprese tutto quanto. Si alzò, e seguì lo stesso tragitto fatto dalla sorellina, fin sopra le scale, fino a fermarsi di fronte alla prima porta del corridoio. Tutte le finestre erano aperte, e lasciavano penetrare dentro casa il tiepido e leggero vento primaverile; l’aria era colma di tutti i profumi, di pollini e di fiori, da esso portati.

Alessia…? Disse il ragazzo, battendo sullo stipite. La porta era aperta, ma lui non entrò.

Alessia…? Insistette lui.

A-vanti, rispose la voce della piccola, rotta dal pianto.

Solo allora lui si fece avanti. Attraversò la cameretta, e trovò la sorella distesa sul letto, con il viso nascosto nel guanciale. Stefano si era seduto giusto lì, sul bordo, posando il suo sguardo sul suo viso tutto rosso. Come va, sorellina? Non piangere, non piangere! La incoraggiò lui, accarezzandole i lucidi capelli neri. Non piangere, la pregò lui.

Come faccio? Domandò la piccola. Come, Stefano?

Lì per lì, non rispose; le accarezzò il volto, umido di lacrime, e si alzò dal letto, avvicinandosi alla grande finestra della stanza, spostandone le tende chiare, e spalancandola interamente.

Ti ricordi il mare? Ti ricordi di Genova? Le domandò lui.

La bambina alzò lo sguardo, verso il fratello: sì, sì, gli rispose.

Ti ricordi come splendevano le luci del porto? E il vento, lo ricordi che bel vento c’era?

Sì, ripeté lei. La memoria tornava alla vacanza che avevano fatto solamente un anno prima, a Genova. Alessia, allora, non aveva ricordi del mare, e quando lo vide aprirsi di fronte ai suoi occhi, era rimasta immobile, come estasiata. Per lei era stato bellissimo, tutto bellissimo.

Allora vieni qui, disse lui, facciamo un gioco. Vedrai che poi starai meglio! Ti piacerà.

Un gioco? Domandò lei, stupita. – Sei sicuro che mi piacerà? – Chiese, ancora.

E’ una promessa, fece lui, mentre protendeva le braccia alla sorella, aiutandola ad alzarsi; per poi portarsela accanto, seduti entrambi di fronte alla grande finestra. Adesso chiudi gli occhi, le sussurrò,  e non pensare a nulla, se non a quello che ti dico. Ok?

Va-bene, rispose lei, mentre lui le teneva le mani sugli occhi

Allora, iniziò, prova a sentire il vento, senti come scivola sul tuo viso. Non è bello?

Alessia annuì. E’ pr-oprio fresco, mi ricorda…

Aspetta, aspetta. Non correre. Ripensa alla notte in cui siamo arrivati a Genova.

Era bellissima…

Non scordarla. Ripensa alle onde, al rumore del mare! Alla schiuma bianca vicino agli scogli…

Sì!

e alle navi lontane! E a quelle che ancora stavano ancorate nel porto.

Alessia ascoltava ogni singola parola del fratello, e si stava lasciando sempre più trasportare in quel suo sogno a occhi aperti.

Tutto andava per il meglio! Non c’era nulla di brutto a cui pensare…

E’ vero… concordò lei.

Un giorno sarà tutto così. E il profumo, il profumo del mare? Lo ricordi?

Sì, anche quello!

E dimmi, poi, cosa ricordi ancora?

Mi ricordo tutto! Rispose lei, con entusiasmo. Eravamo sul golfo… l’acqua del mare era nera come la notte! E c’erano le luci della città…

Adesso, prova a ripensare alle luci del porto. A tutte quelle mille luci che si specchiavano nell’acqua! Le ricordi?

Certo!

Allora concentrati solo su quelle… non sembravano brillare come stelle sull’acqua scura?

E’ vero, è vero, rispose lei. E’ verissimo…

Tieni tutto in mente, mi raccomando… disse Stefano. Poi, fece per allontanarsi, togliendole le mani dal viso. Guarda sopra di te, le disse. La piccola, così, alzò lo sguardo, verso l’alto; e vide mille, milioni di fuochi lucenti splendere nel cielo nero, nerissimo, come il mare di notte; sentì il vento fresco della sera sfiorarle il volto, come quello marino; sentì i profumi e le sensazioni di allora, e vide, di fronte a sé, un oceano infinito, traboccare di stelle. Non è bellissimo? Le chiese lui. Alessia non rispose; però, dentro di lei, aveva ritrovato la pace dei momenti felici. Non c’erano più lacrime a bagnare il suo volto, non più singhiozzi a turbare la sua voce; stava meglio, adesso; molto meglio.

Stefano restò lì ancora per un po’. La sorella, viste tutte le emozioni della giornata, si era addormentata piuttosto presto, e lui era rimasto lì a vegliare su di lei. E non era notte ancora, che lui era ancora sveglio. Con attenzione, abbandonò la camera della sorellina, chiudendo con attenzione la porta alle sue spalle. Scese le scale, e tornò in cucina. Non c’era nessuno. Nessuno aveva finito di cenare, tutto sembrava essere stato interrotto subito dopo che Alessia era scappata via. Si guardò attorno, meglio; e notò che la porta sul cortile era aperta. Gli si accostò, e guardò fuori. I suoi genitori sembravano aver fatto pace, ora. Stefano vedeva come si fossero accoccolati sulla panchina sistemata sotto il piccolo portico, mentre rimiravano in silenzio la sera, e il suo cielo immenso e luminoso. In quel momento, di nuovo cosi sereno, così armonioso, un solo, un solo pensiero attraversava la mente di Stefano: questa è casa.

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