Premio Racconti nella Rete 2011 “La lettera” di Marcella Farina
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011Era sempre la stessa storia. Ti sedevi alla scrivania e squillava il telefono, oppure era il campanello, o la televisione accesa. Ma questa volta no, dovevi rispondere a quella lettera. Non potevi indugiare, era un pensiero che ti tormentava. Per cui hai aperto la porta, sei entrata nello studio, e ti sei messa alla scrivania. Hai tirato fuori dal cassetto la carta da lettere – quella simile a pergamena – hai preso la penna stilografica e ti sei fermata. Improvvisamente hai capito che non era la stanchezza o la svogliatezza ad impedirti di rispondere, ma quello che si aggirava in quella stanza. C’erano i ricordi di una vita che, ormai ne eri certa, era arrivata ad una svolta. Le foto, i libri allineati con ordine, la vecchia macchina da scrivere. Sì, perché, nonostante dovessi fare i conti con il tempo che passava, tu, famosa scrittrice, docente, oratrice, non avevi mai voluto abbandonare il ticchettio metallico dei tasti consumati per la rapidità di una tastiera. Come creare parole se poi in un attimo potevi cancellarle? Come fissare momenti se poi con un solo gesto potevano scomparire? Era già da un po’ che riflettevi sulla velocità con cui le cose sembravano mutare, senza quasi che te ne potessi accorgere. Quella stanza invece restava, con il ricordo di quell’ultima discussione.
Non era semplicemente il luogo dove lavorare, ma una parte stessa della tua vita, e dover scrivere quella lettera era come rivederla in fotogrammi. Le ore passate seduta a lavorare, le notti trascorse a leggere sprofondata sulla poltrona, tutto riacquistava senso ora che Anna, tua figlia, tornava.
Era passata quasi una settimana da quando il postino aveva lasciato nella buca quella semplicissima busta ocra con l’indirizzo scritto a mano in una calligrafia inconfondibile. Avevi subito pensato ad un fantasma, anche se sapevi che Anna era viva, lontana ma, speravi, felice. Avevi anche pensato all’ultimo giorno che l’avevi vista, proprio lì in piedi, la valigia nella mano destra, il cappello nella sinistra, un po’ impacciata, ma sicura di quello che stava per fare, per dire. Ti aveva semplicemente comunicato che se ne andava. Non aveva chiesto o supplicato, aveva solamente detto: me ne vado. Aveva trovato un posto come istitutrice di un bambino di cinque anni. Lei, che aveva appena finito di studiare! Come poteva pensare di prendersi cura di un bambino, di insegnargli a leggere, a scrivere, la storia, la vita, se ancora non aveva imparato lei stessa a prendersi cura di sé. E allora ti sei arrabbiata, sentivi la collera arrivare, la rabbia un oceano che si impossessava della tua mente, annullando ogni capacità di affrontare criticamente questa situazione. E le hai detto che non era possibile, che doveva studiare, laurearsi, e solo dopo avrebbe potuto andarsene. Ma Anna aveva già deciso. È uscita lentamente dalla stanza, senza mai girarsi, e tu hai chiuso la porta e ti sei seduta ad aspettare, sapendo che sarebbe tornata, sperando che sarebbe tornata, piangendo che sarebbe tornata.
Erano passati otto anni, e avevi avuto sue notizie, le poche che suo fratello, tuo figlio, si degnava di comunicarti. Mai una lettera, un rigo per salutarti. Sapevi che stava bene, alla fine si era laureata, e ora insegnava in quella prestigiosa università. Non era più tornata. A te erano rimasti i ricordi e la stanza, a lei si era aperta una vita.
Ti mancava. Ti mancavano le ore trascorse a discutere di tutto. Tu seduta alla scrivania, lei sulla vecchia poltrona di cuoio che era la sua preferita, ma anche la tua. Ti mancava la sua intelligenza, l’arguzia con cui trovava una soluzione a tutto, la sua calma nell’affrontare le questioni. Non capivi perché se ne era andata: che cosa le mancava, di che cosa aveva bisogno? E ancor meno capivi perché tornava, anche se infondo l’avevi sempre saputo, solo che ti aspettavi che sarebbe semplicemente riapparsa, così come era scomparsa. Di sicuro non era persona che si faceva annunciare da una lettera, né tanto meno da chiedere una risposta, come aveva fatto con l’ultima frase. “Cara Franca, scriveva, vorrei venire a trovarti. Sarò a Venezia lunedì 28. Potrei passare nel pomeriggio. Aspetto una tua conferma. Anna” Seguiva l’indirizzo di una casella postale di Roma.
Perché? Perché scrivere? Era questo che non capivi. Non aveva certo bisogno di chiedere il permesso, non l’aveva mai fatto.
Improvvisamente hai capito che non dovevi porti ulteriori domande. Hai ripreso in mano la busta, cercavi parole non scritte; hai chiuso gli occhi sforzandosi di percepire attraverso le mani le sensazioni di altre mani; hai respirato profondamente, riconoscendo gli odori di tutta una vita. Poi, hai preso la penna, hai scritto semplicemente: “cara Anna, ti aspetto”. Era sufficiente, avrebbe capito, e sarebbe arrivata. Forse allora anche tu avresti capito.
Solo superando contorte elucubrazioni e badando a cioò che ci si dice qui ed ora le relazioni e i sentimenti sono significativi.Brava mARCELLA
Molto attuale. Le riflessioni sulla velocità del tutto è assolutamente reale e rende molto bene il concetto di società liquida di Baumann. Brava.