Premio Racconti nella Rete 2011 “Il pontile” di Anna Garofalo
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011Il mare, dal pontile, sembrava sempre particolarmente agitato. Eppure non c’era quasi mai vento o nuvole ad oscurare il cielo. Le onde s’infrangevano una dopo l’altra contro i pilastri di cemento e qualche spruzzo, a volte, riusciva a superare la balaustra e ad atterrare ai suoi piedi.
“Speriamo di non bagnarci…” aveva mormorato una volta Annamaria ritirando istintivamente le gambe.
“Non preoccuparti, qui non ci si bagna mai” aveva risposto tranquillo Tombo, seduto accanto a lei.
Lei si era girata e lui e le aveva sorriso. S’incontravano su quella panchina da un tempo indefinito, senza mai darsi appuntamento.
Quando lei decideva di andare al pontile sapeva che l’avrebbe trovato lì, sulla panchina in fondo, con di fronte il mare e il cappello poggiato di fianco che avrebbe poi spostato per farle spazio.
Era un bel posto, il pontile.
Il sole, il mare, il profumo di sale aiutavano a pensare. Ogni volta che si sedeva sulla panchina e guardava il blu infinito che le si stendeva davanti era come se si togliesse dalle spalle un enorme peso, come se avesse lasciato sulla terra ferma tutti i problemi, le angosce e i dispiaceri che a quanto pare erano normali per una precaria di ventisette anni.
“Ai miei tempi era tutto diverso – aveva una volta considerato Tombo in risposta ad una delle sua lunghe lamentele sulla ricerca del lavoro – c’erano molti meno lavori di oggi. Eppure, paradossalmente, ce n’era per tutti – e aveva sorriso e il suo viso si era arricchito di mille rughe – ma sono convinto che il tuo momento arriverà“
“Quanti anni hai, Tombo?”
“Settantotto” era stata la risposta.
Non ricordava la prima volta che l’aveva visto lì, seduto su quella panchina. Sapeva solo che sedergli accanto era diventata ormai una cosa naturale, soprattutto quando qualcosa la preoccupava o le metteva ansia.
Non sempre parlavano, anzi, spesso rimanevo in silenzio con il rumore del mare nelle orecchie e gli occhi pieni di nuvole e spuma bianca.
A volte, lei veniva completamente presa dall’osservazione di qualche sparuto visitatore che faceva la sua comparsa in quel luogo normalmente solitario.
Spesso erano nonni che accompagnavano i nipoti a vedere il mare o pescatori silenziosi con qualche bambino al seguito.
Un pomeriggio aveva passato ore ad osservare un nonno insegnare ad una bimba grassoccia e palesemente goffa ad andare sulla bicicletta.
La bimba doveva aver avuto al massimo sette anni e non le era sembrata molto fiduciosa di riuscire nell’impresa.
Solo quando il nonno le aveva spiegato che le rotelle della sua bicicletta erano state solo leggermente sollevate e che sarebbero rimaste comunque al loro posto si era convinta a salire in sella.
“Ma nonno, come faccio ad imparare se ho ancora le rotelle?” aveva chiesto incerta con un piede già sul pedale e l‘altro ben piantato per terra.
“Quando troverai l’equilibrio giusto le rotelle non toccheranno più terra e allora potremo toglierle” aveva risposto lui dolcemente.
“E come faccio ad accorgermi che le rotelle non toccano?” aveva insistito la piccola sempre più perplessa.
“Oh, te ne accorgerai…!” le aveva assicurato il vecchio con un sorriso incoraggiante.
La bambina non era sembrata molto convinta, ma poi, dopo aver emesso un lungo sospiro, aveva cominciato a pedalare. Sbandando e inclinandosi ora a destra ora a sinistra, aveva preso a percorrere tutto il pontile fino all’estremità in cui si congiungeva con la terra ferma per poi tornare indietro traballante, mentre il nonno, fermo poco distante dalla panchina dalla quale Annamaria non cessava di osservarli, aveva continuato a darle poche e semplici istruzioni.
“Accellera! Tieni forte il manubrio e guarda sempre avanti, mai per terra! Forza!”
I primi giri erano stati incerti, ma poi, incoraggiata dalla voce del vecchio, la bambina aveva cominciato a prendere coraggio e a migliorare l’andatura fino a quando, dopo una decina di minuti, il rumore delle rotelle sull’asfalto non aveva preso a diventare discontinuo e a farsi sentire dopo intervalli sempre più lunghi, per poi cessare del tutto.
“Ce l’ho fatta, ce l’ho fatta nonno!!!” aveva cominciato ad urlare la bambina correndo sempre più veloce e il vecchio aveva semplicemente sorriso di più.
“ Che dolce! Non ha dubitato nemmeno per un secondo che sua nipote ce l‘avrebbe fatta” aveva esclamato Annamaria girandosi nuovamente verso il mare e lasciandosi la scena alle spalle. Tombo era rimasto tutti il tempo voltato, senza girarsi mai, eppure le aveva risposto.
“No, mai”
“Bà. Eppure lei mi è sembrata piuttosto impacciata. Insomma, è piccola, però così grassoccia, goffa… fossi stata in lui per un attimo avrei temuto per lei”
“Ma lui la conosce e sapeva che era qualcosa che poteva fare. La vera lezione che la ha insegnato oggi non è stata andare in bicicletta ma imparare e fidarsi di se stessa”
“E secondo te l’ha imparata? Cioè, dopo oggi non dubiterà più di se stessa?”
“No – aveva risposto lui – oggi ha solo imparato ad andare in bicicletta. Ma la prossima volta che avrà paura di non essere all’altezza, di qualsiasi cosa si tratterà, ricorderà questo momento e anche se lui non ci sarà lei sentirà su di sé lo stesso sguardo sereno e incoraggiante e, per lo meno, proverà a farcela”.
“E se poi cade? Lui non sarà lì per aiutarla a rialzarsi” Tombo si era girato verso di lei e l’aveva guardata negli occhi per un istante per poi ritornare a tuffarsi con lo sguardo nel blu del mare.
“Non è del tutto esatto”.
“Tombo?”
“Sì?”
“Ti senti mai solo?”
“Ma noi non siamo mai soli”.
“Oggi sono nervosissima!”
“Cosa è successo?”
“A lavoro, a casa, è come se non avessi spazio. Sento le persone accanto a me che premono con i loro problemi, le loro necessità, le loro urgenze! E io mi sento soffocare. È come se non avessi aria, come se non avessi uno spazio mio o se il mio fosse l’unico spazio senza confini, dove tutti possono entrare e spingermi da parte” l’aveva detto con voce affannosa, come se veramente non riuscisse a respirare. Tombo l’aveva guardata preoccupato e serio e lei aveva sorriso.
“Ecco, vedi? Già questo mi basta” aveva quindi mormorato lei respirando rumorosamente e rivolgendo lo sguardo al mare.
“Cosa, ti basta?” le aveva chiesto lui un po‘ perplesso.
“Quello sguardo. La tua preoccupazione, il tuo interessamento, riconosce il mio spazio, mi rispetta, mi fa sentire al sicuro… basta così poco! È buffo, no?”
“È per questo che vieni qui a passare il tuo tempo con un vecchio?”
“Anche”
Non avevano detto altro, quel giorno.
Di solito, Annamaria percorreva il pontile lentamente. Le piaceva vedere da lontano la panchina e la sagoma di Tombo seduto che le dava le spalle.
All’inizio era solo un puntino nero in lontananza, poi, mano a mano che si avvicinava, riconosceva i capelli insolitamente neri tirati all’indietro, le grandi orecchie leggermente sporgenti, la giacca grigia e il colletto della camicia bianca che spuntava. Il collo era largo, scuro e forte. Quando lo guardava non poteva fare a meno di pensare ad una quercia. Aveva la stessa solidità e regalava la stessa sensazione di sicurezza.
Una volta alle sue spalle, girava intorno alla panchina e faceva qualche altro passo per poi poggiarsi alla balaustra. Poi si voltava e, guardandolo in volto, gli diceva “ciao”.
Lui raramente rispondeva, molto più spesso si limitava a sorriderle e a guardarla con quegli occhi buoni resi più grandi dagli occhiali. Poi, spostava il cappello che aveva poggiato al suo fianco quel tanto che le bastava per sedersi, dopodiché incrociava le mani e se le poggiava in grembo, ritornando ad osservare il mare.
L’unica volta che Annamaria aveva percorso il pontile di corsa era stato un giorno di marzo. Aveva dovuto fermarsi un attimo a metà per riprendere fiato e per la foga era stata sul punto di travolgere una bambina con indosso uno zaino all’apparenza pesantissimo. Stava ripetendo all’uomo che la teneva per mano la tabellina del nove sotto forma di filastrocca ed aveva pericolosamente perso l’equilibrio quando lei l’aveva urtata. Annamaria le aveva urlato uno “scusa” frettoloso ed aveva continuato a correre.
Una volta alla panchina, felice, aveva preso lei stessa il cappello del vecchio per poi sedersi al suo fianco.
“Ho un lavoro!” aveva gridato ridendo.
“Oooohh, bravissima! – aveva esclamato lui allargando il sorriso più del solito – e cosa farai?”
“Quello che facevo prima: scrivere! Ma questa volta ho un contratto!” e aveva scandito la parola con fare fintamente pomposo per poi scoppiare a ridere mentre lui aveva continuato ad osservarla, sorridente e silenzioso.
“Bè? Non mi dici niente?” aveva quindi insistito lei, un po’ delusa.
“E cosa devo dire? Sono contento per te ma…”
“Ma cosa?”
“Cosa vuoi che ti dica? Lo sapevo…”
“Come lo sapevi???”
“Eh… non ho mai avuto dubbi” e aveva di nuovo guardato il mare.
Negli ultimi anni, qualunque cosa le fosse capitata, Annamaria era sempre andata lì, su quella panchina, e Tombo l’aveva ascoltata.
Le sue paure, le sue insicurezze, le sua avventure, tutto era stato raccontato con il sottofondo del rumore del mare.
Solo che, ultimamente, Tombo sembrava più stanco, più assente.
Alle volte, Annamaria arrivava al pontile con il cuore che le batteva fortissimo, terrorizzata all’idea di trovare la panchina vuota. Non avrebbe nemmeno saputo dove trovarlo, dove andarlo a cercare.
Lui percepiva la sua ansia, ma non la rassicurava.
Ogni volta che si salutavano non le dava mai appuntamento alla volta successiva.
Concludeva sempre i discorsi o i racconti che le faceva, senza lasciare mai nulla in sospeso.
Così lei aveva preso ad andare al pontile sempre più spesso, anche solo per poco, giusto per controllare che lui fosse ancora lì.
“Ti vedo particolarmente bene, in questo periodo” aveva considerato un giorno Tombo, con voce serena. Lei inizialmente non aveva risposto, troppo presa dall’osservare un pescatore infilzare con l’amo un verme che si dibatteva. Vicino a lui c’erano due bambini, un maschio e una femmina, che ad operazione ultimata avevano battuto le mani entusiasti.
“Sì. Sì, sto bene” aveva infine risposto lei sospirando e rigirandosi verso il mare.
“Oggi il mare è stranamente calmo” aveva continuato Tombo e in effetti aveva ragione. Forse per la prima volta da quando si sedevano lì, il mare sembrava una tavola e brillava sotto i raggi di un sole che però non si vedeva.
“Sì, è calmo” aveva mormorato Annamaria.
“E allora perché non fai un bagno? Fa caldo” lei aveva chiuso gli occhi e aveva improvvisamente portato le mani al petto, come se qualcuno l‘avesse colpita.
“Lo sai perché non lo faccio” la sua voce era secca e dura, quasi infastidita.
“No, non lo so” aveva continuato lui sempre con tono gentile. Lei aveva scrollato le spalle, per poi girarsi verso il vecchio con gli occhi pieni di lacrime ma cercando di trattenersi.
“Perché mi sveglierei” aveva infine risposto con voce rotta guardandolo fisso in volto.
“E perché mai non ti dovresti svegliare?” la sua risposta non fece altro che aumentare la sua pena. Conosceva quel tono. Sapeva quello che significava. L’aveva sentito tante, tante altre volte.
“Perché tu… tu spariresti! Non tornerei più qui, lo so. E io non voglio, non voglio che succeda!” piangeva apertamente ora, ma era anche infastidita, infastidita da quelle lacrime che non le permettevano di parlare, di convincerlo, di fermarlo.
“Ma io non ci sono già più, Anna…” aveva quindi concluso lui dolce, prendendole una mano che lei aveva afferrato con forza.
“Lo so- aveva singhiozzato lei, e poi cercando di calmarsi – lo so. Non ci sei. Non ci sei più da tanto” ed era rimasta zitta, mentre le lacrime continuavano a scendere. Le ci era voluto po’, ma poi aveva alzato lo sguardo, sorriso a quegli occhi buoni resi ancora più grandi dagli occhiali e stretto con ancora più forza la sua mano grande, forte, dalle vene in evidenza.
“Quando tu…- aveva dovuto fare uno sforzo per controllare la voce, ma poi aveva continuato – quando tu sei andato via mi sono sentita così sola, così sola… Insomma, tu mi hai sempre amato così come sono, sempre. E questo non succede spesso, sai? E io mi sono sentita sbagliata così tante volte e sono stata così vicina a perdermi che… che…”
“Ma non ti sei persa” l’aveva interrotta lui bruscamente prendendola per le spalle e costringendola a guardarlo negli occhi.
“Hai trovato la strada. Anche senza di me.”
“Ma ora non ho più le rotelle. Ora cado per davvero!”
“E allora? Sei una donna ora, se cadi ti rialzi senza piagnucolare!”
“Ma nessuno ti dice come fare, sai? Qui non si tratta d’imparare una filastrocca per ricordare la tabellina del nove!”
“Non mi pare che tu abbia ancora bisogno di filastrocche…” lei aveva scosso la testa, contrariata, per poi guardarlo.
“Quindi te ne vai”
“No. Io resto sempre qui”
“Sul pontile?”
“No, qui” e con una mano le aveva sfiorato la guancia umida “ma mi piace il posto che hai scelto – aveva continuato poi guardando il mare – ci siamo divertiti qui”.
“Io odiavo questo paese – aveva risposto lei guardando a sua volta l’acqua blu increspata di bianco – odiavo venirci. Non riuscivo mai a fare amicizia con nessuno e in costume mi sentivo così ridicola. Ma a luglio mi piaceva, perché c’eri tu. Mi piaceva venire qui con te e Stefano e mi piaceva quando ci facevi vedere come pescare…” e, istintivamente, si era girata e loro erano tutti lì. Il nonno con la nipote affianco alla bicicletta. Il signore con la bambina con lo zaino. Il pescatore con i vermi e i due bambini affianco. La guardavano. Sorridevano. Era strano sorridere a quei pezzi di vita messi così, uno di fianco all’altro. E dietro di loro ce n’erano altri. C’erano ritorni da scuola mano nella mano, pomeriggi passati davanti alla televisione a vedere vecchi film western, gelati in estate, filastrocche fischiettate e giochi inventanti in un lungo corridoio. C’erano loro, interamente. Dal primo all’ultimo giorno.
“Lo sai, vero – aveva quindi ripreso lei, tornando a guardarlo – che tu sei stato il mio primo grande amore”
“Mi sembra che anche l’ultimo non se la cavi male” aveva considerato di rimando lui, sorridendo.
“Sì. Sì, ti sarebbe piaciuto”
Silenzio.
“Non te l’ho mai detto”.
“Cosa?”
“Grazie”
“E di che?”
“Di tutto”
“…”
“Nonno…”
“Sì” e lei aveva sorriso mentre lui, il pontile, il mare, lentamente, scivolano giù. Si stava svegliando.
“Niente – aveva mormorato oramai a se stessa e poi, aprendo gli occhi – avevo solo bisogno di dirlo”.
E’ bellissimo….
Mi sono commossa leggendolo e mi ha ricordato moltissimo il mio caro nonno che non c’è più.
Bello davvero!!! Complimenti!!!!
[…] E il racconto è qui. […]