Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2011 “Il Caffè” di Antonio Tommasino

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011

Svegliarmi la mattina presto è sempre stato un problema. Da qualche mese poi lo è ancora di più, con l’arrivo del nuovo Dirigente mi tocca arrivare in orario, o almeno provarci.

Dopo tanti anni in Polizia, non mi sono ancora spiegato quale arcano motivo spinge i funzionari appena arrivati ad apportare cambiamenti e novità, a sovvertire l’ordine delle cose.

Il nuovo arrivato, di origini napoletane, oltre ad alterare il ritmo del mio sonno-veglia e annotarsi tutti i miei ritardi, ha fatto anche installare un distributore automatico di caffè.

“ma è ‘na machinetta di ultima generazione, ‘o cafè è ‘bbuono e costa pure poco”

Ci ha tenuto a precisare.

Di conseguenza niente più pausa caffè al bar Riviera e niente più scommesse sul colore del reggiseno di Elena la barista, che non è mai avara a mostrare le sue grazie.

Quindi ogni mattina, mio malgrado, mi tocca partecipare assieme a tutti gli altri al rito del caffè, a questa ipocrita processione con a capo il dirigente e ai lati, due ali di solerti colleghi, ossequiosi come chierichetti.

A pensarci bene, il distributore automatico, ovvero ‘a machinetta come è stata battezzata, mi sta pure simpatica, ma non per il prodotto che offre, ma perché in fondo svolge un servizio sociale, stana tutti quei colleghi taccagni che hanno una tagliola al posto del portafogli.

“ è ‘bbuon… ottimo, una squisitezza  e costa la metà, io non ci vedo nessuna differenza con quello del bar e voi?”

Ogni giorno la stessa tiritera, le stessa banali parole.

Mah, mi sa tanto che il Capo di napoletano ha solo l’accento e gli abiti sartoriali, uno che beve e pure con gusto un caffè servito da ingranaggi e microchip, non può essere napoletano. Vederglielo bere poi è tutto uno spettacolo, lo sorseggia lentamente,   mignolo rivolto verso l’alto, ed in ultimo immancabilmente, la stecchetta in bocca.

A Napoli ci sono stato, ci ho lavorato per diversi mesi, per un traffico di stupefacenti che non erano stupefacenti, ma tutt’altra cosa. Errori che possono capitare durante un’indagine, soprattutto quando si mette all’ascolto delle intercettazioni telefoniche un friulano che non capisce una parola del dialetto napoletano.

Proprio durante questo soggiorno, tra le tante altre cose, ebbi modo di costatare che il caffè a Napoli non è solo un culto, ma molto di più. Non è solo quella bevanda calda e aromatica, ma un modo di vedere e vivere la vita.

La prima cosa, appena arrivato, fu di trovare un rifugio sicuro alla moto, il mio unico mezzo di locomozione a parte i piedi.

Seguendo alcune indicazioni, trovai a poche decine di metri dalla Questura, quello che a prima vista sembrava il garage ideale, un vasto locale, ben organizzato con tanto di autolavaggio ed officina meccanica, un gestore affabile e cordiale, che alla mia richiesta di conoscere le tariffe orarie e giornaliere, tutto serafico mi rispose:

–         Dottò, tranquillo, mi offrite solo una tazzulella ‘e cafè.

All’insolita richiesta e un pò perplesso:

–          Mi scusi, ma per lasciare la moto la devo portare al bar?

–          Ma no dottò, che avete capito, voi mi lasciate i soldi e al caffè ci penso io;

–          Ah, va bene e quanto le devo lasciare? Quanto costa un caffè qui a Napoli?

–          Solo un euro e cinquanta dottò;

–          E non è tanto per un caffè?

–          Ma no, io cinquanta centesimi li lascio sempre di mancia;

Decisi di lasciarla, ma con qualche riserva.

Solo in ufficio, appresi dai colleghi del posto, che avevo lasciato la moto in un garage abusivo, e il gestore, “Carminuccio roipnol” era una loro vecchia conoscenza, a parte sei anni passati a Poggioreale,  lo consideravano una persona per bene, potevo fidarmi.

Dall’età di quindici anni, seguendo la tradizione di famiglia, Carminuccio roipnol, al secolo Carmine Tramparulo,  partiva ogni sera da Napoli Centrale con l’espresso 910, destinazione Bologna, nel vecchio zaino, solo quattro thermos di caffè bollente e tanti bicchierini di plastica.

Migliaia e migliaia di chilometri a bordo di un treno sempre affollato, sempre triste, sempre troppo pieno di speranze. Notte dopo notte, avanti e indietro su carrozze di seconda classe a vendere caffè bollente ai viaggiatori della “Freccia del Sud”.

Finché, un giorno, già avanti negli anni, Carmine decise di iniziare un’altra attività. Oltre a vendere caffè, iniziò ad offrire ai viaggiatori anche un pò di tranquillità, aggiungendo nella bevanda calda anche del sonnifero, per poterli meglio alleggerire del portafogli. Ma non durò molto, uscito dal carcere, la svolta, un lavoro lontano dai treni, un lavoro onesto, il garagista abusivo, abusivo ma onesto.

Uomo di poche parole Carmine, e come tutti quelli che parlano poco, qualsiasi cosa dicesse non era mai detta a caso, le parole le pesava. E proprio per quest’aspetto del suo carattere che non mi spiegavo il motivo delle continue lamentele sulla bontà del caffè di donna Concetta la barista, per me uno dei migliori in assoluto.

–         Stù cafè nun’ è più lo stesso, nun me piace, è nà schifezza:

e la donna tutta stizzita:

–         Biv’, biv’ e statt’zitt, nun parlà, fattelo piacere

Mah, chissà come deve essere un buon caffè per Carmine, mi chiedevo.

Non ho mai avuto problemi con i vari dialetti, napoletano compreso, ma a volte mi risultava difficile seguire i discorsi del mio amico, comprendere le pause, le similitudini, la gestualità delle mani e del viso, ma soprattutto i suoi interminabili silenzi. Proprio durante uno di questi momenti di apparente mutismo, sarà stato l’alcool del Teeon, la stanchezza, l’empatia che si era creata, sicuramente la necessità di allentare la morsa che mi attanagliava la gola, che sentii la necessita di parlargli di lei, di Giulia.

Era più di un mese che non si faceva sentire, nonostante i miei tentativi di contattarla e quella mattina mi aveva chiamato in ufficio.

Non le diedi tempo di parlare che  le  riversai addosso tutta la rabbia, l’amarezza di una storia non vissuta, di tante parole non dette, di quel legame, tanto fragile quanto unico, che mi ostinavo a tenere in piedi con tutte le mie forze. Basta, avevo deciso di dire basta, non avevo energie sufficienti a reggere tutto da solo, lei non mi aiutava di certo. Non le dissi dove alloggiavo, ero troppo amareggiato, le chiusi il telefono.

La conoscevo troppo bene, quelle parole l’avrebbero fatta sparire per sempre, ma non era certo quello che volevo.

Mi dedicai completamente al lavoro, cercai di districarmi tra trascrizioni telefoniche scritte in friuli-napoletano e l’ascolto di un’ ambientale montata vicino ad un flipper, un bel casino insomma, iniziai a capirci qualcosa solo dopo una decina di giorni, le indagini sono  un pò come le donne bisogna viverle mai trascurarle.

Trascurai invece Carmine, i suoi silenzi non mi aiutavano a distrarmi, la sera non andavo più a trovarlo al bar di Concetta, ma andavo in giro con i colleghi, non frequentavo più la Napoli dei vicoletti sempre animati, ma quella dei locali alla moda, io stesso mi meravigliavo, non  ho mai sopportato frequentare i miei colleghi fuori servizio.

Una domenica mattina, fui svegliato dalle note delle più classica delle canzoni napoletane “ ‘O Sole mio”, qualche posteggia aveva avuto l’insana idea di piazzarsi sotto la finestra della mia camera e suonare, avrei voluto alzarmi e farli smettere, anche pagandoli, ma non riuscivo a muovermi. Con gli occhi ancora chiusi stavo in quella fase comatosa che sta tra il sonno e la veglia, in cui anche i sensi ci mettono un pò per attivarsi.

L’ avevo sognata, come capitava oramai troppo spesso, che strani scherzi fa la mente umana, sembrava di sentire addirittura  il suo profumo, a tastoni con la mano cercavo nel letto un segno del suo corpo quasi a voler immergermi nuovamente in quel sogno interrotto così violentemente.

Certo che anche in sogno lei fa il suo effetto, eccitato e con gli occhi ancora chiusi seguo la scia del suo profumo ora misto all’aroma penetrante di caffè, quasi a seguire la linea immaginaria di un arcobaleno che avrei voluto mi portasse all’origine del mio desiderio.

Apro gli occhi e la vedo, si lei era li, quel profumo non era il ricordo di un sogno, lei era li, vicino alla finestra, nuda, nuda come solo lei sa esserlo.

Un incanto guardarla, silenziosa, assorta nei pensieri, le gocce d’acqua che le scendevano dai capelli bagnati che tracciavano dei rivoli sul suo corpo, la luce che entrava dagli scuri semiaperti accarezzava la sua pelle bianca, non si era accorta che ero sveglio, e che la guardavo.

Una scena quasi irreale, una sorpresa, di quelle che solo lo donne sanno fare.

Girava il cucchiaino nella tazzina di caffè, lentamente, pensierosa e nell’istante stesso che lo introduceva voluttuosamente in bocca, alzò gli occhi lentamente e li fisso nei miei, non una parola, non un gesto, solo il cucchiaino avvolto dalla sua lingua. Avevo voglia di quel caffè, volevo essere quel cucchiaino. Mi raggiunse nel letto.

Quella sera stessa la presentai a Carmine, non sembrava affatto meravigliato della sua presenza, anzi, sono ancora convinto che a quella inaspettata sorpresa avesse preso parte anche lui.

Andammo tutti e tre a cena, il nostro amico sembrava molto interessato ai racconti di viaggio di Giulia, non si capacitava che una donna potesse fare un lavoro del genere, sempre in giro per il mondo con la sua macchina fotografica a scattare foto da vendere ai giornali.

–         Brù e tu ‘a ‘cchest’ a vulisse tene’ chiusa dint’ a ‘na caiola? Ma famm’ ‘o piacer’ 

Mi disse, in un orecchio.

Anche quella sera, al ristorante, Carmine iniziò ad imprecare contro la bontà del caffè, ma questa volta addirittura prima di berlo, e con tanta di quella rabbia  che Giulia rimase interdetta.

Io invece avevo capito tutto, mi era bastato guardare il logo della marca impresso sulla tazzina,  lo stesso visto tante volte al giorno, ora gli avevo dato un significato.

Avevo bisogno di parlare da solo con il mio amico, accompagnammo Giulia alla pensione e andammo al bar di Concetta, ma questa volta ci sedemmo nel retrobottega:

–         Carminuccio, è come penso io?

–         Ehhh ce n’è vulut’ per fartelo capì, ti ho fatto pigliare il caffè a tutti i bar non solo del quartiere ma di mezza Napoli e tu solo stasera te ne sei accorto;

–         E come avrei mai potuto capire secondo te? Il caffè è ottimo, è comunque una buona miscela;

–         La miscela può essere pure buona, ma chi ‘o venn’ è na’ chiavica, costa pure caro, ti rendi conto? Un commerciante non è libero di comprare da chi vuole, quella marca viene imposta, e nessuno se po’ rifiutà. ‘O cafè è ‘bbuon pecchè  e barist’ ce mettono ‘o core, ma ogni cafè  che fanno per loro è ‘n ‘umiliazione.

–         Ho capito, ho capito tutto.

Effettivamente ci avevo messo troppo a capire, non avevo colto tutti i segnali che Carmine mi aveva mandato, non ero stato attento abbastanza sulla diffusione capillare di quella miscela di caffè, in fondo poteva essere una cosa normale in altri posti, una normale scelta commerciale, ma a Napoli cosa è normale? La camorra che monopolizza il commercio del caffè, un altro schiaffo a quella fantastica città, un altro patrimonio intaccato dalla criminalità.

Non era droga nascosta chissà dove, ma caffè tranquillamente esposto sotto gli occhi di tutti.

Una bella svolta per l’indagine.

Dovevo correre subito da Giulia, l’avevo lasciata sola tutta la notte, prima però andai in cerca per il quartiere e trovai i due vecchi posteggiatori dopo avergli offerto la colazione al bar di donna Concetta, li portai con me e li feci piazzare sotto la finestra, pronti per intonare“ ‘O Sole mio” e svegliarla con quelle note che mi erano entrate oramai nel cuore.

Un brusio fastidioso, mi distoglie da quei ricordi napoletani, mi sono talmente estraniato che  mi è sembrato di dormire, un’eternità, e chi li sente a questi ora, …

–         Wueeee Bruno svegliati, ma che dormi in piedi, dormi ad occhi aperti? ‘Si propri’ nu sicchi’ ‘e nafta, ma che fai, a sera bastimento e ‘a matina varchètella?….

–         Ma a tutti voi messi assieme nessuno vi ci ha mai mandato a quel paese? E vi ci mando io dal primo all’ultimo.

Detto questo, giro le spalle e me ne vado. Ma ovviamente nessuno dei leccaculo presenti poteva sopportare un simile affronto,  figurarsi il capo:

–         Visto che sei tanto supponente sai che c’è di nuovo? Tu da domani te ne vai per tre mesi a Napoli, così ti impari a campare,

Mi sono limitato  a salutarli tutti con il dito alzato, con la speranza che con questo gesto, abbastanza eloquente, i tre mesi diventassero sei.

Dovevo subito ad avvisare Carmine e Giulia.

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6 commenti »

  1. mi piace l’umorismo che c’è in molti passi e, soprattutto, mi piace troppo il passo in cui è descriitta la donna accanto alla finestra. E’ una scena (perchè si visualizza) molto sensuale e intrisa di erotismo raffinato.. è bellissima! Mi ha proprio entusiasmato.
    ILEANA

  2. E’ un racconto da insider però scritto da outsider. Bruno è un poliziotto che racconta ciò che vive dentro la Polizia ma con gli occhi, e il cuore, che guardano da “fuori” e questo gli permette anche di essere benevolo verso i suoi colleghi e superiori che, tutto sommato, non fanno una gran bella figura. E la sua ironia, il suo non prendersi troppo sul serio lo rendono molto umano, uno di noi. E noi tifiamo per lui…e la sua Giulia. E aspettiamo di vedere come va a finire perche sicuramente di Bruno avremo ancora notizie!

  3. E’ un racconto da insider però scritto da outsider. Bruno è un poliziotto che racconta ciò che vive dentro la Polizia ma con gli occhi, e il cuore, che guardano da “fuori” e questo gli permette anche di essere benevolo verso i suoi colleghi e superiori che, tutto sommato, non fanno una gran bella figura. E la sua ironia, il suo non prendersi troppo sul serio lo rendono molto umano, uno di noi. E noi tifiamo per lui…e la sua Giulia. E aspettiamo di vedere come va a finire perche sicuramente di Bruno avremo ancora notizie!
    PIKKA

  4. niente è come sembra: la droga è caffè, il sogno è realtà, i disonesti sono onesti (Carmine) e gli onesti sono disonesti (venditori di caffe), il cucchiaino è disgustoso quando viene leccato da chi nella vita è uso farlo nei rapporti con gli altri e invitante quando viene introdotto nella bocca dell’amata Napoli non è una punizione ma un premio cercato anche attraverso la simbologia di un gesto
    Lucrezia

  5. Divertente e scritto bene. Anche i passaggi in dialetto sono molto piacevoli. Una foto di Napoli, un amore tormentato, un indagine interessante, la stazione di polizia: ottimi ingredienti e un buon inizio per continuare.

  6. Bruno è lieve e parla con leggerezza di cose che leggere non sono affatto. Mi piace, è l’uomo che tutte desideriamo: sufficientemente misterioso, con un mestiere intrigante, autoironico e me lo immagino anche piuttosto carino. E guarda Giulia con desiderio e sentimento. E Napoli non è che la cornice che racchiude ed esalta magnificamente la vita di questo nuovo simpaticissimo eroe contemporaneo. Per nostra, e sua, fortuna completamente privo di eroica spocchia!

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