Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2011 “Stella cometa” di Antonella Gramone

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011

 

Mi devo allontanare da te per vederti tutta intera

Devo fare finta che non ci sei per scoprire che sei vera (‘Stella cometa’, Jovanotti)

Lo zainetto del ragazzo mi punge nel fianco. Ma non cedo facilmente. Un altro piccolo sforzo, ed eccomi. Conquistato il posto a sedere in metro. Fino a Cascina Gobba posso stare tranquillo, ora. Godermi lo spettacolo. Come in un défilé esclusivo osservo chi mi passa di fronte.  A volte scorgo delle teste davvero meritevoli. Come questa tipa seduta davanti: fronte spaziosa, bei riccioli scuri fitti fitti, da attorcigliarseli alle dita. Da piantarci dentro le forbici con gusto. Non fraintendetemi. Non sono un assassino. A me interessano solo i capelli delle donne. Meglio se lunghi, lisci. Una distesa infinita da accarezzare col pensiero. Da ammirare da lontano mentre ondeggiano tra la folla.

     ‘Caesar, hai finito con la signora Gianasso?’ Come no, le ho appena messo la maschera alla creatina sulle punte. Caesar sono io. Ovviamente il mio nome è Cesare, ma sarebbe stato troppo basso profilo per il tono del negozio dove lavoro, ‘Le rose che non colsi’. Nome patetico. Le mie clienti si son fatte tutte cogliere, eccome, e non solo dai legittimi giardinieri. Basterebbe chiedere a Rocco, il fotografo nella strada qui dietro: quante di loro, dopo essersi ben sciampate e phonate da noi vanno a trovarlo nella pausa pranzo. Tra l’una e le tre inutile cercarlo, mi dice.

      La signora Gianasso, per esempio. Proprietaria di tre negozi d’abbigliamento. Tronfia come una gallina platinata alla Marilyn. Mentre le faccio la piega a phon ogni cinque minuti mi devo fermare perché deve ritoccarsi le labbra a ventosa col suo supergloss. O la signora Vitale, Cayenne parcheggiata davanti alla vetrine e quattro peli in testa tinti e ritinti allo sfinimento, e vaglielo a spiegare che più di così con i suoi capelli fini non è possibile. Niente da fare: ogni volta si mette a sbraitare che lei vuole sooolo Tiziano, che preteeende Tiziano, che è oootto anni che frequenta il salone ecc, ecc. E ovviamente Tiziano, il titolare, subito accorre. Tiziano il capo. Un altro con l’ego più grosso del suo cervello e del suo pugno di capelli strizzati in una codina di cavallo bisunta di gel. Il suo set di spazzole, phon e forbici tutto etichettato ‘Tiziano e basta’, e guai a chi tocca gli attrezzi del Maestro. Per tagliare i capelli fa alzare in piedi la cliente, la squadra da tutte le angolazioni, socchiude un attimo gli occhi e poi mi ingiunge ‘passami le forbici numero 2’. A me non sembra che tagli un granché meglio dei suoi colleghi. Ma fa sentire la cliente un’opera d’arte, lui, il demiurgo della capoccia. Centoquaranta euro grazie, a rivederci tra quindici giorni.

     La signora Gianasso ha finito, anche per oggi è pronta per andarsene gongolante e laccata tra i maglioni cachemire che vende, dopo aver fatto un pitstop rigenerante da Rocco. Sulla soglia fa ciao ciaoo con la manina a me e a Maricielo che le fa le unghie. Meno male che c’è Maricielo, qua dentro. Maricielo è brasiliana. Fa le mani delle clienti con l’abilità di un chirurgo plastico, delle French con una riga bianca così precisa che mi verrebbe voglia di farmele fare pure a me. E’ dolcissima e buona, un sorriso che la mattina scalda anche la nebbia più triste. Eppure la gente non l’apprezza come dovrebbe, soprattutto gli uomini. ‘Sono l’unica brasiliana sfigata di Milano’, esclama ogni tanto. ‘E’ perché non sei insellata, sentenzia Rocco. ‘Brasiliane-cubane-capoverdiane:  culo alto e sodo, perfette per cavalcare’.

     Non mi sento un artista, come Tiziano. Sono un artigiano del pettine, ecco. Riparo, aggiusto teste in disordine, teste che non ‘funzionano’ per le loro proprietarie. Come in una carrozzeria. Mi piacerebbe aprire un negozio tutto mio. ‘L’officina dei capelli’ lo chiamerei. Con un bel bancale in legno con tutte le forbici e le spazzole allineate una accanto all’altra. E Maricielo che sorride invece di tenere sempre lo sguardo giù puntato sulle unghie della gente. 

     Oggi in negozio è venuta una cliente nuova. Alta, stivali di cavallino, borsa di gran griffe a tracolla. Si è seduta nella poltrona lavatesta, ha abbassato gli occhiali dalle lenti scure che le coprivano mezza faccia, con un gesto rapido ha sciolto la coda: ‘devo fare la piega’ mi ha detto mentre imbambolato guardavo quella seta bionda allargarsi sulle spalle. Capelli così belli, lucidi, quasi una filigrana d’oro trasparente, non se ne vedono spesso. Ho resistito alla tentazione di accarezzarli piano piano, di sfiorarglieli con la punta delle dita. Prenderli in mano per lavarli, storcerli mentre le mettevo lo shampoo, mi è sembrato un sacrilegio. Avrei voluto chiederle un’infinità di cose, ma lei ha subito socchiuso gli occhi. ‘Trattala bene, mi raccomando’, mi ha sussurrato Tiziano. C’era bisogno di dirmelo? Quando ho finito di stirarle la chioma con la piastra (ma perché torturarli così?) si è guardata rapida nello specchio, ha pagato, mi ha accennato un sorriso  prima di uscire. Per tutto il giorno è stato come se una cometa aleggiasse con la sua scia luminosa nel negozio.   

     Oxana, si chiama. Oggi è venuta per la piega. Come ogni venerdì pomeriggio da due mesi a questa parte. Un po’ maldestramente sono riuscito a cavarle qualche informazione. Mi ha detto che si è trasferita a Milano da non molto, che è lituana, che ha viaggiato parecchio. La vedo ridere per la prima volta quando le dico che non avevo mai sentito un posto di nome Kleipeda. ‘Oxana venuta da Kleipeda,  quando entri tu in negozio, illumini tutto, e quando esci è come se avessi lasciato una scia luminosa. Sei come una stella cometa’ le dico. ‘Che poetico che sei, Cesare’ (mi chiama col mio nome vero!). ‘A Kleipeda siamo tutte bionde, sai quante stelle comete come me troveresti lì?’. ‘A me non importa. Lo sai che c’è una canzone che parla di una stella come te?’. Mi faccio coraggio e comincio a canticchiarle ‘penso a te prima di dormire guardando il sole che fa spazio all’imbrunire… di ogni viaggio lontano da te sei la meta/ io re magio tu stella cometa… ‘Sei una modella?’, le chiedo poi, ‘Sei così alta’. ‘Più o meno’, fa lei, e il suo sguardo azzurro-genziana  si incupisce di nuovo.

     Lunedì mattina. Oggi ero a fare un giro sui Navigli, dato che il negozio è chiuso. D’un tratto l’ho vista… E’ sbucata all’improvviso da una stradina vicino a un negozio di libri usati e poi lieve e veloce come sempre ha attraversato il ponte. Stavolta non mi sfugge. C’è viavai di gente sui Navigli, come al solito, ma non la perdo di vista, con quei capelli d’oro che brillano tra la folla come un segnale da seguire. Compare e scompare, ma riesco sempre a starle dietro. Non è forse la mia stella cometa? La vedo infilarsi in un portone di legno scuro. Mi avvicino. Guardo i nomi sui citofoni. Son quasi tutti numeri o iniziali. ‘Cerca qualcuno?’ mi fa una donna che sta portando fuori il sacco nero. ‘La signorina Oxana, abita qui vero?’ ‘Una ragazza bionda, alta’, aggiungo. ‘La russa, allora?’ ‘Veramente è lituana…’ mi vien da precisare. ‘Russa, lituana, moldava, fa differenza?’ E fa una piccola smorfia prima di chiudere il portone.

 Oggi Oxana è venuta in negozio. Aveva fretta, si vedeva,  l’aria stanca. Indossava un dolcevita blu notte che le stava un po’ largo. Quando le ho legato la mantellina attorno al collo perché non si bagnasse il maglione ho visto. Un segno bluastro. Un livido che stonava ancor più sul suo incarnato pallido da principessa delle nevi… Quando ho finito di farle la piega l’ho accompagnata al guardaroba e mentre l’aiutavo a infilare il giaccone le ho sussurato: ‘Oxana, stai bene? Va tutto bene?’ Lei mi ha piantato in faccia quei suoi occhi color genziana, e senza rispondere si è girata di scatto ed è uscita.

L’ho aspettata sotto casa per tutto il pomeriggio. A Tiziano ho raccontato che dovevo andare a trovare mia sorella ricoverata al San Raffaele. Ringhio improvviso di pneumatici. Una Mercedes SLK rossa si ferma un attimo e poi riparte sgommando rabbiosa. La vedo scendere. La minigonna ancor più corta del solito, il cellulare in mano. Mi paro davanti a lei, ostruendo il portone: ‘Oxana, cosa succede?’ Mi scosta bruscamente: ‘Cesare, ti dico che va tutto bene’. E mentre io rimango un attimo stordito (non avevo mai sentito il tocco leggero delle sue dita su di me, sul mio petto) lei ha già aperto e si è infilata dentro casa. Mi accendo una sigaretta. Quale sarà il suo appartamento? Comincio a suonare a caso. Ad un tratto, sgommando, ritorna la Mercedes. Scende un uomo con un giaccone di pelle nera, sbatte la portiera. Mi si avvicina, la sua mano blocca la mia che sta premendo sui campanelli. Mi torce il polso. Sempre più forte. ‘Non devi disturbarla, capito?’

‘Adrijus, adesso basta. Lascialo stare’. Sento la voce leggera di lei. Oxana ha socchiuso il portone, adesso ha i capelli raccolti, come una cometa a cui avessero tarpato la coda. L’uomo la fissa negli occhi, passa un’ondata di gelo. Poi si gira verso di me, mi fissa a lungo, lentamente mi lascia andare il polso. ‘Stai attento’ sibila. Risale sulla Mercedes e sgomma via di nuovo. Sento il portone richiudersi. Oxana è gia sparita dietro il legno scuro.

     Venerdì. Il giorno in cui Oxana viene a fare la piega. Non si è vista oggi. ‘Tiziano, dooove sei? Lo sai che devo cooorrere ad aprire il negozio…’ Immagino la voce della signora Gianasso, mentre con una mano sfoglia il giornale e con l’altra controlla il cellulare. ‘Ventiduenne slava trovata sgozzata…’ Una brutta foto in bianco e nero. ‘Che combinazione, non assomiglia un po’ a quella stangona che si vede qui ogni tanto?’ fa la Gianasso. ‘Non sembra anche a te, Maricielo? Tutte troie quelle…’ ‘Non saprei signora, signora, io guardo poco la gente in faccia’, le dice Maricielo, abbassando ancor di più gli occhi umidi. (‘Lascia stare, Cesare. Non metterti di mezzo. E’ gente pericolosa quella… Oigame, per favore’).

Volevo solo tagliarle la coda, signor commissario. Come a una stella cometa. Così avrebbe potuto volar via leggera leggera, senza che tutti quei brutti porci schifosi continuassero a trattenerla per la chioma… Per una settimana ho passato tutte le notti davanti a casa sua, nell’ombra, pronto a sgusciare via appena i fari della Mercedes rossa si avvicinavano. (Oigame, Cesare, lasciala stare, ascoltami!) Alla fine sono riuscito a farmi aprire. ‘Cosa vuoi?’ mi ha detto tra lo sfottente e l’impaurito. ‘Tagliarti i capelli’ le ho detto e ho tirato fuori le forbici. ‘Sei impazzito, cosa fai?’ E ha cominciato a urlare. ‘Non urlare, Oxana… Ma non capisci, non capisci stupida che solo cosi riuscirai a fuggire via…’ e con una mano cercavo di tenerla ferma e con l’altra di tagliarle la coda. A un certo punto non ho capito più niente, lei ha preso in mano un portacenere, credo, ho sentito un colpo duro alla tempia. Allora ho spinto con le forbici, mi sembrava di avere una bella ciocca di capelli in mano… Poi ho sentito qualcosa di caldo che cominciava a bagnare la lama… Allora sono corso fuori e ho cominciato a correre, a correre, a correre. Una mano stretta nel paltò attorno a una ciocca di seta, l’altra che teneva in tasca le forbici rosse…

     Volevo solo tagliarle i capelli, signor commissario. Per liberarla, come una stella. Non sono un assassino. Volevo solo tagliarle i capelli. Son stati quei suoi capelli lunghi, così biondi, che l’hanno imprigionata. Fan perdere la testa agli uomini, capelli così, come un drappo di seta in cui vorrebbero avvolgere le loro facce e i loro corpi schifosi, stringerli come un trofeo del vincitore, sporcarli con la loro sborra fetida. Volevo solo liberarla, signor commissario, lasciarla libera di splendere…

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1 commento »

  1. Un salone di acconciature dove lavora Cesare, divenuto Cesar, nome dal suono più consono al “profilo del negozio”.
    Oxhana, la stella cometa che quando entra illumina tutto.
    Ma c’è qualcuno che la controlla. Guida una mercedes rossa
    E poi c’è Maricela, la collega di Cesar, che quando legge la notizia sul giornale, lo mette in guardia: “Non metterti in mezzo Cesare, quella è gente pericolosa”.
    E’ vero, è gente pericolosa, perciò il finale non è solo una sorpresa, ma una vera schioppettata.
    Stile disinvolto, buone le descrizioni ambientali, curati i personaggi e la trama.
    E’ un ottimo racconto noir.

    Nikki Simonetti
    Gioacchino De Padova

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