Premio Racconti nella Rete 2011 “La Giulia” di Lucia Focarelli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011Giulia esiste davvero, ha novantasei anni e dorme continuamente. Vuole il Tavor, lo prende di nascosto. Vuole dormire e sognare. E sogna. Moltissimo. E, poichè Giulia ha una mente lucida, si sveglia, racconta e poi dorme ancora. Mangia poco. Solo l’indispensabile, molto malvolentieri. Dice che perde tempo, che preferisce sognare e che, quindi, preferisce dormire. Spesso mi avvicino al letto e la vedo che, dormendo, sorride, anzi, a volte ride proprio. Lei è sempre stata una persona, come si dice, ottimista, di quelle che vedono sempre il lato positivo delle cose. Una giocherellona. Molti l’hanno scambiata per una superficiale perché è stata sempre con il sorriso sulla bocca, sempre a scherzare, a prendere in giro tutti. Una brava contadina toscana, di quelle senza peli sulla lingua e con la battuta sempre pronta. Ecco questo magari sì. In vita sua ha cucito tanti di questi vestiti addosso alla gente… tagliati e cuciti, come si dice da noi, che vuol dire che sapeva tutto di tutti e ne parlava con tutti. Qualcuno magari se ne aveva a male, ma più spesso ci si rideva su che Giulia lo faceva con un malizia “buona”, meglio di uno psicologo. Invece di farti l’analisi e la diagnosi, ti diceva chi eri e come eri e spesso anche come mai, senza mai ferirti. Sembrava sempre che ti stesse “leggendo la mano” tanto per giocare, come si fa a volte fra amici. Lei dapprima, da giovane voglio dire, lo faceva sull’aia, la sera a veglia, poi anche nei rifugi, sotto ai bombardamenti. Lì però lo faceva solo ai bambini, per farli distrarre. Una volta disse a Gosto, il figlio di Olmo e della Maria che l’indomani la maestra lo avrebbe chiamato alla cattedra, l’avrebbe interrogato e gli avrebbe dato un otto. Non era mai successo perché Gosto, detto Gostino, era l’ultimo della classe. Invece andò proprio così, lo raccontarono tutti i bambini. La maestra aveva chiamato Gosto e si era fatta raccontare come si facevano le scarpe, chè l’Olmo, il “su’ babbo” faceva il ciabattino. Gosto lo aiutava spesso e così dimostrò a tutti che delle scarpe sapeva veramente quasi tutto quello che si poteva sapere, magari stentava un po’ a parlare e gli occhi li teneva sempre bassi (sennò gli avrebbe dato dieci la maestra) però fu chiarissimo e così si prese otto. E la Giulia passò alla storia.
Non si dovrebbe dire, ma anche le ragazze da marito, quando conoscevano un probabile futuro sposo, glielo presentavano e poi volevano sapere dalla Giulia … se era il caso di “convolare”. La Giulia a volte si faceva degli scrupoli, chè lo sapeva di non essere un’indovina, ma poi ….. là…. cominciava a dire e le parole le fluivano come se avesse preparato una lezione. Era come se quel ragazzo lo conoscesse da sempre. Oh, poi, nel tempo, si dimostrava che era tutto vero.
Alla Tosca glielo disse non una ma due o tre volte (chè lei glielo richiedeva): “l’Antonio un’ è né bono, né cattivo, l’è troppo bello e allora ….. bisogna che tu stia attenta. Lui ‘un ce la fa a stare lontano dalle donne. Bene ti vol bene, ma tuo e solo tuo ‘un sarà mai”. La Tosca si rigirava quella frase nella mente -tuo solo ‘un sarà mai – e non si decideva mai a sposarlo. Poi lo sposò, dopo la guerra subito. Ebbero un figlio, sembrava andasse tutto bene, così da sbugiardare la Giulia, ma poi all’Antonio venne voglia di andare in America a cercare fortuna – “vi chiamo te e il bambino”- aveva detto, ma non aveva mai chiamato. Se ne persero le tracce. E lei, la Giulia, anche quella volta ebbe ragione. Ma le volte che andava così non le piaceva indovinare le cose.
Per sé, per la sua vita, aveva indovinato tutto. Le sarebbe piaciuto sposarsi e si era sposata. Voleva dei figli e ne aveva avuti quattro, due maschi e due femmine, tutti sposati sistemati e ora lei era bisnonna che anche i suoi nipoti avevano figli : aveva cinque bisnipoti. Si diceva, e diceva: “Icchè potevo volere di più dalla vita”.
Non che non avesse avuto problemi e dolori, ma, che devo dire, certe persone mettono sempre la loro esperienza di dolore fra sé e gli altri, e alcune, invece, come la Giulia, mettono prima tutte le cose piacevoli e poi, se chiedi, se indaghi, allora scopri che……. Eccome se ne hanno avuti. Più grossi dei miei e anche dei tuoi …La Giulia era così.
Per esempio, che aveva perso il marito in guerra lo avevo sempre saputo, ma che era stato fucilato dai tedeschi sotto il muro di casa, davanti ai suoi occhi, questo lo avevo saputo qualche anno dopo. Si parlava nel giardino di casa sua e all’improvviso si fece tramonto, chè quando si raccontano queste cose, anche se è mattina, si ricordano come se fosse stato il tramonto. E come se le luci si abbassassero e non esistessero più i rumori, non senti niente se non il dolore di chi sta raccontando e “vedi”, se sai vedere. Una fucilazione non puoi “vederla” in pieno sole. Ha i toni grigi della cattiveria e della sofferenza spietata, della paura, dell’angoscia, della rabbia, della preghiera, delle urla, del sangue. Dopo viene il buio e la tenebra. E’ così che uno muore dentro, per il troppo male, e non risorgerà fino all’alba. Ma non si sa mai di quale giorno.
Per esempio non avevo nemmeno saputo che, subito dopo il marito, aveva perso il bambino che aveva in grembo, il quinto. Un racconto così straziante, anche se devo dire, raccontato praticamente senza parole. Ne avrà usate venti o trenta, e anche qui le lacrime scendevano e la bocca sorrideva per alleviare la sua pena e la mia:
“Una notte che pioveva … coi ……coi bombardamenti… e i piccoli intorno, quattro ne avevo…. all’improvviso.. si rompono le acque…. Dico al grande “vai a chiamare la Rosa”….C’era da attraversare l’aia, e poi un pezzetto di sentiero , lui ha solo 7 anni e ha paura, piange e non si muove, e io comincio …… insomma…. Tutto da sola…avevo paura, ma senza urlare per non spaventare i bambini. Così è andata….”
Ho le lacrime anch’io. Di nuovo un tramonto, i colori sommessi del dolore.
Quando l’avevo conosciuta trenta anni fa era ancora una bella donna. Bella vuol dire che per avere settanta anni, aveva una bella pelle piena e liscia, quei dieci chili in più le stavano bene addosso, non era “grinzosa” come le donne della sua età. Era un piacere guardarla. Era così solare, così piena di energia, si rideva di continuo su tutto. Lei “trasmetteva”, con la bocca, con le mani, con tutto il corpo. Ci si sintonizzava e via a raccontarsele, a scherzare, a ridere.
Si abitava vicine. Io avevo 20 anni e lei appunto settanta. Noi si veniva da un’altra città perché il babbo lavorava per lo stato, le ferrovie, ed era stato trasferito.
La Giulia fu la prima a salutarci quando si arrivò la prima volta per vedere la casa, prima di portare i mobili. Ci invitò a casa e ci offrì da bere dell’acqua fresca perchè era agosto e faceva parecchio caldo. Quel giorno si fece amicizia e da allora siamo state come una casa sola e un giardino solo. Meglio così perché le case erano piccole e il giardino lo si chiamava così per darsi un po’ di importanza, in effetti di due non se ne faceva uno “normale”, chè in tutto saranno stati 50 metri quadri. Un fazzoletto d’erba con due ortensie e quattro gerani. Nel suo però c’era un limone e con quello vinceva il premio pollice verde, si scherzava.
Io stavo con il babbo e la mamma e lei abitava con una figlia rimasta vedova, la Caterina. I figlioli della Caterina, due maschi,erano sposati, avevano avuto figli che avevano avuto figli e abitavano nella vicina città.
Giulia aveva fatto la sarta, aveva cominciato quasi da bambina, e meno male, che quel mestiere le aveva permesso di crescere i quattro figli e di cambiare anche casa. Le signore, quelle che pagavano bene, si riguardavano un po’ ad andare da lei in campagna, soprattutto nella stagione invernale: le strade erano fangose e in casa a riscaldare c’era solo il caminetto. Fino a che era stato tempo di guerra e dopoguerra andò bene così, ma poi ….. Così si era trasferita in città. Non nella casa che abitava ora, in un’altra, assai modesta, ma dove la clientela era aumentata. Molto. La Giulia era una brava sarta, era brava a tagliare e cucire in tutti i sensi, e ci sapeva fare con le signore. Così aveva “sbarcato il lunario” per anni, fino a quando i figli erano cresciuti e si erano messi a lavorare, allora le cose erano andate meglio.
L’altro giorno la Giulia mi aveva fatto chiamare dalla Caterina così sono andata da lei, in camera.”Oh Giulia, si alzi – dico – si sta bene fuori, ci sediamo un po’ in giardino insieme”. “Noe – mi risponde – T’ho da raccontare un fatto che ho sognato, ma chiudi la porta, ‘un voglio che la Caterina mi senta. Ho sognato il su’ babbo stanotte”.
Mi siedo e le prendo la mano come sempre. Mi sta guardando con gli occhi azzurri, anzi celesti, un po’ acquosi da qualche anno, che è come se ci si riflettesse il cielo misto alla pioggerellina d’ottobre. Mi racconta i sogni almeno un paio di volte alla settimana, e questo è uno di quelli ricorrenti: il giorno del matrimonio. Lo conosco a memoria e invece lei lo racconta sempre come se fosse la prima volta: i pochi invitati e loro due, venti in tutto, e il prete. I fiori di campo, i vestiti dismessi, lavati e stirati e le scarpe lucide di Giuseppe. “Io il vestito bianco ‘un ce l’avevo, chi me li dava i soldi, ma me ne ero fatto uno grigio. Ero così bella!” E le brillano gli occhi e ride. E ridiamo quando racconta dei balli sull’aia fino a mezzanotte. Alla fine, dopo tutti i particolari, dice”Povero Giuseppe!” e le lacrime, due, le scendono lente. Finisce sempre così. Io rido e poi mi viene la malinconia. “Povero Giuseppe” continua, e mi sorprende perché di solito finisce lì “Allora ‘un si sapeva come sarebbero andate le cose, che l’avrebbero ammazzato e che m’avrebbe lasciata sola coi figlioli. Lui ‘un l’avrebbe permesso. Avrebbe fatto anche a’ cazzotti per questo…. Invece… Eccome se m’ha lasciato sola. Un’è stata giusta sta’ cosa. Sarà per questo che ieri notte in sogno m’ha detto: “O Giulia, ora basta. Un’ho più voglia di sta’ solo neanche quassù con quell’altri. Voglio sta’ con te. Bada un po’ se tu vien via”. Mah, forse sono ammattita. Ma senti, io d’andammene ho una gran voglia davvero. I ‘mi figlioli un’hanno più bisogno di me, mi sono trattenuta anche troppo. Devo proprio andare dal mi’ sposo. Un vedo l’ora. Un so neanche se lui ce l’ha i capelli bianchi come i miei, in sogno un m’è sembrato. Se un’è invecchiato come faccio io che son tutta una grinza, a presentarmi e a dirgli ‘Son la Giulia’, e mi vien anche da ridere al pensiero” E così la Giulia ride. E rido anch’io, ma mi prende una cosa qui alla gola …. Un va’ né su né giù. So bene cos’è. Come dicevo la Giulia non sbaglia mai.
Da un po’ di tempo la Giulia anche se c’è, non c’è più. All’improvviso è invecchiata, sembra proprio che abbia l’età che ha, si è consumata, è magra magra, non si alza mai dal letto e ha smesso di ridere. Insomma, la Giulia se ne già andata. Così posso finire anche il racconto, perché in un primo tempo avevo pensato di dire che era morta, anche se non era vero. A volte succede che si muore anche così, restando vivi ancora un poco. Ma io credo che lei se ne sia già andata dal ‘su’ sposo’, a ridere con lui. Non mi chiama, non mi racconta. Però mi sembra ancora tanto bella.
Molto bello, struggente. Mi ha ricordato la “mì” mamma, gli ultimi tempi della sua malattia: anche lei era ancora viva seppur ormai da un’altra parte; quando si risvegliava raramente dal suo torpore, sorrideva al cuscino accanto al suo come se ci vedesse ancora il volto amato del marito…
domenica scorsa la Giulia ha compiuto 100 anni
Grazie Lilith, è vero, si può morire così, con a fianco la persona che ti ha lasciato da tanto ed è ancora la più dolce consolazione
Non la storia, cmq bella, ma l’armonia delle parole in un intreccio toscanaccio,struggente che in solo 2 pagine e mezzo raccontano 100 anni di storia umama, la storia di Giulia. Lucia complimenti. Un abbraccio roberto
Bellissimo!
Struggente, forte e delicato allo stesso tempo.
Grazie Lucia