Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2011 “Un villaggio matto quanto basta” (sezione racconti per bambini) di Elisa Crisci

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011

In un villaggio chiamato Murro di Porco situato lungo il litorale marino di Siracusa vivevano un migliaio di abitanti uno più stravagante dell’altro.
C’era chi amava vestirsi con abiti rigorosamente al rovescio, la giacca, i pantaloni, anche l’intimo e che si faceva chiamare all’incontrario: era il signor ONIFARES IPPATAVAC, ma per gli amici solo ARES. Aveva un negozio di cavatappi, tramandatogli da antiche generazioni. Si potevano trovare tutti i tipi di cavatappi, di tutte le misure e materiali da quelli minuscoli, tipici oggetti da collezione o come semplici portachiavi in vetro di murano, a quelli giganteschi fino a otto metri che avrebbero potuto arredare in qualità di sculture giardini o palazzi.
C’era il signor Gattoni che non camminava, ma gattonava, non era mai riuscito ad imparare a stare su due zampe, per cui se ne andava in giro per il villaggio sempre gattonando e per non farsi male aveva comprato delle ginocchiere d’acciaio.
Strano a immaginarlo, ma era il miglior avvocato del villaggio, un po’ imbarazzante, ma non per gli abitanti di Murro di Porco abituati alle stranezze.
C’era Nina, la figlia del postino che, nel cuore della notte, sempre alla stessa ora, amava scorazzare a tutta velocità con una Harley Davison per le vie del villaggio e se saltava solo una notte il suo corpo si riempiva di bolle purulente che duravano una settimana e per le quali non esisteva cura.
C’era Enzo, il meccanico che tutte le notti faceva il pane masticando uno strano mantra indiano, forse ereditato dalla bisnonna che si diceva si fosse innamorata di un nepalese in uno dei suoi viaggi missionari. Il problema era che poi Enzo dormiva tutto il giorno, per cui non c’era nessun meccanico nel villaggio. Ma forse era un bene, poiché nessuno aveva la macchina. Giravano tutti ancora con i cavalli, sebbene fossero gli anni settanta.
Giulio, il panettiere grazie a Enzo che faceva il pane e glielo regalava, poteva dedicarsi a uno dei suoi più grandi piaceri e cioè costruire mongolfiere. In realtà, ne aveva costruito una sola che, per mania di perfezionismo, non portava a termine. L’aveva soprannominata Penelope e ogni volta che vi apportava una modifica si regalava un viaggio e così Giulio spariva per mesi e mesi in giro per il mondo a bordo della sua Penelope.
C’era Gemma, una simpatica donna di ottant’anni che aggiustava tutto, era anche un manovale esperto, sapeva mettere le piastrelle, fare intonaci, imbiancare una casa, costruire mobili. Era molto apprezzata nel villaggio e addirittura teneva corsi per giovani falegnami, idraulici e muratori. Non sembrava proprio avesse ottant’anni e si mormorava nel villaggio che facesse uso di erbe magiche, poiché sua nonna un tempo era l’erborista del paese.
C’era Pandora, una giovane di una bellezza eterea chiusa sempre nella sua torre a custodire la rabbia degli abitanti di Murro di Porco. Quando qualcuno era in preda a collere incontrollabili andava da Pandora, lei lo portava nella stanza del Grande pozzo coperto da un’enorme botola che riusciva a sollevare solo lei e una volta che ci si liberava della rabbia, lei richiudeva tutto.
In questo modo a Murro di Porco si raggiungevano due obiettivi, da un lato tutte le persone erano pacifiche perché avevano la possibilità di sfogarsi, urlare liberamente, battere i pugni o la testa senza arrecare danno a nessuno e dall’altro contribuivano a produrre energia ecologica. Certo, perché con un sistema ingegnoso, la rabbia racchiusa nel pozzo serviva per produrre l’energia elettrica.
C’era Pina, l’affettatutto. Era una donna minuta, in apparenza innocua, mansueta, invece era un concentrato di energia al peperoncino. Non si fermava mai, era come una pila inesauribile. La cosa strana è che parlava pochissimo, ma era sempre in azione, aveva tre ristoranti, tutti vicini e in tutti e tre riusciva a occuparsi della cucina. Grazie a un passaggio sotterraneo arrivava al ristorante quando l’avvertivano, tramite un campanellino posto in tutte e tre le cucine, che c’erano le ordinazioni. Dovevate vederla correva da un ristorante all’altro, prima salutava i clienti e poi si dedicava alla cucina.
Affettava a una velocità da formula 1 tutto quello che in cucina era commestibile, maneggiava con abilità straordinaria tutti i tipi di coltelli e senza esitazione affettava, affettava con precisione chirurgica. Era uno spettacolo stare ad osservarla, quando lanciava in aria i coltelli per dare un tocco di teatralità alla sua passione culinaria.
Infine c’era Margherita, detta Zi’ Rita, la strega.
Fin dall’infanzia non aveva avuto una vita facile, senza i genitori prima figlia di dieci fratelli si era occupata della loro crescita fino al suo matrimonio.
La mattina si svegliava alle cinque tutti i giorni e preparava loro la colazione e i carri per lavorare nei campi, dopodiché anche lei alle otto andava a raccogliere il tabacco. Una vita durissima anche dopo sposata, perché purtroppo il marito Salvo dopo due anni di matrimonio aveva perso il senno e cominciato a delirare. Stava tutto il giorno in casa a disegnare dappertutto, come fosse un bambino di tre anni disegnava sui muri, sulle porte, sul pavimento, sugli armadi. E così, Margherita si era trovata da sola con tre figlie piccole da allevare e un marito impossibilitato a lavorare.
Tenace e coriacea si era rimboccata le maniche: lavorava dalla mattina alla sera nei campi portando con sé le tre piccole. Sembrava una vita fatta solo di sacrifici, ma non se ne preoccupava, lavorava e risparmiava fino all’osso.
Un evento traumatico portò la svolta nella vita della sua famiglia.
Rientrando a casa la sera con le sue figlie, stranamente trovò la cena pronta, la casa in ordine e imbiancata di fresco, nessuna traccia sui muri dei disegni del marito, ma solo su tele enormi e fogli di carta appesi alle pareti. Disegni intensi e toccanti. Zi’ Rita capì immediatamente, corse nella stanza da letto e come presagiva Salvo, il suo adorato marito giaceva spento nel loro letto.
Il dolore fu immenso, ma il suo temperamento non le consentiva di manifestarlo.
Qualche giorno dopo le giunse una lettera di un’assicurazione di Siracusa con un assegno milionario. Era la polizza vita di suo marito di cui non era a conoscenza.
Con quei soldi Margherita fece studiare le sue figlie, aprì un laboratorio artistico, una biblioteca e un centro assistenza per famiglie disagiate, punti di riferimento e prestigio per tutta la Sicilia. Non andò via da Murro di Porco e continuò a lavorare nei campi, come se niente fosse.
Perché la chiamavano strega? Per i suoi poteri premonitori e da guaritrice, ma non solo, ormai noti da tutti i suoi rituali per togliere il malocchio: preparava un piatto con tre cucchiai d’acqua, un pizzico di olio e cinque chicchi di grano, quando uno di questi rimaneva sul fondo, voleva dire che la persona aveva il malocchio, allora Zi’ Rita sfoderava le sue armi da stregona e intonava una cantilena siculo-napoletana, bagnava le dita nell’intruglio e le passava sulla fronte dello sfortunato per tre volte, dopodiché gli inondava il viso con tre schizzi di saliva per ancora tre volte. Un rituale considerato portentoso ed efficace da tutta la comunità.
Di personaggi bizzarri nel villaggio ce n’erano tanti, ma la particolarità è che tutti leggevano libri, giornali in una quantità esorbitante. Quando passeggiavi per le vie del villaggio vedevi giovani o anziani seduti sulle panchine a parlare, ma anche a leggere, tutti a cavallo si portavano sempre un libro e leggevano, anche camminando leggevano, nei negozi, sempre. Tutti, indistintamente dalla classe sociale, leggevano. Il loro grande amore erano i libri. Nessuno poteva fare a meno dei libri e la biblioteca di Zi’ Rita era risultata in effetti il regalo più gradito per quell’avida comunità di lettori che trascorreva le giornate sempre in modo abitudinario, senza scossoni o fatti fuori dall’ordinario.
Ma qualcosa di funesto si stava abbattendo sulla tranquilla gente di Murro di Porco.
Nel giorno di ferragosto, l’aria esalava l’odore di bruciato per l’eruzione dell’Etna avvenuta il giorno prima, tutta la città era coperta di una polvere nera che il vento caldo della Sicilia orientale aveva trasportato dal vulcano a tutte le città limitrofe, compresa la baia di Murro di Porco.
L’atmosfera era carica di energia e invadeva l’aria e il villaggio.
Il caldo soffocante costrinse tutti gli abitanti a rinchiudersi il pomeriggio nelle rispettive case, persino al mare era impossibile andare tanto l’acqua era calda e solo nelle abitazioni fresche si poteva ritrovare refrigerio.
Nel silenzio totale in cui era immersa la cittadina arrivò un omone su un camion con una scorta di poliziotti e si insediò nel Palazzo del Sindaco vuoto da 15 anni.
Approfittando della latitanza degli abitanti a causa della calura estiva, questo omone fece installare indisturbato, nella piazza centrale del paese uno strano aggeggio, enorme quasi quanto l’Etna: era lo schermo di un televisore gigante, oggetto sconosciuto per questa pacifica comunità.
Verso sera, quando il caldo si andava attenuando per lasciare il posto a una brezza piacevole e fresca, gli abitanti cominciarono a uscire e in meno di un’ora tutti si ritrovarono esterrefatti davanti a uno schermo gigantesco, nella piazza del paese.
Dagli altoparlanti posti agli angoli della piazza si udì una voce melliflua e stridula che parlava di questo marchingegno elencandone le magnificenze. La voce poi si presentò con il nome di S.S.. diminutivo di Silvio Suoni, il nuovo sindaco del comune di Murro di Porco.
Tutti gli abitanti rimasero intontiti, ma anche incuriositi nell’assistere al marchingegno in funzione, c’erano immagini che scorrevano veloci e suoni, rumori assordanti a cui non erano abituati.
Solo Zi’ Rita ebbe un fremito quando udì la voce dall’altoparlante e alcune visioni nella sua mente la turbarono.
La comunità di Murro non oppose resistenza all’invadente novità, ogni giorno qualche passante si soffermava qualche minuto nella piazza davanti al mega schermo, ma poi proseguiva incredulo trovando comunque nella lettura sempre grande interesse e conforto.
Man mano che i mesi passavano gli abitanti del villaggio cominciarono a sentire un certo malessere, una sorta di insofferenza.
Avevano accettato di prestare al nuovo sindaco tutti i libri della loro biblioteca, avendo la promessa di restituirli in poche settimane, ma erano trascorsi mesi ed erano ancora nelle sue mani.
Tra l’altro non si poteva comunicare con lui fisicamente, ma solo attraverso lo schermo e quando decideva lui.
Per diversi mesi a turno Pina, Gemma, Enzo, Giulio, Gattoni e tutti gli altri trascorsero la notte fuori, tralasciando le loro attività davanti allo schermo in attesa che S.S. comparisse, ma invano. Non potevano più leggere, in quanto gli unici libri a disposizione erano quelli della biblioteca. Senza la linfa vitale che scorreva nelle trame dei libri nessuno riusciva più a interessarsi a nulla e cominciarono a tralasciare la loro vita, ad arrendersi, non avevano più la forza di dedicarsi alle loro attività, alle passioni, ai figli e ancor meno a lottare per recuperare la loro ricchezza.
L’energia elettrica ecologica si stava consumando e con essa anche Pandora stava svanendo.
Nina ormai ferma a letto si era riempita di bolle e i genitori erano disperati.
Pina non riusciva neanche ad aprire una scatoletta di tonno ed era immobilizzata nella sua casa.
Enzo aveva smesso di fare il pane e tutto il giorno se ne stava in casa a guardare il soffitto.
Qualcuno ancora cercava di reagire, di tirare fuori almeno la rabbia e invocava il nome di Silvio Suoni: “maledetto esci se hai coraggio, cosa ne hai fatto dei nostri libri?, che razza di essere sei?” urlava tutte le notti Giulio nella piazza.
“ Ti spacco, maledetto schermo” urlava ARES che tentava di spaccare lo schermo con uno dei suoi giganti cavatappi.
“ Malocchio, malocchio portava via questo pidocchio! declamava ogni sera Zi’ Rita davanti al focolare.
Finalmente una sera, l’altoparlante annunciò l’apparizione sullo schermo di Silvio: “abitanti di Murro di Porco, eccomi a voi per portarvi delle novelle, accorrete accorrete…”
Quando gli abitanti si radunarono nella piazza rimasero esterrefatti, l’omone gigantesco era diventato abnorme.
“Cari abitanti vi devo ringraziare per la vostra donazione, purtroppo ero molto malato e l’unica cura erano i libri, più ne potevo avere più possibilità di guarigione avrei avuto. Per questo vi ho chiesto di svuotare la vostra biblioteca e grazie a voi sono guarito.”
Qualche minuto di silenzio, nessuno esultò, rimasero in attesa.
Con la voce leggermente tremula, ma ancor più suadente S.S. proseguì nel suo delirante discorso.
“ Purtroppo non posso riconsegnarveli, perché ho dovuto mangiarmeli per poter guarire, ma vi assicuro che non ne ero a conoscenza.”
Un forte boato, come un’onda invase tutta la piazza: “ Bugiardo, avido che tu sia maledetto, ci hai tolto il nostro nutrimento, vattene via, non ti vogliamo, non ti riconosciamo nostro sindaco!!” urlarono tutti insieme gli abitanti.
“Poveri illusi, pensate sia facile sbarazzarsi di me, sono riuscito con l’inganno a portarvi via la vostra risorsa primaria, i libri che vi facevano sognare, che vi portavano in terre lontane, che vi facevano riflettere, ma il mio compito andrà a termine quando dentro di voi non rimarrà neanche un sogno. Vedrete che ci riuscirò!”
Con questa dichiarazione Silvio sparì lasciando sul volto degli abitanti un velo di paura.
Nei giorni che seguirono si riunirono tutti per trovare una strategia per eliminare il nemico, Gattoni, l’avvocato: “proviamo a fargli una causa civile!”, “ no, i tempi sono troppo lunghi e le nostre energie stanno finendo” disse Gemma.
“ Facciamo arrivare altri libri da Palermo, ho dei contatti, ma una piccola quantità per non dare nell’occhio, avrei pensato al trasporto con la mia mongolfiera e di notte, in modo da evitare i controlli dei suoi poliziotti, almeno è un inizio per ricominciare a vivere!” disse Giulio.
Furono tutti d’accordo e quella sera in loro uno spiraglio di speranza si fece strada.
Purtroppo, il carico tanto atteso fu intercettato dalle guardie di Silvio Suoni e alimentò l’avidità di quell’essere spaventoso.
Fu un duro colpo per tutti gli abitanti di Murro di Porco che videro la loro ultima possibilità infranta. Si arresero di fronte al destino avverso e rinunciarono a lottare, abbandonarono le loro attività, parlavano poco e non riuscivano nemmeno a pensare. La loro chimera stava lentamente svanendo.
Solo Zi’ Rita non voleva arrendersi, grazie alla sua personale vicenda e forza interiore decise che avrebbe salvato Murro di Porco dalle grinfie dell’avido mangialibri.
Cominciò di sera a scrivere sui muri del villaggio una poesia a lei cara di Emily Dickinson che fortunatamente ricordava.
«Non esiste un vascello veloce come un libro
per portarti in terre lontane
né corsieri come una pagina
di poesia che si impenna
questa traversata può farla anche il povero
senza oppressione di pedaggio
tanto è frugale il carro dell’anima»

In seguito andò in ogni casa e parlò al cuore di ognuno.
“ Forza non dovete farvi vincere dalla paura, se lottiamo ora, riusciremo a sconfiggerlo, lui vuole privarci dei nostri sogni non dobbiamo permetterglielo, anche se è dura in questo momento bisogna ricominciare a vivere e anche se abbiamo paura, dobbiamo tirar fuori tutto il nostro coraggio. La nostra paura è il suo alimento, la nostra tenacia sarà la sua sconfitta”. A tutti lesse la poesia e per ognuno degli abitanti le parole di Zi’ Rita insieme alla poesia furono lo stimolo per ricominciare.
Ripresero man mano tutti a lavorare e in ogni momento della loro giornata ripetevano ad alta voce: non esiste un vascello veloce come un libro… così facendo ritornò la fiducia e speranza nella vita. Incredibile a dirsi, come se nulla fosse mai accaduto, dopo qualche settimana dello schermo gigante non ci fu più traccia, così come del famelico omone, ma soprattutto ritrovarono in biblioteca il patrimonio librario di Murro di Porco e con esso la voglia di vivere.

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1 commento »

  1. Si Elisa! l’ignoranza aumenta la fame nella fame, dalla povertà crea povertà ancora più grande! il tuo racconto è veramente bello! pedagogico anche per noi adulti.

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