Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2011 “Il fumo dei ricordi” di Elisa Crisci

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011

Andrej entra nella stanza avvolta da una nebbia nauseabonda che lascia l’uomo indifferente. Da anni, ormai, le sue narici non registrano più alcun odore. I turbinati non avvertono affatto l’aria entrare nel naso, talmente sono rigonfi e disseminati di polipi. Ma l’investigatore non si è mai posto il problema, nonostante le sue lunghe notti in apnea. Perlomeno, si è limitato a inclinare il letto. Dormire, in verticale! Sì, aveva ascoltato il suo medico, amico di lunga data, ma non per una questione di salute. Per curiosità. L’idea di dormire sdraiato, ma in verticale, lo divertiva e ne aveva anche riscontrato un certo sollievo. I pensieri che di notte tendevano ad assillarlo insistentemente, in quella posizione scivolavano, scivolavano fuori dalla sua mente. Chissà? Forse il senso di gravità?
Andrej non appena sentiva un pensiero fastidioso affacciarsi minacciosamente nella testa – il che avveniva tutte le sere, dopo cena – si metteva a letto, in attesa e gradualmente avvertiva i pensieri scendere, scendere fino ai piedi lasciandogli un senso di sollievo misto a torpore che lo cullava in un profondo sonno ristoratore.
Un raggio di luce entra dalla finestra e illumina il viso di Andrej. La fonte di luce lascia in penombra tutto il resto, creando dei netti contrasti chiaroscurali. Sembra un quadro di Caravaggio. L’angusto loco, la scrivania e il suo corpo sono coperti da un manto scuro, solo il suo viso è rischiarato, in tutti i dettagli, dalla barba incolta, in cui tra un pelo e l’altro si intravedono segni rossastri lasciati dall’ultima rasatura a quelle piccole lentiggini fitte poste sopra gli zigomi. Per non parlare di quelle rughe curiose, le uniche che ha tra le sopracciglia. Veri e propri solchi disseccati, inariditi, in cui l’acqua ha smesso di scorrere.
L’investigatore è seduto alla scrivania, vestito come la sera precedente: giacca nera che copre una maglietta grigia a maniche corte cosparsa di minuscoli fori sui bordi della maglietta, pantaloni neri, scarpe nere.
Si siede alla scrivania, accende la cinepresa, ma non si sofferma ancora sull’immagine che si apre sulla vita di Irina.
Estrae dalla tasca interna della giacca, un pacchetto di sigarette, di marca italiana, MS e con estrema lentezza, ne porta una alle labbra e l’accende. La prima boccata, rigorosamente ad occhi chiusi, lo fa trasalire, come se fosse la sua ultima sigaretta. Ne assapora l’aroma e inala a pieni polmoni il fumo che fuoriesce. Boccata dopo boccata la nebbia nella stanza s’infittisce fino a diventare un involucro che lo protegge dalle insidie del mondo.
Gradualmente lascia scivolare in basso il busto e distende le gambe. E’ la posizione ideale per guardare nella vita degli altri, ora il suo sguardo si poggia sulla videocamera. Irina è completamente nuda davanti a lui, in tutta la sua bellezza. Andrej non si scompone, ma osserva rapito il seno prorompente della donna. Ha sempre avuto un debole per il seno, ma non un seno qualsiasi. Amava la grandiosità. Amava quei seni maestosi, accoglienti, in cui poteva immergersi, sprofondare e con le mani esplorare la loro morbidezza. Amava i seni che debordavano dalle sue mani grosse e possenti. Amava perdersi tra quelle due meraviglie.
Un incontro casuale. Lui era un ragazzino spensierato in giro per le campagne in bicicletta, lei una ragazza, più grande di lui, che passava le sue giornate in campagna, a infilzare il tabacco per aiutare la zia con cui viveva.
– Guarda me, Andrej, metti l’ago qui nella parte dura della foglia e poi tira fino al nodo.
– Lascia un leggero spazio tra una foglia e l’altra.
– Uè, iamm bell nu poc e’ forz, n’a tieni? N’ave’ paura, tira!
– Ora, mi aiuti ad attaccarle, per favore? Tu si’ propri nu brav guaglione!
– Mo’ s’ann secca’. O’ vire cumm so’ verd, anna’ diventà cchiù sscur.

Lo spago si passava nello stipite della foglia, la parte dove la foglia era attaccata alla pianta, una foglia dietro l’altra fino a comporre una lunga corda di foglie di tabacco. Alle due estremità dello spago si facevano dei nodi, necessari per poterle appendere a dei telai in legno. Esposte al sole, ma coperte da un panno. Era il primo stadio di essiccazione delle foglie.
Diventate marroncino chiaro, le foglie passavano allo stadio finale di essiccazione.
Si portavano al fresco, sempre tenute legate le une alle altre, ma appese in alto nel capanno, in modo da essere completamente al riparo dal sole e godere del vento.
L’essicazione finale conferiva loro un colore marrone scuro. Erano pronte, potevano essere sfilate. Una volta sfilate, venivano tenute insieme avvolgendo lo spago attorno al capo. Dopodiché si facevano cataste, sempre all’interno del capanno.
Quante foglie aveva infilato pur di stare accanto a Teresina, con quel lungo ago che, all’inizio, gli faceva paura.
Tra quelle foglie, Andrej era rimasto folgorato da Teresina.
La spontaneità, l’allegria della ragazza, ma anche un fondo di inquietudine che leggeva nei suo occhi, l’avevano rapito e poi quel corpo morbido, sinuoso e quei seni generosi in cui aveva nuotato per anni. Ricordi ancora vivi dentro di lui.
La sua passione per la pittura aveva trovato la sua musa ispiratrice.
Nel capanno, dopo aver finito il lavoro, trascorrevano le ore ad amarsi, a esplorare il talento del giovane. Disegni infiniti in cui il ragazzo coglieva la più piccola sfumatura delle emozioni di Teresina.
Lei assecondava ogni sua richiesta. Quel ragazzo straniero colmava un vuoto profondo nella sua vita. Un vuoto che aveva il sapore amaro dell’abbandono.
– Teresina, ma dove sono i tuoi genitori? Sono morti?
– Sono vivi, ma abitano e lavorano in Svizzera, con mia sorella e mio fratello più piccoli. Sono andati quando ero piccola, ma per lavoro non potevano portarmi con loro. Sono rimasta con la zia, poi il lavoro è andato meglio, hanno avuto altri figli e sono rimasti lì.
– Aggiò suffert… doppo manne ritto e stà assieme, ma comme facevo a stà ccu lloro, nun simme cresciut assieme. Io a zia Stella nn’a vuleva lassà, mmà dato sempe tanto ammore e libertà.

Improvvisamente, squilla il telefono, Irina risponde in malo modo all’interlocutore all’altro capo del filo. Poche parole, ma secche. Riattacca. Ora è lei a chiamare qualcuno, è concitata. E’ una lunga conversazione. Sempre al telefono, rovista affannosamente nei cassetti. E’ spazientita e impaurita. Andrej guarda il tutto come se fosse un film muto.
Nelle orecchie dell’investigatore risuonano le sonore risate di loro due, nel furgoncino, quando facevano le consegne delle cataste di foglie essiccate alle aziende.
Le strade sterrate e la guida spericolata di Teresina lo divertivano. Lei adorava le sgommate, i testa-coda e tirar su la terra. Un vero maschiaccio alla guida!

Andrej accende un’ennesima sigaretta, con lentezza. Rilassatosi, inspira lunghe boccate. Per qualche secondo sembra che mastichi il fumo. Lo assapora. Chiude gli occhi e continua a inspirare boccate di fumo, una dopo l’altra, finché la nebbia non lo avvolge definitivamente.

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