Premio Racconti nella Rete 2011 “Il perduto amore” di Enrico Valdes
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011Sono qua, per l’ultima volta. Tra pochi giorni questa casa, dove ho trascorso i miei anni da ragazzo, la casa dei miei genitori, sarà abitata da altri.
La porta d’ingresso si apre.
Silenzio. Memorie. Senza accendere la luce mi siedo nella poltroncina, in un angolo. Tutto è rimasto intatto, come nell’ultimo giorno dell’esistenza di mio padre.
Abbiamo rimandato il compito, io e i miei fratelli, di disfare questo nostro mondo familiare, stratificato dalla polvere delle stagioni passate: mobili, arredi, abiti, quadri. Ogni cosa ha avuto la sua vita, ma da oggi tutto verrà disperso e dimenticato. Solo qualche oggetto si trasferirà nelle nostre case, per un altro ciclo. Poi, forse, si perderà per sempre.
Passano gli uomini e portano via con sé la vita e le sue cose. Ancora una generazione e il ricordo sbiadirà anche nella memoria dei nipoti.
Solo, su una lapide, un nome.
Ricordo.
Era la vigilia dell’Epifania, ed io, bambino, rientravo a casa. C’era con me mio fratello. Avevamo visto un cartone animato : ‘’Peter Pan’’.
Le avventure strabilianti di quel ragazzo, che mai sarebbe diventato adulto, mi avevano catturato e, quelle immagini colorate continuavano ad accompagnarmi, con un entusiasmo e un’intensità mai sperimentata.
Babbo e mamma ci aspettavano pronti, come sempre, ad ascoltare il nostro racconto per dividere con noi la storia dell’eterno fanciullo, nell’isola che non c’è.
Poi noi bambini andammo presto a dormire, in attesa dei doni della befana. Nei nostri letti, mamma si sedette a fianco a ciascuno di noi.
In quella casa, quel giorno era tutto perfetto e perfetta la felicità. Mai più niente sarebbe stato così.
Seduto ora nella penombra, mi chiedo il perché di quella gioia così intensa.
Un fascio di luce, dalla finestra socchiusa della stanza vicina, attraversa lo spazio ed illumina il pulviscolo, sospeso nell’aria, che oscilla senza sosta.
Ora so. Tutti gli attimi di felicità della nostra esistenza sono destinati a breve durata. Afferriamo i nostri desideri e subito la felicità sfuma, ci sfugge e scompare.
Forse il tarlo dell’insoddisfazione ci lascia in pace solo da bambini. Poi, senza scampo, ci accompagnerà per tutta la vita.
Entro nella mia stanza di un tempo e spalanco le persiane alla luce dorata della mia città. Rondoni sfrecciano nell’aria, lanciando il loro garrito. Essi non danno confidenza agli umani come i piccioni e non cercano il cibo tra i rifiuti come fanno i gabbiani: nel loro cielo, infaticabili, danno la caccia agli insetti.
Guardo il tavolo dove ho aperto tutti i libri dei miei anni di studio. Migliaia e migliaia di parole, frasi, spiegazioni.
Vedo tutte quelle lettere stampate fluire veloci nella mia mente, come un fiume impetuoso. Esse la attraversano senza sosta, molte vengono catturate, trasformate, elaborate in idee e concetti.
Io sono tutte quelle lettere, tutte quelle parole, tutte quelle idee arrivate a me dai libri e da ogni persona che ho incontrato, che ho ascoltato.
Io sono l’umanità che nei secoli si è evoluta. Io ho assorbito il bene dell’uomo, e con esso il male in un groviglio inestricabile.
Tornano come un lampo le lunghe ore trascorse davanti a quel tavolo, con la luce del sole o quella di una lampada, con piacere o con fatica, con stanchezza o leggerezza.
Ora sono sul letto della mia giovinezza, morbido ed accogliente: dolce
sonno, riposo, sogni, desideri ad occhi aperti.
Entro nella stanza dei miei genitori. È mesta. Qui sono passati gli anni della loro vecchiaia. In questo letto, con volute floreali di ferro battuto, sono stati circondati dalle medicine. Indeboliti dagli anni e dalle malattie.
Mamma dimagrita, pallida, ma sempre con un sorriso per noi. Forte e tenera sino all’ultimo istante.
Babbo che non voleva vedere. Incredulo davanti alla sua morte.
‘’Non avrei mai potuto pensare che oggi lei mi avrebbe lasciato.’’
Nessuno, quel giorno, poté tenergli compagnia. Rimase accanto a lei su quel letto, per tutta la notte, tenendo la sua mano tra le sue, cercando un respiro che non c’era più, certo che lei avrebbe ancora risposto alla sua voce.
Poi all’alba si arrese alla verità e con un sussurro disse:
”Quanto è vera la storia del perduto amore…tu dormi a le mie grida disperate, e il gallo canta e non ti vuoi svegliare.”
È una racconto introspettivo molto bello, scritto con uno stile scorrevole e asciutto. L’infanzia, la memoria e la morte sono argomenti ben metabolizzati da chi scrive, ne scaturiscono parole cariche di significato. Bravo.
Bello. Scritto bene. Triste ma di una tristezza che fa sperare.