Premio Racconti nella Rete 2011 “La festa” di Roberta Strada
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011– Hai ragione, l’orchestra sarebbe un po’ eccessiva. Bene, niente musica. Magari un coro. Sai uno di quei bei cori seri, tutti vestiti di nero che cantano in latino? Che ne dici?..No, troppo lugubre, fa tanto film alla Ingmar Bergman. Non lo so, non so proprio come fare per animare un po’ la cosa. Ci vorrebbe un’idea, qualcosa di originale…ah, mi raccomando: niente fiori. Non li sopporto,puzzano di cimitero.
E, così dicendo, Ruggero scoppiò a ridere piegandosi in due mentre una tosse spaventosa lo scuoteva tutto.
– Ma mi ascolti? Vuoi almeno degnarti di rispondermi?
– Si papà, ti ascolto.
– Già, ma non dici niente.
– Sto guidando, cerco di stare attento alla strada. Non posso distrarmi.
– Dimmi almeno se ti piace la mia idea.
– Quale? Cambi programma di continuo e sinceramente ho perso il filo.
– Parlo della festa, cosa te ne pare?
– Non lo so, devo pensarci.
– Che noioso sei! Alla tua età io mi buttavo in tutto. Un po’ di entusiasmo, che diamine!
E riprese a ridere.
Marco continuò a tenere lo sguardo incollato alla grigia striscia di asfalto che si snodava nell’anonima periferia. Cercò di mantenere la calma, di mandare via quell’orribile pugno che gli stringeva la bocca dello stomaco. Avrebbe voluto prendere suo padre per la giacca e scuoterlo fino a stare male, avrebbe voluto urlare e fare uscire tutta l’amarezza che gli rodeva dentro e invece accennò un sorriso, lieve, impercettibile.
– Va bene papà, sono d’accordo.
– Allora mi aiuterai ad organizzarla?
– Certo.
– Bene, finalmente una buona notizia. – E rise ancora mescolando risate a tosse convulsa. – Vedi, tua madre non può farlo. Se le dicessi cosa voglio organizzare mi prenderebbe per matto.
Marco serrò più forte il volante con le dita.
– E poi vorrei farle una sorpresa. Si, questa si che è una bella idea! Le faremo una sorpresa.
– Si papà.
– Potremmo rivolgerci alla signora Carla, te la ricordi no?
– No.
– Quella tizia che ha organizzato il rinfresco per il compleanno di Carletto. Devi chiedere il suo numero a tua sorella Simona. Ma non dirle niente mi raccomando, sai come sono le donne…
– Certo papà.
– Fermati a quel bar per favore. Voglio un caffè e una bella sigaretta.
– Ma…papà..
– Senti, non rompere e fammi scendere.
– Non dovresti fumare.
– Devo pisciare. Ti sta bene questa scusa?
Marco fece manovra e parcheggiò l’auto accanto al marciapiedi. Ruggero scese a fatica, aggrappandosi al bordo dello sportello mentre l’affanno lo faceva ansimare.
Il posto era squallido: un uomo in tuta da ginnastica, con il viso sporco di barba incolta, giocava ipnotizzato da una macchinetta mangiasoldi, un vecchio, forse per niente vecchio, sedeva a un tavolino leggendo il giornale e la ragazza dietro il bancone asciugava bicchieri in un lento movimento meccanico.
– Buongiorno,due caffè per favore.
– No grazie papà, io non prendo niente.
– Bene signorina, un caffè allora e la toilette.
La ragazza indicò una porta alle sue spalle con un lieve cenno del capo.
Ruggero tornò con le mani ancora bagnate mentre la barista posava sul piattino la tazzina fumante. Trangugiò il caffè, incurante della sua temperatura, e uscì dal bar tastandosi la giacca alla ricerca del pacchetto di Marlboro.
Marco non fece in tempo a seguirlo, dopo aver pagato, che già Ruggero aspirava avidamente la prima boccata di fumo, ma il solito rimprovero gli morì sulle labbra quando lo vide piegarsi in due in preda ad una tosse tanto forte che parevano conati di vomito.
– Brutta stronza. – E lanciò lontano la sigaretta ancora accesa.
Una volta in macchina, Marco accese la radio sintonizzandola su un programma di musica e alzò il volume. Sperava così di non dover parlare, di non dover sentire ancora le assurdità di suo padre. Voleva che la musica coprisse il suono di quel rantolo malvagio che gli entrava dentro come una lama fredda e affilata.
– E’ questa la musica che ascoltate adesso voi giovani?
– Già.
– E’ strana.
– Perché?
– E’ piena di parole…ma la melodia fa schifo.
Marco sorrise e spense la radio.
Ruggero chiuse gli occhi e posò la testa sul sedile come per dormire mentre il petto, scosso dall’affanno, si alzava e si abbassava veloce sotto la giacca.
– E’ che mi secca un po’.
Marco sussultò: credeva si fosse addormentato.
– Per questo vorrei che fosse una bella festa, una cosa speciale da ricordare anche dopo. Ti ricordi quando per San Giuseppe ti portavo a vedere i fuochi d’artificio?
– Si.
– Alla fine sparavano sempre i più belli, quelli più forti. Per questo dobbiamo fare una cosa in grande, l’ultima. Ma si, mettiamoci anche la musica e chi se ne frega se sarà di cattivo gusto e mi criticheranno. Magari riempiamo la casa di palloncini colorati e belle ragazze scollacciate..
Ricominciò a ridere e a tossire.
– Papà vuoi che ci fermiamo a prendere un po’ d’aria?
– Si, fermati ché mi fumo una sigaretta.
Parcheggiò accanto ad un cantiere deserto. Un orribile abbozzo di caseggiato rompeva il verde della campagna appena fuori città ergendosi imponente come un mostro di cemento.
Ruggero si appoggiò al cofano dell’auto e accese una sigaretta, fece due tiri e la gettò via.
– Io parlo, parlo, organizzo e tu te ne stai lì come un cadavere. Hai detto che vuoi aiutarmi, che l’idea ti piace ma fin’ora non hai fatto altro che dire “si papà, certo papà”. Vuoi dirmi una buona volta cosa ne pensi?
Marco serrò i pugni e strinse le mascelle. Una rabbia impotente gli saliva alla gola insieme a quel sordo dolore che si portava dentro.
– Vuoi davvero sapere cosa penso?
Ruggero lo guardò negli occhi e annuì.
– Bene, allora te lo dico. – Prese fiato per paura che le parole gli morissero in gola prima di averle tirate fuori.
– Penso che dovresti smetterla di fare il pagliaccio, dovresti finirla con questa patetica idea della festa e affrontare la cosa con più dignità.
Dignità? – Ruggero si era sollevato in piedi e, in quello slancio di orgoglio, sembrava tornato giovane. – Cosa vuoi che me ne freghi adesso della dignità? Sto morendo cazzo! E tu mi parli di questa stronzata della dignità.
E si accasciò nuovamente sul cofano.
Marco era rimasto fermo. Il dolore che aveva scorto in fondo a quegli occhi aveva sgonfiato la sua stupida rabbia come una bolla di sapone lasciandolo solo, spettatore di quella ignobile agonia contro cui non poteva nulla. Piano si avvicinò a suo padre e, titubante, gli posò una mano sulla spalla, delicatamente, quasi avesse paura di fargli male. O solo nel timore di essere respinto.
– Papà, non volevo. Scusa.
– Lascia perdere, non mi interessa la tua pietà. Odio essere compatito. E poi non serve a niente, lo hai sentito prima quel dottore da strapazzo: “qualche mese”…Tutta colpa mia che gli ho chiesto di essere sincero.Dio…qualche mese.
Ruggero riprese a tossire e Marco rimase ancora immobile davanti a lui, senza parole. Cercava disperatamente nella sua testa qualcosa da dire, una frase adeguata o almeno un gesto ma era come paralizzato davanti a quella cosa che si stava portando via suo padre senza che ci fosse nulla che lui potesse fare per salvarlo.
Non riusciva nemmeno a guardarlo senza sentirsi morire un po’ anche lui. Se almeno non avesse saputo niente, se se ne fosse andato e basta, così, all’improvviso, forse se ne sarebbe fatto una ragione. M questa attesa che li attendeva tutti era una condanna troppo crudele.
Quasi Ruggero avesse letto nei suoi pensieri, disse
– Senti Marco, non diciamolo alla mamma. Lasciamola stare tranquilla ancora un po’, tanto presto se ne accorgerà da sola.
– Come vuoi. Papà
– Cosa c’è?
– Mi dispiace – riuscì a balbettare mentre le lacrime premevano per uscire.
– Lo so, dispiace anche a me e scusa se prima ti ho aggredito. Non volevo. Mi sento stupido, forse perché ho paura e non ci sono abituato. Non ho mai avuto paura prima d’ora.
Marco prese a singhiozzare liberando tutto il dolore che lo opprimeva. Ruggero gli si avvicinò e lo abbracciò forte, tenendolo stretto come un bambino.
Rimasero così, in quel deserto di periferia, piccoli e soli all’ombra del mostro di cemento, poi il padre sciolse l’abbraccio guardò il figlio negli occhi, per accertarsi che stesse bene e gli diede uno schiaffetto affettuoso per allentare la tensione.
– Sai, prima nell’ambulatorio mi è tornata in mente una barzelletta. Hai presente quella del malato incurabile?
– No, non la conosco.
– Il tizio è lì, tutto impaurito davanti al medico e gli chiede “Dottore quanto tempo mi manca?” Il medico gli risponde “ Mi dispiace, soltanto dieci…” e quello incalza “ Si, ma dieci cosa? Mesi, settimane?” e il dottore “ Dieci, nove, otto…”
Scoppiarono a ridere e risalirono in macchina.
Marco avviò il motore mentre una lieve malinconia prendeva il posto della rabbia ormai sbollita. Ruggero guardava fuori dal finestrino il paesaggio familiare che lo conduceva a casa, poi esclamò entusiasta
– E se chiamassimo delle spogliarelliste? Dio, sarà un funerale da dio!
L’ho letto tutto d’un fiato..fa riflettere!!complimenti!!
Mi rivedo sia come figlio che come padre. Toccante.
difficile trovare le parole giuste. brava penso basti.
Complimenti. Credo di non aver mai letto un tema così delicato trattato con così grande ironia e profondità. Scorrevole anche nello stile.
Come reagire di fronte a una risposta che ti sconvolge l’esistenza?
La reazione di Ruggero è un tentativo di esorcizzare rabbia e paura.
Così decide di organizzare “una festa”.
Marco lo asseconda, ma in quelle sue risposte stringate, a monosillabi, sta tutta l’angoscia e la sofferenza di un figlio che a stento trattiene le lacrime.
Poi quel pianto liberatorio esplode ed ecco che i ruoli tornano ad essere quelli di sempre: un figlio che piange, stretto dall’abbraccio del padre.
Il racconto vive di dialoghi serrati e ben costruiti, ma c’è molta cura anche per i particolari: quella tosse insistente è un indizio che non toglie nulla alla tensione emotiva del racconto, ma, anzi, amplifica nel lettore l’attesa della “rivelazione”.
E poi quella sigaretta, cercata più volte da Ruggero in modo quasi compulsivo, per poi gettarla lontanto dopo appena due boccate.
La sigaretta, ovvero “la brutta stronza”: parole sante.
Nikki Simonetti
Gioacchino De Padova
L’autrice sa cogliere in modo magistrale la disperazione di entrambi i personaggi. Bello anche il contrasto tra la promessa del titolo e la crudezza dell’argomento.
Bellissimo. Forte, reale. Senza moralismi. Mi è piaciuto tantissimo.
Linda