Racconti nella Rete 2009 “Gaio e la campana di San Michele” di Giorgio Simoni (sezione racconti per bambini)
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009C’era una volta un asino di nome Gaio che si guadagnava il pane tirando il barroccio di un vetturino della Val d’Era. Venne un dì, il comando dalla Curia di Volterra, di portare una bella campana di bronzo al Monastero di S. Michele. Era quello un eremo perduto, in una valle contornata da torrite mura, che si levavano come sentinelle sopra ai gabbri più impervi. Sul margine del poggio esposto a nord, affacciato sulle pendici del fiume Cecina c’era l’abitato di Pomarance e sulla sommità del poggio opposto ma verso oriente, a dominio di una valletta stretta dove scorreva il torrente Racquese, si ergeva la Badia di S. Michele.
Alla data convenuta per il trasporto della campana, nella bottega volterrana dove si era lavorato alacremente per cesellare le iscrizioni, tutto era pronto, l’asino fu aggiogato al carretto e fatto rinculare sotto il paranco da cui ciondolava la campana, poi con un tonfo sordo e metallico, i lavoranti avevano calato il carico e il povero animale s’era quasi inginocchiato sotto il grande peso. Come, pensò Gaio:
“io da solo dovrò portare questo paiolone di bronzo.”
Per ribellarsi all’ingiustizia dette fiato ad un raglio stizzito e prepotente.
La mattina era fresca e asciutta, una leggera brezza sferzava il settembrino, il padrone s’arrampicò a cassetta, con un paio di ooh!! Incitò l’asino a partire. Da Volterra ovunque tu voglia andare, devi andare all’ingiù. Cosi con quell’enorme peso sulle spalle Gaio s’incamminò. C’erano tutta una serie di curvacce ricavate in mezzo ai mattaioni, come sottofondo stradale, dovevi percorrere quei sassacci incastrati uno dopo l’altro, così che le ruote del carro saltellandoci sopra, trasformavano le cinghie del giogo in fruste che pungolavano continuamente la schiena di Gaio che continuava a pensare:
“Accidenti a questo paiolo sonante almeno strappasse le corde e ficcasse in queste forre di bianconi.”
Verso le Saline il sole era già alto, mentre il vetturino concordava con un contadino per il pranzo, l’asino sconquassato dalla fatica s’era messo a leccare una di quelle pozze bianche e cristalline che erano tanto saporite e nutrienti.
Dopo mangiato, il cammino era ripreso, quella campana sul barroccio era diventata ancora più pesante. Qualche problema s’era presentato al guado del Cecina. Coi garretti a mollo e gli zoccoli che scivolavano sui sassi, era stata un ‘impresa non da poco, portare il carico oltre il fiume.
Arrivati a Pomarance dopo la salita delle Macie, l’asino non capiva più niente, le gambe gli sembravano di legno, quasi non riusciva a piegare i ginocchi tanto era spossato dalla fatica. Ormai era sera fatta, attraversarono tutto il paese, una volta fuori della porta Orcolina, il vetturino si decise per dormire alla locanda La Burraia.
La mattina di buon’ora, riattaccato il carico infernale, Gaio e il vetturino ripresero la strada verso la loro méta. La strada che avevano davanti era breve, dopo la discesa verso il torrente Racquese, sotto il podere Pialla, Gaio aveva affrontato l’ultima fatica e ascesa la salita che passava davanti al podere Casataucci si ritrovò, accolto come un eroe, tra i frati Celestini all’interno del monastero di S. Michele.
La festa del santo protettore doveva essere l’indomani, quindi i Frati si misero subito al lavoro e scaricata la campana dal carro di Gaio, si prodigarono per issarla, tramite un’impalcatura, sui cardini della cella campanaria del campanile del monastero. Gaio guardava tutto quel viavai di tonache indaffarate, ma nessuno si curava delle sue fatiche e delle piaghe che aveva sul groppone, allora colto da un moto di disprezzo, rivolto alla campana emise un raglio prolungato e pensò:
“che tu possa cascare nel fosso prima possibile e che tu sprofondi fino all’inferno.”
La voce cristallina della campana in lontananza, giunse a Gaio quando un’ora dopo era già sulla strada del ritorno. Il giorno dopo era il 29 di Settembre, cadeva la dedicazione di S. Michele Arcangelo, la campana nuova della Badia cominciò a suonare di buon ora e suonò a festa tutto il giorno o quasi. I frati Celestini, tutti agghindati nel saio delle celebrazioni, erano felici ed orgogliosi. Ma nell’ora pomeridiana una inconsueta nuvola fece sbiadire il sole, una quantità prodigiosa di formiche con le ali, s’era posata sopra la campana, i frati che s’accorsero del fatto rimasero a guardare estasiati.
Il lavoro delle formiche fu veloce, più di quello dei frati e qualche ora dopo, divorata la traversa di castagno che sosteneva la campana, con un fragore assordante questa precipitò rovinosamente giù dal campanile, rotolò lungo le mura del monastero e continuò la sua corsa giù per la pendice del poggio e andò a schiantarsi contro un masso del torrente Racquese. Il masso, mirabilmente, fu trapassato dalla campana come se fosse fatto di burro e questa sprofondò, come inghiottita, nelle viscere della terra.
La Badia di S. Michele dopo quell’evento eccezionale fu ribattezzata “S. Michele delle formiche”. Così da quel tempo, tutti gli anni a fine Settembre le formiche con le ali tornano a S.Michele in grandi quantità, c’è chi dice alla ricerca della campana di bronzo che l’asino Gaio aveva trasportato lì con tanta fatica maledicendola.