Premio Racconti nella Rete 2011 “Il commissario Ingenti e l’ipocrisia” di Anna Bruni
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011Dario mi fuma in faccia, lo fa per mettermi a disagio.
Non lo sa, ma per la figura del perfido Cragnotti, il nemico numero uno del commissario Ingenti, ho preso ispirazione da lui.
Il vice questore aggiunto Italo Cragnotti è grasso e meschino, dotato di un’attitudine alla perfidia appena più marcata di quella del mio editore.
“Ce la fai?”, mi incalza Dario, mentre la sedia di design in pelle gialla scricchiola sotto il peso del suo pachidermico culo.
Intende, “ce la fai entro il 20 giugno?”, che poi sarebbe la data ultima per la consegna del manoscritto.
“Fidati cazzo!”, gli rispondo fingendomi indignato.
“Io però non ho ancora visto niente”, ribatte lui con il suo ghigno mellifluo.
Assomiglia a una iena ipotiroidea che si trastulla davanti alla sua carogna.
Se avessi a portata di mano un foglio qualunque, fosse anche l’ultimo dei clinex spiegazzati che mi ritrovo talvolta nelle tasche dei calzoni, mi spremerei le meningi fin tanto che il distillato giallastro del mio disgusto esistenziale potesse fluire fra i fitti rami delle mie arterie cerebrali per incanalarsi poi per i condotti venosi del collo. Da lì discenderebbe attraverso le tortuosità dei vasi sanguigni che, a dispetto di tutto, irrorano ancora stabilmente il mio braccio e sgorgherebbe fuori dai polpastrelli della mano schizzando via in cinque getti paglierini di spregio cosmico che renderebbero quel frustulo di carta un capolavoro agli occhi del mondo. Giallo, giallino, giallognolo, giallastro, fulvo, pagliato, paglierino, canarino, citrino, rancio: quanti aggettivi ci sono in giro per esprimere le qualità di un colore. Il colore che odio di più al mondo, peraltro.
Troppe canne, penso. O forse troppi Gin Lemon. A trent’anni suonati si diventa iperbolici, immancabilmente ti sembra che tutto ciò elucubri sotto l’effetto dello stordimento sia la tua idea più grande di sempre. Dovrei quanto meno ridurre.
È il mio problema in questo momento, mi sto arzigogolando troppo.
Quando ero un giovane universitario buttavo giù dalle dieci alle dodici pagine al giorno, ero un fulmine di guerra. Il mio libro d’esordio, “L’ego impuro”, l’ho scritto in sei mesi, editing incluso. Un libro di formazione che è passato completamente inosservato, è vero. Con il secondo romanzo però ho fatto il botto e da lì in avanti con la letteratura di genere ci ho sempre campato.
“Farinata al veleno”, il primo capitolo della saga del commissario Ingenti, l’ho terminato in meno di un anno. Poi, a seguire, “Ingenti: vincere o morire”, “La scommessa del commissario” e “Delitto a Monte Mario”.
Tutti grandi successi editoriali scritti a tempo di record.
Dopo di che, non so che cosa mi sia successo: la paura di non riuscire a essere originale, il terrore di raccontare cose che non gliene frega niente a nessuno. Fatto sta che mi sono incagliato.
Prima le parole mi uscivano direttamente dalla bocca: parlavo a voce alta e scrivevo, ero il redattore delle mie labbra. Adesso invece, qualunque tipo di ispirazione mi colga, ha preso il giro di passare per i vicoli tormentati della mia massa cerebrale e io non riesco più a scrivere niente che non mi annoi a morte. Figuriamoci i lettori.
Dario mi pressa, pressato a sua volte dal direttore editoriale: si aspettano tutti un altro episodio di successo della saga del commissario Ingenti. Io invece sono a un punto morto, ogni cosa che mi salta in mente è troppo complicata, non mi porta da nessuna parte.
Dario mi fissa quasi con compassione ma si aspetta che sia io a rassicurarlo.
“Un ipocrita”, questo sarebbe il titolo del romanzo che potrei immaginare di scrivere ora, su due piedi, interamente incentrato sulla non ragione di esistere del mio editore obeso e vizioso.
Forse venderei anche qualche copia, se soltanto trovassi un curatore coraggioso che ne infischiasse delle regole omertose del mondo letterario. Ma purtroppo al giorno d’oggi sono tutti uguali: bugiardi, ingordi, nemici del contenuto, attaccati al portafoglio come l’etichetta del prezzo al cellofan di una confezione di pere.
Allora ho imparato a mentire.
“Sai come sono fatto Dario… finché non quadra tutto, preferisco non farti vedere niente”.
“Non raccontarmi storie, Rocco”.
Cazzo, ma se sono qui per questo, brutto stronzo! Raccontare storie è il mio mestiere, se non ti dispiace.
Invece abbozzo.
“Ci vediamo la settimana prossima con qualcosa di pronto, OK?”
Dario mi fa sì con la testa, forse sono riuscito a fregarlo di nuovo.
“Poi però basta con i gialli…giuro che questo è l’ultimo!”, non resisto a precisargli.
Ecco che sgrana i suoi piccoli occhi da maiale di fattoria.
“Fare fuori il commissario Ingenti? Tu sei fuori di testa.”
“In un modo memorabile, te lo prometto!”
“Sul mio cadavere, Rocco, sul mio cadavere”, farfuglia.
L’ottusità di Dario mi ringalluzzisce, mi sento come Paul Sheldon che sta per far morire la sua Misery e che poi scrive il romanzo della vita.
Comunque non ho voglia di discutere, ho fretta di tornare a casa e di rimettermi subito al computer.
“Dimmi almeno il titolo!”
“Non lo so ancora.”
“Ecco! Lo sapevo che non hai neppure cominciato.”
“Ma che cavolo me lo chiedi a fare, che poi me li cambiate tutti i titoli?”
“Per avere un’idea di quello che stai scrivendo.”
Di nuovo quel suo ghigno ripugnante.
“Il commissario Ingenti e l’ipocrisia”, invento su due piedi.
“Mi stai pigliando per il culo?”
“Mi sembrava interessante…”, obietto piccato, come se lo pensassi veramente.
A volte sono davvero un campione di falsità.
“Chiamalo un po’ come ti pare, l’importante è che mi porti qualcosa.”
“Ciao Dario, stammi bene!”, taglio corto e intanto gli mollo una pacca sul braccio molliccio.
“A mercoledì allora”, mi fa lui quasi sbattendomi la porta in faccia.
Finalmente libero.
Ma il mio sollievo è labile come gli intrecci capziosi dei miei thriller, perché lo so bene che la libertà che ho appena riconquistato vale meno di una monetina da cinque cent.
Libero è vero, ma di fare cosa?
Libero di rinchiudermi in casa per un’intera settimana a escogitare, tra uno spinello e l’altro, colpi di scena senza capo né coda. Libero di non scrivere più niente che funzioni, niente che mi appartenga, niente che piacerà mai più a nessun lettore. Libero di non riuscire a terminare il quinto episodio della mia saga poliziesca entro il venti giugno e di dover chiedere una dannatissima proroga a quel pallone gonfiato di Dario. Lui si incazzerà, mi dirà che sono il solito irresponsabile e poi me la concederà, perché così vanno le cose.
Sono arrivato al bar sotto casa, prima di mettermi al PC è meglio che mi faccia un goccetto.
“Un Gin Lemon?”, mi grida da dietro il bancone il giovane barista che per caso è anche un mio fan appassionato.
Gli faccio cenno di sì con la testa.
È il drink preferito del commissario Ingenti, crede che lo trangugi per via dell’ispirazione, per questo me lo prepara sempre doppio.
Beh, se il mondo editoriale è tutto così siamo a cavallo…
Cara Anna, complimenti per la tua abilità nel saper padroneggiare con tanta efficacia registri stilistici tanto diversi e con la stessa efficacia e capacità di cogliere, e mostrarci, il nucleo pulsante delle storie. Davvero esilarante- e insieme desolante- questo brillante excursus sul mondo editoriale.