Premio Racconti nella Rete 2011 “Il tatuaggio” di Ugo Mauthe Degerfeld
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011E’ una casa nera.
Nere le pareti, fuori e dentro. Neri i mobili. Nere le tende.
Neri i legni e i metalli, neri i tessuti, neri gli specchi.
Nero il giardino e neri i petali di tutti i fiori. Nelle stanze la luce era nera, il suono del campanello era nero e quello del telefono anche.
Tutti i quadri alle pareti erano neri e quando ne toglievano uno l’impronta che rimaneva sulla parete era nera, più nera ancora.
Io non ci sono entrato ma è così.
E’ una casa nera. Era nera anche quando eravamo lì io e mio fratello.
La luce del giorno si fermava lì intorno. Bussava, aspettava e ciondolava avanti e indietro per tutte quelle ore e poi se ne andava.
Si dava il cambio con la luce della notte. Non credere che per lei fosse più facile. Era sempre troppa la luce e nemmeno le notti più buie, quelle senza nemmeno una stelle né una luna, erano buie abbastanza.
Il nero non è uguale al buio. Si assomigliano ma nel buio c’è una profondità che puoi esplorare, puoi vivere al buio e muoverti a tastoni ma la differenza più grande di tutte è che il buio lo puoi rompere con la luce.
Il nero, se lo illumini, diventa bianco di fuori ma resta nero dentro. Il nero non si lascia rompere e affermare a questo punto che non si lascia nemmeno corrompere sarebbe un piccolo virtuosismo ma non corrisponderebbe alla verità.
Il nero si lascia corrompere e te ne accorgi quando sfuma al grigio. Ma del grigio parliamo in un altro racconto, se proprio ne dobbiamo parlare.
Dov’eravamo rimasti? Ah, sì. E’ una casa nera.
Quando la porta si apriva non ne usciva nulla di quello che potresti immaginare, né una terrificante figura nera né una nuvola di fumo nero né un mantello nero vuoto sospeso a mezz’aria.
Ne usciva una donna. Bianca.
Non una donna di razza bianca. Mettiamola così. Ne usciva il bianco in forma di donna.
Biancobianco. Senza alcun sentore avorio, perla, tortora, ghiaccio. Niente, bianco puro.
Era un bel colpo d’occhio, lei bianca stagliata contro il nero senza dimensione della casa. Era una bella donna tutta bianca.
Chi passava di lì non poteva non guardarla. A parte che bianco e nero formano uno degli accostamenti cromatici più eleganti in assoluto, a parte questo vederli ti faceva venire in mente delle cose.
Per esempio che per molti il bianco e il nero sono i colori del lutto. Come a dire che ci sono due morti, una bianca e una nera, e due al di là, uno bianco e uno nero, ecco perché fino quando è esistito veniva spontaneo immaginare che il limbo fosse grigio, era la terra di nessuno fra due diverse visioni della morte, la bianca e la nera.
Non proprio terra di nessuno, terra di passaggio, ecco. Prima del nero, prima del bianco, non ci può essere che il grigio.
Un’altra cosa che ti veniva in mente guardando la donna bianca appena uscita dalla sua casa nera erano i collages. Lei sembrava un ritaglio, incollato solo per un lembo, al fondo nero, bastava un poco d’aria perché volasse via.
A volte invece il vento le alzava la gonna. Marilyn ? No, niente Marilyn. Lei aveva le gambe rosa, sì insomma, rosate, color carne. La donna bianca invece ha le gambe bianche. La forma è giusta, tornita, le proporzioni sono interessanti e se ha della peluria sa cosa fare perché il bianco è sempre perfetto.
Ho già detto che vederli ti faceva venire in mente delle cose. Diversi tipi di cose, certo, cosa credi ?
Pensa solo a quanto virginale è il bianco e a quanto è bello sporcarlo, magari di colori, magari
di rosso come facevano con le lenzuola una volta, giusto per dire che il bianco non era più bianco.
Ma lei così bianca e la casa così nera, non le viene il mal di testa ? Ma no che non le viene. Non è come quando ti metti in casa un mobile o un quadro o peggio una tappezzeria che uno dice guarda che dopo un mese ti stufa, per loro – la donna e la casa – è diverso. Mio fratello. Diceva e faceva tutto lui.
Intanto sono lì da una vita. Sembra che ci fossero prima di noi.
Non noi noi. Noi uomini. O cazzo, uomini e donne certo.
Prima di noi, sai che vuol dire ? Vuol dire che è molto antica, antichissima del resto non faccio fatica a immaginare che prima di ogni cosa ci fossero il bianco e il nero, il bianco degli dei il nero dello spazio da riempire.
La donna bianca cammina avanti e indietro sulla punta delle dita dei piedi nudi. Cammina giocando, mi capisci, gioca con se stessa, ha l’aria felice, a lei di vivere nella casa nera non importa nulla, il nero non la tocca.
Sai che ti dico, secondo me è lei che sporca il nero se soltanto lo sfiora. Lo annacqua, lo diluisce.
E se si mette d’impegno, lo scolora tutto e scopre cosa c’è sotto.
Altro nero! dici tu. Magari hai ragione, non so però. Dipende se si tratta di una materia nera o di un nero di sostanza. Se è di sostanza sotto c’è altro nero e allora lei non ce la fa, perché per quanto lo possa annacquare il nero tornerebbe sempre su, come una vernice indelebile.
Preferisco immaginarmelo di materia e non di sostanza.
Ci scommetti che quando rientra non la vedi più? Il nero la risucchia senza nemmeno un rumore,
e la porta che si chiude dietro di lei si chiude con un rumore nero. Però mio fratello aveva torto.
E’ una casa nera. Ma quando lei esce lo sembra di meno, lei non è luminosa, il suo bianco non dà luce però è bianco e nel bianco la luce è compresa nel prezzo, non ci fai nemmeno caso e questo è un peccato, non dovemmo darlo per scontato.
Senti, perché non ci avviciniamo, dai, solo un’occhiata, eh? che ne dici? magari la vediamo un poco meglio la donna bianca.
Ci siamo, proprio sotto la finestra. Visto, non era poi così difficile, una corsetta, un’occhiata
a destra una a sinistra un’altra corsetta. Alziamo un poco la testa, se si riesce a guardare dentro.
Io ci sono, e tu ? forza, dai qua che ti tiro su. Lllà, così vedi bene anche tu.
E’ una casa nera. Proprio nera. Questa finestra qui, per esempio, mai visto un vetro così nero, è così nero che sembra non esserci niente, neanche il vetro. Un buco. Un buco nero. Mio fratello leggeva molto.
Già e se la casa fosse un buco nero travestito? Te l’ho detto che mio fratello leggeva molto.
No eh ? Be’, che ne sai tu, magari sì invece. La mia idea vale quanto la tua.
Prova a battere sul vetro. Ok lo faccio io, adesso lo faccio, lo faccio ? guarda che lo faccio…no è meglio di no, non è che ho paura è che magari uno disturba, metti che la donna bianca stia riposando, a me romperebbe le palle uno che mi bussa alla finestra a quest’ora del pomeriggio, a proposito, ma che ora è ? Ah vabbè, è ancora presto, magari non riposa.
Senti facciamo il giro della casa, magari dietro è meglio.
Hai ragione, ci stiamo allargando troppo, però, dai, visto che siamo qui, che ci costa, al massimo chiediamo scusa, o scappiamo e poi senti, non facciamo niente di male.
Spiamo ? Eddai non esagerare, spiare spiare. Diamo un’occhiata, e poi l’hai vista com’è bianco a parte, è bel-lis-si-ma. Tu fai come vuoi, io vado.
Nero anche di qua. E’ una casa nera, lo è sempre stata, sai da quanto tempo è qui? Te l’ho già detto? Sei un conta balle, al massimo ne abbiamo parlato ma io non te l’ho già detto perché non lo so, l’ho sempre vista e anche papà e mamma mi hanno detto che è sempre stata qui, e ci sono fotografie, quadri, perfino foto di disegni fatti sulle rocce le hai viste anche tu al museo, che la mostrano, sempre qui, sempre uguale, sempre nera.
Poi papà e mamma l’hanno detto anche a me.
Non è strano, perché dovrebbe. Una casa nera c’è dappertutto, il mondo è disseminato di case nere, tutte come questa, ognuna abitata da una donna bianca che esce ogni giorno, fa due passi davanti alla casa poi torna dentro, fa parte della vita no?
In effetti hai ragione, non so cosa mi è preso, ma ho voglia di vedere dentro, no l’ho mai avuta questa voglia, mi è venuta così tutta d’un colpo, se non vuoi venire lascia perdere, vado da solo e tu mi aspetti qui, ok?
Ok.
Non ci fu niente di strano quando mio fratello entrò, anzi, sembrava che lo aspettassero, la casa e la donna.
Lui scavalcò il davanzale della grande finestra nera che dava sul giardino posteriore e semplicemente fu dentro, la donna emerse dal nero all’istante, sorridendo con i denti bianchi fra le labbra bianche, stese le braccia bianche verso mio fratello che la guardava, anche lì nel nero della casa quel bianco non rifulgeva la luce era data per scontata, la donna prese per mano mio fratello e si voltò, così vidi che sulla schiena aveva un tatuaggio, non si capiva mai se era nuda o vestita anche per questo mio fratello volle entrare, per vederla e certamente quello che vedeva gli piaceva perché si voltò anche lui sorridendo, e aveva i denti bianchi fra le labbra già bianche e anche il resto di lui stava scolorando verso il bianco, i suoi abiti, lo zaino, le scarpe fluorescenti, i capelli biondi, tutto, tutto si sbiancava poi non ricordo più nulla solo la voce della mamma che ci chiamava.
Il tatuaggio? Due grandi ali aperte. Nere. Forse.
Surreale e metafisico. Mi ha incuriosito. Molto originale
Grazie mille Raffaella! Questo ormai antico racconto languiva solo soletto, come hai fatto a scovarlo ?
Drammatico e kafkiano. Mi è piaciuto moltissimo Ugo…che siano colori o non-colori sei sempre bravissimo!
Gloria! Hai fatto ricerche archeologiche per trovare questo racconto, ti meriteresti un grazie solo per questo, ne aggiungo un altro per le belle parole. Grazie grazie 🙂