Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2011 “Giorni senza data” di Barbara Marchi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011

Aprii la terza anta dell’armadio (perché poi?) e vide che lì non aveva mai fatto il cambio di stagione, che senso aveva? In fila, i vestiti, quelli dell’estate, mischiati ai cappotti e ad una vecchia pelliccia di martora. Il primo cassetto era stracolmo di biancheria intima. Nel secondo alloggiavano invece maglioni invernali e capi primaverili; eccolo, il golfino rigato color panna con i bottoni di madreperla che tanto amava, e nell’ultimo cassetto giacevano indisturbati stralci di tempi diversi, trattenuti, si intestardiva a credere, dentro borse di varia fattura, la nera per andare a messa, quella blu che portava nelle sere di maggio. Mai state svuotate, mai più usate, come poteva?

Quando lei era entrata nel quindicesimo anno d’età, sua madre a quarant’anni era stata sepolta nel cimitero del paese natìo. Entrambe giovani, inesperte, impreparate. Assieme avevano chiesto più tempo, incitato i giorni a moltiplicarsi a dismisura, i mesi ad allungarsi senza posa, le notti a trafugare il sole per sempre. “Ti prego, non mi lasciare”, la scongiurava lei alla fine, quando non c’era più nulla da fare, “no, bambina mia, non ti lascerò mai”, e arrivò la morte a rubare la vita e la vita si lasciò spogliare di tutto, dopo innumerevoli secoli ciò nonostante incapace di vincere.

“Perché, perché mi hai abbandonato?” Le aveva chiesto con rabbia. “Ho bisogno di te, ti prego torna”, la implorava qualche volta ancora, oggi con addosso gli stessi anni, i suoi quarant’anni rubati, annullati, oggi che lei era nel pieno della vita, una donna matura. Accarezzò il maglione a righe; le donava con la gonna blu, quel maglione che portava con tanta grazia sua madre, il suo tutto. Era morta durante una sera di aprile, in campagna, all’improvviso, sull’asfalto prima di fare ritorno a casa. La vide da lontano e le corse incontro. “Mamma, mamma, che hai?!”, Le s’inginocchiò di fronte per trattenerla a sé sentendo che il corpo le cedeva come quello di un bambino nato prematuro. Ora la fine, immaginata soltanto, supposta più volte, le stava davanti come un guardiano a esigere il conto. Un infarto, disse il medico.

La sua carne che sapeva d’arancio, il suo alito caldo, la voce morbida, il seno che aveva stretto fra le labbra turgido, succhiato, morso, finito per perdercisi, con la testa abbandonata fra le sue curve, tutto di lei scaraventato lontano, distrutto disperso disfatto, dissolto, consumato. Le piccole mani ancora inesperte che nulla sapevano del mondo, la pelle bianca, leggermente arrossata in alcune sue parti testimoniava un abbozzo di una vita futura, sospesa fra l’essere e il non essere, incuneata nel corpo di sua madre, impaziente di penetrarla, d’essere sua, parte di lei, dentro di lei, inseparabile. Sentii un lembo del suo vestito a fiori sfiorarle il braccio, la sua voce che la chiamava da lontano. Tuffò il viso nella gonna di lana cercando invano il suo ventre, strinse a sé la camicia di seta, ancora sapeva di lei. Donna bambina insieme. Madre e figlia allo stesso tempo. Loro due.

Accanto alla gonna, inerte come un corpo morto, era appesa la mantella rossa, calda e morbida, lei la portava sempre nei giorni di ottobre fino all’inizio dell’inverno con un cappello un po’ ricercato che aveva dimenticato sull’autobus e mai più ritrovato. Infilò i guanti di pelle nera che trattenevano, come fossili preistorici, la sagoma delle sue dite, affusolate e nodose, ora intrecciate, confuse con le sue, piccole e magre. Si avvolse la mantella intorno al corpo con un unico gesto, semplice ed elegante, come faceva sua madre. Fu un abbraccio diverso da tutti gli altri, difficilmente ripetibile. La sera era bianca. Guardò il suo respiro fuggirle dalle labbra e corsero sotto la neve.

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1 commento »

  1. Quando con poche righe si riesce a trasmettere tanta tristezza, ma allo stesso tempo anche dolcezza, significa che si è stati testimoni , coinvolti in qualche modo, di quanto si racconta. Solo con questa pre condizione è possibile coinvolgere il lettore, raccontando un rapporto profondamente simbiotico tra persone che finchè sono state insieme erano indispensabili l’una all’altra. Bastano anche i soli indumenti, evocatori di sensazioni e ricordi ,a far rivivere tutto un mondo di affetti e di rimpianti.

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