Premio Racconti nella Rete 2011 “20 dicembre 2012” di Filippo Polenchi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 201120 dicembre 2012
“Be’, una cosa è sicura: fumo tutte le sigarette del mondo, perché…”.
“Questo è veramente il peggior gruppo di sostegno al quale abbia partecipato”.
“…è un po’ quello che succede nelle corsie degli ospedali tutti i giorni, no? La gente, semplicemente, non ce la fa più. Il tuo sistema”.
“…è proprio come riuscire a fumarsi una sigaretta dietro l’altra senza doversi disprezzare abbastanza perché i tuoi figli cresceranno senza una madre. È rassicurante, perché è la prima volta che faccio qualcosa che non sia finalizzata al pensiero dei miei figli. Prima c’erano lo sport, il calcetto, le lezioni di danza, la scherma due volte a settimane,”.
“È che il tuo sistema, semplicemente, dice: D’accordo, ora basta. Andate avanti voi, io mi arrendo. È la natura. Non è molto diverso, però è decisamente migliore. Non ho paura. Davvero. Non dovrebbe avercela nessuno di noi. Dovremmo essere tutti in una specie di euforia collettiva. Davvero, non capisco perché siamo tutti qui anziché starcene in qualche bar a sbatterci l’un l’altro contro il bancone o nei bagni e bere uno shot dietro l’altro”.
“,la palestra, le riunioni dei genitori, tutte quelle cose che una madre fa volentieri. Accidenti, non avrei espulso qualcosa di grosso come un cocomero da me stessa se non avessi ritenuto di essere in grado di fare tutte queste cose. Cioè, fa questo una madre, no?”
“Oggi vorrei raccontarvi una storia. Non è una storia, è un sogno. Nel sogno io ero un ricordo. Il ricordo di un tempo nel quale non ero altro che una nube radioattiva, trasportata dalle correnti del cosmo per galassie che nessuno aveva scoperto. C’era questa… vista di fronte a me, ossessivamente. Una specie di pannello nero, completamente nero. La cosa più impenetrabilmente nera che avessi mai visto…”
“Scusa, non sto ridendo di te o del tuo sogno. È che davvero… Davvero non capisco perché non siamo a festeggiare da qualche parte. Non vi sentite come l’aereo quando sta decollando, che c’è quell’euforia nell’aria e tutti sono ben consapevoli che i 10.000 metri di quota sono lì, a portata di mano e che, come dire, se cominci a cadere da 10.000 metri non ti resta molto da mettere in una bara, bara che per inciso non potrà essere più grande di un sacchetto di noccioline. Eppure tutti ridacchiano e pensano: Ormai è fatta. Non avete anche voi quell’euforia lì? No?”
“È questo il punto: da me stessa. È terribile. Davvero terribile. Mi sono privata di un pezzo di me, ho regalato un po’ di… Cos’è che ci facciamo tutti qui? Non pensavate anche voi che sarebbe andata in un altro modo?”
“Scusate, io non vorrei disturbare nessuno, non mentre sta per scoppiare lo show del Picchiatello che ci racconta il suo solito sogno epifanico, ma la cosa è grave. Chi si è fregato la mia sciarpa? Non fate gli stronzi, per favore, ne ho bisogno. Fa un freddo del cazzo là fuori e ho bisogno della mia sciarpa”.
“Non hai sofferto di depressione post-parto? Cioè, non è per offenderti cara, ma da quello che dici sembri proprio la candidata ideale”.
“La sciarpa, cazzo. È fatta come una sciarpa”.
“Mio figlio è a una festa all’università. Ho sentito che in città hanno organizzato centinaia di feste. Ogni pub o bar o bar sport o università o istituto o scuola o liceo ha organizzato la sua festa di Addio al Mondo. Non è macabro? Secondo me è macabro”.
“Davvero c’è una festa all’università? Ma che ci stiamo facendo qui? Cosa abbiamo da perdere? Ho come la sensazione… sì, ne sono sicuro: voglio farmi tutto quello che passa da qui. Non voglio semplicemente farmi una donna: voglio farmi qualunque cosa si muova. Avevo questo zio, no, che poi è morto. In punto di morte mi disse: il mio unico rimpianto è di non essermi fatto più donne, tutte le donne del mondo. Disse proprio così e voglio crederci e voglio proprio… Oh, ma insomma, che stiamo aspettando? Andiamocene da qui”.
“Non so se ho davvero paura. Cioè, sono terrorizzata, ma c’è qualcosa che mi conforta. Cioè… Non sta succedendo a me, giusto? Non soltanto a me, giusto? È come per il venerdì 17: tutti i superstiziosi fanno gli scongiuri perché hanno paura che la disgrazia colpisca loro. Se invece colpisse tutti quanti mica farebbero gli scongiuri, giusto?”
“Mi sento veramente solo. E il bello è che nessuno di voi mi ascolta”.
“Nel sogno il nero era punteggiato da queste vampe lontane e alcune erano più grandi di altre. Alcune di queste luci erano globulari, erano nebulose, anelli, detriti cosmici. Una ghirlanda che si muoveva, che andava sempre più in profondità, sempre più verso un riavvolgimento. Non so come dirla, ma era proprio un riavvolgimento. Il tempo tornava indietro man mano che andavo avanti, come i VHS che si riavvolgevano”.
“Là fuori è pieno di donne da farsi, mi volete sentire o no? Andiamo a uno dei tuoi party. Eddai! Sto parlando con te… Oh, fottetevi. Fottetevi tutti”.
“Penso che alla fine succederà questo domani. Il tempo, semplicemente, si riavvolgerà. Smetterà di andare in quella direzione e tornerà indietro e poi tutto ripartirà”.
“Allora, ho un annuncio: vorrei dire a chi mi ha fregato la sciarpa che può anche farsi fottere”.
Oh ma guarda, questi fanno un gruppo di sostegno per gente che ha paura della fine del mondo… ah ah ah i Catastrofisti anonimi…