Premio Racconti nella Rete 2011 “Storia semiseria di un frigo ribelle” di Giuseppina Zefi Parrini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011La mia è la famiglia dei ciccioni.
Ogni motivo è adatto per gettarsi sul cibo: ansie, tristezze, gioie e paure, ricorrenze da festeggiare e pericoli da affrontare; noie quotidiane ed eccitazioni saltuarie.
Non c’è più fame, non esiste più quel languore che prende allo stomaco e che annuncia che il tuo fisico ha bisogno di cibo.
C’è un continuo aprire bocca ed ingurgitare, qualsiasi cosa, dolce o salata, senza pensare, tanto per buttar giù.
‘Grasso è bello’ si dicono per giustificare un corpo deforme, che non riesce a muoversi, che prova difficoltà a fare cose banalissime come lavarsi, girare il busto per guardare dietro, accavallare le gambe.
Sempre accaldati, sudati, sempre ansimanti: una piccola corsetta è come scalare l’Everest, un piano di scale è come voler raggiungere il cielo.
Sempre affaticati e impacciati, sempre bofonchianti!
Non si tratta più di andare contro una moda che vuole tutti anoressici, si tratta di vivere una vita normale, affrontando serenamente tutto quello che una giornata di vita comune richiede.
Basterebbe mangiare se si ha fame e quando si ha fame, e se poi non si diventa scheletrici tanto meglio, ma almeno si vive.
Li guardo da lontano, ci separa una porta, che, lasciata semiaperta, mi permette di vederli sprofondati sul divano: due masse informi di lardo. Se ne stanno davanti alla televisione, appena arriva la pubblicità ecco che si mettono a fare la lista degli alimenti che le loro papille non hanno ancora gustato, ma chissà se poi tutti questi sapori non li hanno mandato in tilt il senso del gusto!
Lei si alza e viene presso di me.
No, non lo fare, non ne posso più di essere aperto e chiuso, di essere riempito e svuotato in un sol giorno.
Ho bisogno di tranquillità, ho bisogno di riposo!
Il mio predecessore è stato buttato via solo dopo due anni: si erano fulminati i circuiti elettrici per la temperatura troppo bassa necessaria a conservare tutte quelle vivande che conteneva e per il continuo mettersi in moto al fine di mantenere quei gradi così minimi.
Ed allora hanno preso me: un frigo all’americana, alto e grosso, color giallo, perché illumina e dà gioia, ma soprattutto perché può contenere molti più alimenti rispetto a quello di prima.
Scelta oculata, ritenevo all’inizio, mentre adesso la ritengo spropositata e disperata.
Ogni momento sento le loro sudaticce mani prendermi la maniglia e aprire, a volte mi guardano da cima a fondo per scegliere ciò che più li aggrada, altre volte allungano la mano e senza neanche guardare prendono la prima cosa che capita.
Non conosco altre famiglie. Noi frigoriferi veniamo acquistati una sola volta e siamo fortunati se viviamo fra gente equilibrata.
Posso solo immaginarmi la tristezza di chi capita con persone anoressiche. Sempre soli, sempre schivati, sempre vuoti.
Ma anche queste però…
Sono sempre pieno, trabocco.
Tornano da far la spesa e mi stivano come se dovessero difendersi da una carestia imminente.
Non mi svuotano mai.
Il mio freezer è ricco di qualsiasi cosa: pizze, patatine già tagliate, gelati, torte, buste di pasta, cornetti da mettere in forno ed essere pronti in pochi minuti; sì, perché è necessario che se viene una voglia sia subito soddisfatta, aspettare che la torta cuocia, e prima prepararla? Macchè, togliere dal frigo, infornare ed essere pronta in pochi secondi.
Povero fornetto microonde, mi sta di fronte, ci guardiamo e i nostri sguardi comunicano tristezza, a volte disperazione, per essere capitati in una famiglia che mai ci concede riposo.
Si alzano persino la notte e mangiano, mangiano, mangiano…
Hanno stravolto il vero valore del cibo: vivono per mangiare.
Eppure li ritengo persone intelligenti e affermate: lui è architetto, lei insegnante, il figlio sta frequentando il liceo con buonissimi risultati.
Ma allora perché ?!…
Non c’è solo la fame alla base, perché quando hai mangiato questa ti passa e non puoi continuare a buttar giù, perché rischi di sentirti male.
Non ci sono disfunzioni ormonali, perché questi mangiano sul serio e non è come in certi casi si dice che anche un bicchier d’acqua li fa ingrassare.
Perché, allora ?!…
Secondo me questi avrebbero bisogno di un bravo psicoterapeuta che li curasse, che curasse questo meccanismo capovolto che è avvenuto nel loro cervello.
Quel povero ragazzo, un po’ per ereditarietà dei caratteri, un po’ per educazione e modo di vivere, sta negandosi una vita normale.
Lei è sempre derisa dai suoi studenti, chiamata Moby, entra in classe e sprofonda in quella sedia che cigola ogni volta che sente la massa del suo corpo, e che prima o poi si schianterà sotto il suo peso.
Lui è forse il meno disgraziato, chiuso nel suo studio, disegna e progetta, ma non farlo andare in qualche appartamento al terzo piano senza ascensore, perché già al secondo è paonazzo.
Qui è necessario un rimedio, di quelli drastici, che faccia capire che non è questa la vita.
La notte è trascorsa tranquilla, per fortuna, dalle tapparelle sta entrando la luce del mattino.
Sento che qualcuno si sta alzando.
Io sto sempre sonnecchiando, non sono stato aperto per un po’ di tempo e la mia temperatura si è mantenuta piuttosto bassa, è una di quelle notti in cui c’è stato poco lavoro ed ho riposato in pace.
Ma eccola in cucina, mette la caffettiera sul fuoco e allunga la mano verso me.
Ho dormito così bene, stanotte, che stamani mi sento una cella frigorifera, forte e possente, nessuno oggi mi smuoverà, sono stufo di voi, sono stufo di essere complice della rovina della vostra vita.
Stamattina mi diverto io!
La sua mano afferra la mia maniglia: mi blocco, lei tira, io resisto, lei tira ancora, io mi faccio forte, ma così forte che lei tirando con grande energia stacca la maniglia.
Dal vigore che aveva impiegato per tirare è rotolata all’indietro, proprio sotto il forno microonde che mi guarda stupito e ride.
“Ah, caro” urla ed io mi diverto da impazzire.
Mentre rotola in terra come una palla e non riesce più ad alzarsi, chiede aiuto. Ed ecco che il marito accorre, premuroso come sempre.
“Stella mia, cosa succede?” e la vede spiaccicata come un pezzo di pasta cruda lievitata che si appiccica da una parte all’altra.
“Oh, caro, tirami su; il frigo, la maniglia… oh, che disastro!”
Lui pronto le prende le mani e… issa… non ce la fa, riprova, ma è impossibile: lei è pesante, lui impacciato nei movimenti.
Poveretti!
Il fornetto microonde ed io adesso non ridiamo più, questa situazione non è più divertente. Vederli così ridotti, lei in terra, lui impossibilitato nell’aiutarla, mi riempie di tristezza.
Per fortuna è giunto anche il figlio, che solleva la madre da dietro, prendendola sotto le braccia, mentre il padre la tiene per le mani.
Lei si siede e si mette a piangere, non so se è disperata per colpa della maniglia che non le permetterà di aprire il frigo o perché, mortificata dall’accaduto, si rende conto che in quel modo non può più andare avanti.
“Stella mia, le dice il marito, non preoccuparti, faremo aggiustare il frigo, non è successo niente di grave!”
Ma lei sa che quella è una di quelle mattine che annunciano che la giornata non promette niente di buono, è un presagio che avverte nel profondo della sua anima e prega perché arrivi presto sera, non vorrebbe uscire di casa, vorrebbe tenere tutta la famiglia lì, con sé, per proteggerla da chissà quale cataclisma, ma sa che non può farlo ed ha paura, vorrebbe affogare questa paura in un buon cornetto alla crema, ma il frigo non si apre.
Dannato frigo, stamani l’hai combinata grossa!
La colazione, prima di uscire, si risolve con solo pane e marmellata. Stamani niente uova, né formaggio, né yogurt, né latte… solo pane e marmellata, magari qualche biscotto con una tazza di tè.
“Sembra di essere a dieta” dice il marito per spezzare quell’ aria di tensione che si è creata, ma lei stamani non ha voglia di ridere. E’ triste, ma non solo per la misera colazione, ma per quell’ansia che le si è insinuata dentro.
“Caro, non andiamo a lavorare, oggi, stiamo in casa.” Gli dice tutto d’un fiato.
“Ma, stella mia, cosa dici, abbiamo così tanti impegni: tu, i tuoi studenti; io devo visitare un piccolo appartamento che ha bisogno di essere sistemato per una giovane coppia che deve sposarsi.
Sapessi che carini, quei ragazzi…” le dice sperando di intenerirla con qualche romanticheria, ma lei non reagisce al messaggio.
“A quale piano si trova l’appartamento?” gli chiede a bruciapelo.
“Perché, stella mia, mi chiedi questo? Sono cose di cui non ti sei mai occupata?!”
“A che piano?!” insiste.
“Al quarto.” Le risponde con voce sommessa.
“Non andare, ti prego.” Ma più che una preghiera sembra un ordine.
“Ma, stella mia, cosa ti prende stamani?”
Lei è sempre più ferma nelle sue convinzioni, ma lui non vuol cedere a quello che sembra solo un capriccio.
Intanto il figlio è uscito per andare a scuola, lui si sta preparando in bagno e lei sprofonda nel divano.
Si sente stupida, ma continua ad avere paura.
Il marito la raggiunge, le prende la mano e la alza:
“Dai, preparati, stamani ti accompagno io al lavoro.”
Lei ubbidisce, controvoglia, ma lo fa. Si sente un po’ stupida ad aver pensato brutte cose, ma è tutta colpa di quel ribelle frigo.
Li vedo uscire, si chiudono la porta alle spalle e lasciano sola la casa.
Guardo il forno microonde con fare sornione, forse qualcosa da stamani è cambiato, forse riusciranno a capire che così non si può più andare avanti.
Devono mangiare meno, devono uscire a fare qualche passeggiata, devono distrarsi e non tuffarsi per ogni motivo nel cibo.
Devono trovare equilibrio, non possono stare sempre davanti alla televisione, quando hanno un po’ di tempo libero, ne va della loro salute.
La mattina trascorre tranquilla, è sempre così quando in casa non c’è nessuno, poco lavoro, molto riposo.
Ma eccola che rientra, è sempre lei a rincasare per prima, lui spesso si intrattiene fuori e torna la sera.
La vedo con sacchetti della spesa, la sento affannata, avverto una certa stanchezza nei suoi movimenti.
Mi si blocca davanti, mi scruta.
“Cosa credi che oggi digiunerò solo perché non ti apri?!
Mangerò ugualmente e più di ieri.”
Sembra quasi voglia sfidarmi, sembra una lotta fra lei e me.
Mi tratta come se fossi un suo nemico, in effetti lo sono, le ho causato un’obesità disperata, ma io sono inerme, solo lei agisce, anche se stamani l’azione l’ho fatta io.
Apparecchia per sé e per suo figlio, imbandisce la tavola come fosse il Cenone di San Silvestro.
Cosa mi vuol dimostrare? Sta solo affermando la sua ottusità mentale nel non capire che tutto questo è pericoloso per lei e per la sua famiglia.
Si siedono a tavola e cominciano a mangiare e a non fermarsi fino a che squilla il telefono.
Anche alzarsi dalla sedia è faticoso, tutto è faticoso avendo quella mole di corpo da sostenere e spostare.
“Mamma, mamma, presto, papà… papà…”
Lei sbianca in viso, il sangue le si è raggelato nelle vene, non ha la forza di parlare.
“Papà è in ospedale, ha avuto un infarto!”
Ed ecco che corrono fuori di casa per raggiungere il loro caro.
Un turbinio di pensieri rimbalzano nella mente di lei, quel presagio, si dice, quel presagio e quelle scale, quattro piani, maledette scale.
Non dovevano uscire di casa, dovevano starsene tranquilli, quel giorno, e invece…
In ospedale quel pover’uomo è in un letto che a malapena lo contiene, una serie di tubicini lo tengono collegato ad un apparecchio che registra il battito del suo cuore.
Non deve vedere nessuno, non deve parlare con nessuno, dice il dottore e lei guarda il suo caro così ridotto dal vetro della porta.
Il medico le spiega che il suo cuore ha subito degli sforzi, ma che la causa di tutto è quel peso spropositato che deve costantemente portarsi appresso.
E’ necessario dimagrire! Ed anche per lei è necessario, anzi indispensabile, vitale, ne va della vita.
In questi giorni nessuno si è occupato di me, la maniglia è sempre rotta e da quella mattina non mi hanno più aperto.
Ho dentro una lista di formaggi che mandano un odore nauseante e chissà quanti altri alimenti si stanno avariando e dovranno essere buttati via.
Il mio olfatto sta entrando in crisi, le mie pareti fanno una condensa verdognola e certi cibi si stanno fondendo con i ripiani su cui sono appoggiati.
Essere aperti e svuotati in continuazione era drammatico, ma questa situazione si sta facendo veramente insostenibile.
Chissà quando quel poveraccio che mi aggiusterà schiuderà le porte del fetore… Che vergogna!
E’ trascorso un mese, sono stato aperto, svuotato completamente e ripulito con un detersivo a base d’aceto che ha portato via tutti quei disgustosi odori.
Sembro un altro, sembro nuovo.
Lui è tornato a casa. Sta molto meglio, ma il medico gli ha ordinato di fare una vita diversa: pasti regolari e cibi sani, lunghe passeggiate e nessuno sforzo.
In fondo è quello che volevo, ho fatto tutto quel chiasso, quella mattina, perché accadesse questo e adesso che si sta avverando sono proprio fiero di me.
Ho vinto, ma hanno vinto anche loro!
Tornano da fare la spesa e sistemano dentro di me salutare verdura, poca carne, niente salsicce, salami e grassi formaggi, niente torte alla crema e bignè strapieni di cioccolata, niente bibite gassate e sciroppose. Solo cibi sani e mangiano regolarmente e quando prende loro qualche noia o agitazione o disperazione escono e camminano nella lunga, grande e verde pineta vicino casa.
Hanno riassaporato la bellezza e la pace della natura, ascoltano il canto degli uccelli, lei coglie i fiori nei prati, lui la osserva diventare ogni giorno più bella.
Il loro colorito si sta facendo più roseo, i loro capelli più brillanti, la loro sagoma più aggraziata.
Hanno scoperto di essere felici anche così, senza abbuffate; si sono sempre amati, ma adesso si amano di più, combattono insieme un modo di vivere che li stava prima deformando per poi annientarli.
Si guardano e si scoprono ogni giorno più belli e si stanno innamorando di nuovo l’uno dell’altra, come la prima volta che si sono incontrati.
Si sentono forti insieme, perché se a volte lei piange c’è lui a consolarla e se capita a lui qualche cedimento ecco che lei lo sostiene con tutte le sue forze.
Finalmente hanno capito cos’è che conta, grazie alla paura adesso si stanno incamminando sulla strada della vera felicità, insieme, per sempre.
Sono passati due anni, io sono sempre funzionante, grazie al tranquillo lavoro che devo svolgere, ma soprattutto per non essere stato sottoposto a esagerati affaticamenti.
Adesso tutto funziona meglio, in questa casa, la vita in generale è migliorata, per tutti.
E’ domenica mattina lei entra in cucina e la scopro sexy, indossa un pigiama di seta color champagne, ha i capelli un po’ arruffati e l’aria felice, si piace.
Entra lui, canotta e boxer, irriconoscibile.
Si guardano e i loro sguardi tradiscono i loro pensieri: si attraggono da impazzire, si desiderano come mai era successo da anni, quando le loro masse non permettevano loro neppure di abbracciarsi.
Hanno perso centocinquanta chili in due e non si riconoscono più.
Non ci sono più derisioni a scuola, non ci sono più affanni al lavoro, negli altri adesso c’è semmai stupore, c’è compiacimento e per loro c’è un orgoglio ed una gioia infiniti.
Adesso girano lo sguardo verso di me, sembra quasi che desiderino ringraziarmi, tutto è iniziato quella mattina che non mi sono aperto e da lì è cominciato un cammino indirizzato verso obiettivi diversi.
La complicità di questo momento è interrotta dal figlio che entra di corsa: “Sono in ritardo per la partita di tennis, devo sbrigarmi!”
Beve un succo d’arancia, mangia due fette biscottate con un po’ di miele e scappa via.
La madre lo guarda fiera, quella tuta bianca e azzurra, che gli ha comprato, gli sta a pennello e le telefonate delle compagne di scuola si fanno sempre più innumerevoli. Lo segue con gli occhi mentre esce di casa, saltellando leggero, anche lui contento di sé.
Si volta verso il marito e dice:
“Sono felice, come non lo sono mai stata in vita mia e mi sento bene in questa pelle che non scappa più via di qui e di là.
Ti amo!”
Lui l’abbraccia forte, hanno ritrovato l’amore, ma un amore vivo, vero, non più stanco e ansimante.
Hanno ritrovato la vita… ed io insieme a loro.
Molto simpatica l’idea di adottare il punto di vista del frigo! Brava!