Premio Racconti nella Rete 2011 “Massi” di Mark Ford
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011Non avresti mai creduto possibile che un paio di mani così potessero suonare. Una corporatura robusta giustificava un paio di grandi appendici innervate, sgraziate per come sembravano intagliate nel legno, martoriate dall’ansia di chi si mangia le unghie. Rami duri, tegghi…ma non troppo. Le nocche nodose rubavano lo sguardo a un dorso gentile, una pelle che si intuiva morbida, confortevole. Tuttavia a guardarle si sarebbe sorriso di scherno sentendosi dire che Massi suonava la chitarra. L’idea che un portuale, uno che con le membra fa tutto meno che ricamare scale, potesse far vibrare delle corde, sembrava un’eresia. La nuova Strato di Massi non vibrava, infatti. Cantava proprio.
La prima volta che lo conobbi fu l’ennesimo ubriaco perso che si infilava nel Mocambo. Non ho mai più visto nessuno irrompere in una jam session con chitarra, whiskey ( bottiglia intera ) e amplificatore. E canottiera.
Di Gennaio.
Si comportò da buzzurro alcolizzato fuori di testa e di controllo. A tanti fece un impressione orribile; io pensai “spero di non finire così”. In seguito capii perchè non ci sarei mai potuto finire.
Aveva una chitarra blu cobalto, lavorata da un unico asse di legno, piena di adesivi e rattoppi, sgraffi e tagli, che in quel caso urlò rozzamente e mise a disagio e/o in imbarazzo ogni buco di culo presente. Massimiliano è sempre stato sincero solo tramite la sua musica, almeno per quanto ne sappia io. E la sua musica parlava di un disadattato che si sentiva un miserabile, quando era abbastanza in se da potersi sentire qualcosa. A dispetto di quella sera penosa i suoi amici che non vedeva da anni furono pazienti, comprensivi. Non viene buttato fuori dal Mocambo e Marco inizia a sgocciolare sul filo del sussurro la storia di questo suo bizzarro, caro amico, come se bastasse a giustificarlo. E bastava.
Sentirsi messo all’angolo, all’indice anche, sentirsi fuori luogo e colpevole della sola colpa di esistere è una sensazione che in molti Diovolendo non proveranno mai. Sminuzzarla nelle singole “negatività” che la compongono e provarne almeno una è una esperienza già più probabile. A chi piace? Come se ne esce?…con la “ratio”, pensando che quel momento “no” tale è: appunto, un momento. Domani, tra un minuto, finirà.
Altrimenti basta, ancora più banalmente soppesare cosa uno ha di “bello” ora, nello stesso momento in cui ci attanaglia quel qualcosa di “brutto”. O cosa abbiamo avuto di bello, o le magnifiche sorti e progressive che ci aspettano. E armarci di pazienza…forse anche rassegnazione. Sul lato “bianco” della bilancia Massi poteva mettere sua nonna. La madre di sua madre lo aveva cresciuto, gli aveva voluto bene. L’unica di cui poteva dirsene certo. Al secondo posto poteva mettere il fiore all’occhiello di un album coi suoi “Barrios”. Festeggiato prontamente con una puttana. Niente terzo gradino del podio.
Massi stava male. Era appena tornato dal Messico dopo un soggiorno da incubo, carcere incluso. Lui diceva di aver gestito un villaggio vacanze con una tipa americana. E di aver intrattenuto i clienti dei loro bungalows esibendosi in amplessi con questa lady, previo pagamento. In un altra occasione avrebbe aggiunto alle amenità del suo periodo messicano una bella dipendenza da crack; confessione non richiesta, messa li per darsi un tono, alla maniera di un misero sbandato. Amici che lo avevano incocciato per caso laggiù poi raccontano di cani da combattimento e di una cantina sudicia e promiscua in cui Massimiliano li e si doppava con steroidi e chissà cos’altro: uno schizzo al cane, uno al bastardo.
In quei giorni partecipare ad una jam era un terno al Lotto: capiterà Massi o no? Dalla risposta dipendeva se avresti fatto una figura di merda mista ad altre miserevoli scene o meno. A quella del Corvette si era infilato dritto sotto i riflettori bandana calata quasi sugli occhi, la mannaia blu in mano in cerca di un ampli. Vedere Me e Claudio sul palco per fare i nostri miseri due pezzi bastava come autorizzazione, ne noi ci aspettavamo che ci chiedesse nessuna forma di permesso. E per fortuna aveva suonato decentemente. Un altra volta Marco, lo zigomo gonfio, raccontava di come Massi si era presentato alla Banjia completamente ubriaco, vomitandosi addosso, e lo aveva colpito. Nelle sue parole nessuna rabbia, ma delusione. Nemmeno più la scusa del palco aveva per stravolgersi, alcool o droghe che fossero. Forse non l’aveva mai avuta. Poco dopo era ripartito, con grande sollievo di molti, questa volta per l’Inghilterra, con una sua ex, che tanto ex poi non doveva essere. Prima però aveva tenuto una serata al Black Russian. Non male. Era tranquillo quel pomeriggio, almeno tranquillo quanto basta. Se c’è qualcosa che non mente nel radiografare uno spirito questa è la musica che produce.
Da quella sera lo vidi in un’altra luce. La sua musica mi aveva instillato il dubbio. Ero sicuro che fosse un tossico e basta?
Marco passò a me e a Claudio l’album, il famigerato album dei Barrios.
Bello. Mi piacque. Magari non con tutti i suoni a posto ( seppi poi che di questo Massimiliano se ne lamentava ) ma… musica piena, ricca.
l’idillio inglese finì, ed il nostro tornò tra noi. Lo rividi ad una serata dei Vortex Class di Marco al Flannery’s. “Ma davvero Claudio?!?” “si Andrea…” “No dai…davvero durante il sound check è arrivato e si è calato i pantaloni??”. Il tempo di adocchiare un’amica della Marianna e Tac! Le cronache dicono che fosse venuta per “valutare” Arturo, il bassista. Massimiliano era così, la sua immagine di duro-finto/duro-piacente/musicista-con-problemi attirava le donne come il miele gli orsi. Orsi Femmina. Purtroppo quelle che vidi personalmente buttarsi su Massi erano della categoria “disperate”. O pazze, o troie, o…o…o. O forse sbaglio nel trarre giudizi da pochi sguardi e ancor meno parole. Per quanto possa saperne io che con lui ho avuto un rapporto breve e del tutto musicale (anche per codardia o ipocrisia, lo ammetto), da ogni storia che finiva ne usciva peggio, più esaurito e rotto di prima. E così via, senza posa, in un circolo disgraziato. Già. Per Massi le donne sembravano essere una disgrazia, soprattutto foriere di essa, a partire dalla prima. La madre di Massimiliano era tossicodipendente. Non lo aveva praticamente mai cagato, forse neppure ne era in grado. Battona, tossica e, credo, spacciatrice. E il padre? Boh?!
Lui racconta che sua nonna, ovvero la madre di lei, la vera mamma per Massi, li aveva beccati a scopare insieme. Madre e figlio. Lo aveva raccontato di sfuggita, quasi facendo finta di nulla, dopo una performance delle sue alla jam del Birdline. A guisa di finale di un lunghissimo blues “parlato” da incubo, io all’armonica che facevo finta di non esistere, concluse annunciando -“Mi ma’ è morta. Finalmente”-. Finalmente . Quel giorno? Prima ancora? Chi lo sa per certo. Misi da parte lo sbigottimento in me per scusarmi con praticamente tutti i presenti che mi offrivano almeno uno sguardo, appena sceso da quel palco. Erano, eravamo tutti in un disagio folle. Al batterista della house band, “Cappello”, era successa da poco la stessa cosa. Aveva gli occhi lucidi, attonito. Inutile tentare di spiegargli alcunchè. Guidai al ritorno con l’ennesima sbandata che gli teneva il cazzo in mano sui sedili posteriori.
Altre volte – se prima o dopo l’episodio del Birdline non lo ricordo più, e forse nemmeno importa – il Nostro veniva al Calabro per sentire me Marco e Claudio e poi jammare. Apprezzava il mio modo di soffiare in quelle armoniche del cavolo ed io mi chiedevo quanto dell’alcool c’era in quei complimenti. Mi aveva coinvolto in una registrazione. Un demo per un talent scout, tutto pagato. Al telefono mille parole per mettermi a mio agio e caricarmi.
Entro in sala da Pietro
-“salve”: Anacleto Orlandi.
Se già avevo timori per il materiale di Massi -non facile per un armonicista, specialmente un “rookie”: strutture libere, progressioni non standard, cambi delle armonie secondo il vezzo e l’umore, improvvisazione continua-, ora avevo proprio il culo a spillo. Era la prima volta che suonavo con un professionista. Com’è che Anacleto, un professionista appunto, veniva a registrare senza tanti problemi, un demaccio, anzi, la sinopia di un demo?? Mi si aprirono definitivamente gli occhi. Anacleto, un musicista vero, aveva rispetto della musica di Massimiliano, era li perchè in essa ci credeva. Iniziai a crederci anche io. Per me il rispetto verso la musica di qualcuno diventa rispetto automatico anche per la persona stessa: il talento è dimostrazione di valore indiscutibile, assoluta, una stella polare verso la quale ho sempre provato un irresistibile attrazione. Che l’individuo in questione sia o no probo non mi interessa; la vita è troppo breve per non provare l’ebrezza di volare, e chi ha un talento possiede ali e motore.
Almeno finchè i casini privati non invadono tutto e ti mandano in malora. Se Muddy ha 13 figli una moglie e 4 amanti giudicherà il Signore; a me basta che continui a suonare. Finchè i bit in decompressione sussurrano alle cuffie “she’s 19th years old, she got WAyyyss just like a baby chiiiild” io mi bagno, quindi va tutto bene.
Ascoltai meglio l’album dei Barrios. “sei fatto, sei fatto! cotto, da mette’ a letto!” “suor Germanaa -è un falso un falso!-suor Germanaa -è un falsoooo!”. Troppo forte. Una delle poche volte in Italia in cui le idee in un album sono migliori della loro realizzazione. Sembra una riflessione banale e sottilmente offensiva: probabilmente lo è, non posso nascondere la mia gobba astiosa dietro una foglia di prosa, ma, MA chi è abituato ad essere intronato nelle palestre, nei supermercati, nei bar, nei pubs più variegati, tra poco anche in fila alle poste dalla musica dei mirabili artisti italiani contemporanei, sa di che parlo.
Un temerario barista che si azzardi a mettere “minuetto”, Mia Martini, persino Vianello e la sua “Abbronzatissima” storpiata con ingegno da quelli della Vodafone, da l’effetto di una tragica ventata d’aria fresca, rispetto alla merda che gira ormai da anni per radio.
Provate a sollevare un bilancere con Ligabue (ma Madonna ed i suoi epigoni d’oltreconfine sortiscono quasi lo stesso effetto): 20kg x parte+400 kg di coglioni. Elevati alla n.
In quell’album c’erano, e continueranno ad esserci, tormentoni già pronti per l’etere, efficaci e divertenti. Dietro quei versi che farebbero la felicità di un DJ controcorrente, c’era anche un inestinguibile orrore. La pena di vivere una vita agra fatta di calci in culo e lavoro duro, deformante nello spirito e nel fisico, che ti consuma…e nemmeno a poco a poco. Il Giorno in cantiere a sfinire il corpo e prostrare l’anima, la sera a stordirsi. Alcool alcool alcool in tutte le salse e gradazioni, senza senso e senza esclusione di combinazioni: come viene viene, basta che viene. Poi altro; cocaina, eroina, crack, Roipnol e chi più ne ha faccia un prezzo.
Col tempo si fa il callo a vedere tutti quei ragazzi che di tanto in tanto vengono giù come con la piena per le strade a vendere sciocchezze autoprodotte nei centri di recupero. Ti fermano con un misto di aggressività e miseria: “che cazzo ci faccio qui? Sono sprecato qui costretto a…” gli si può leggere in fronte; un “NO” maiuscolo e ti becchi pure gli insulti. Vogliono rispetto: e se lo meriterebbero, se solo la disperazione in quella pretesa non mettesse a disagio come chi dimostra di non aver ancora capito bene perchè è finito con delle sfera da quattro soldi in mezzo ad una strada. O forse lo sa meglio di chiunque altro, e perciò gli girano. Sotto casa mia uno di questi ragazzi mi fermò con un banale pretesto. Lo guardai negli occhi di sottecchio (non riesco quasi mai guardare negli occhi in queste occasioni) -l’umiltà come la luna sul mare nero di notte.
Ridevano i suoi, lui pure; era allegro, felice di tornare a casa. Mi ritrovai con una penna (esaurita) in mano e 5mila lire in meno. La pietà è un panno caldo capace di far danni proprio dove fa male, proprio dove non serve. Dignità, rispetto…solidarità, compassione, amore, amicizia, comprensione…
Con Massi era tutto molto più semplice: la pietà non arrivava nemmeno alla soglia. Non c’era bisogno che ti facesse fare una figura di merda o altro; anche a mente fredda la rabbia si affacciava pensando a come si buttava via: se stesso ed il suo talento.
L’amaro procurato dalla consapevolezza, nel vederlo la mattina al lavoro dopo una notte brava, lucido e presente, che lui non voleva essere recuperato, o meglio, non ne aveva bisogno, era simile ad un sottile dolore intercostale. La sua tempra gli consentiva, almeno fino agli ultimi tempi, di trovare facilmente un lavoro e mantenerlo. Massimiliano voleva solo che lo si lasciasse finire la sua caduta libera. Ed anzi, chiudeva pure le braccia, per acquisire ulteriore velocità. Nel rivederlo sereno poco tempo dopo, dunque, mi stupii.
Col Blues si stava “riabilitando”. Il Blues lo stava guarendo -così mi pareva, almeno. Mi racconta che non lo aveva capito, il Blues, finchè in cella alcuni messicani non lo avevano introdotto al mondo di 1a-4a\1a-5a, quello di Howlin’ Wolf. Il Blues, la musica del diavolo, lo stava curando. Questo è quello che pensavo. Era riapparso con una gran voglia di registrare le sue cose, una stratocaster nuova, la chiarezza nelle idee sui suoni di chi vedeva con una nuova lucidità. Credevo che il Blues gli stesse iniettando nuova linfa. Camminare sul sentiero fangoso dove un giorno Robert Johnson si inginocchiò sfinito pregando il Signore, le terga al Diavolo e gli occhi a Dio, lo avrebbe rigenerato, mi dicevo. Non era vero. A posteriori seppi di nuove bravate nel pisano in una jam di amici, Marco che tornava a confessare fresche confidenze di Massi sul “menage” con Lucia, la sua ultima ragazza, il suo ultimo rottame. Ormai aveva mollato. Posto che avesse mai messo l’ancora da qualche parte. Il mare di chi ha subito una ferita nell’età dell’innocenza è peggiore di uno Stige in fiamme. E’ una ferita che non si riemargina mai, ed il dolore sanguina senza posa, quando più quando meno, per tutta la vita. Il dubbio di essere sempre e soltanto usato, come una luna molesta foriera di maree violente, porta con se il timore di un’altro abbandono. Così finisci per non fidarti e non legarti più a nessuno, finisci ad aspettarti immancabilmente il peggio…ed anzi a provocarlo, se il tuo modo di esistere da se non bastasse, tanto per potersi dire “…ecco, hai visto che avevo ragione io?!? Che ti dicevo??”.
Il Se odierno, l’adulto quarantenne, ed il Se andato, il fantasma di un bambino dall’infanzia disgraziata; un bambino abbandonato. Il bicchiere d’acqua in cui tutti vedevano affondare Massimiliano era sempre in tempesta. Era li, un misero bicchierino da liquore, a un passo. Ma quel passo Massi lo riservava solo a chi aveva il dono di rafforzare la sua tempesta personale, sommando inferno ad inferno.
Lucia era una perfetta “Bonnie”. Libera quanto basta per avere un lavoro e mantenersi, matura tanto da non perderlo e anzi per sceglierne uno impegnativo come responsabile di un agenzia immobiliare, con le palle tanto da poter crescere un figlio. E vivere una seconda vita da tossicomane. I due a confidenza di Massi avevano i loro spacciatori sia a Firenze che a Viareggio: contatti fissi, droga certa, felicità assicurata. Ormeggi rotti ed acqua nella stiva.
Quel venerdì era stata bella musica in riva al Massaciuccoli. Un’altra idea di demo da registrare. Ottime prove, Massi attentissimo ai suoni, Roberto alla batteria eccellente, Enrico tondo tondo al basso, io ai graffi. E il Nostro sopra tutti , come un tuono. Un tuono voluto però, non disperato e impaurito -una folgore metallica omogenea, congruente, cercata. Mi divertii molto, come da tempo non mi succedeva. Ci saremmo rivisti al solito posto, in una sera infrasettimanale: ancora più divertente. Quando lanci un funk semplice, libera improvvisazione, e vai avanti 15 minuti senza stancarti, la batteria a comandare frasi e dinamiche beh… Hai trovato la “combo” giusta. Era l’ultima volta che vedevo Massimiliano. Mi colpì il suo volto mentre suonava. Sorrideva sornione come chi è sull’onda che porta fino a Saturno in prima classe: gli occhi socchiusi i muscoli del volto rilassati e un accenno di soddisfazione sulla bocca. Sorrideva! Non l’avevo mai visto sulla cresta della sua musica: sempre a remare sui frangenti o a finirci sotto. Questa volta era sopra invece, pieno controllo….ed anche eleganza: l’eleganza melmosa del blues, un vestito su misura ma non dal sarto più in, un auto usata ma di valore, la madia della nonna stile arte povera, mogano o abete, di 100 anni fa, passata di casa in casa attraverso le generazioni ed il tempo, il copriripiano di tela gommata. Ed il centrino. Suonare per se stessi, i piedi piantati a terra che ne raccolgono la forza e nessun fantasma interiore da far sfogare. Finalmente godersi un groove, nient’altro.
Pare che Lucia lo abbia sentito rantolare nel buio del letto in pieno infarto. Chissà che sguardo ha fatto. Forse stupito. Chissà se stava capendo che era la fine. L’espressione preparatagli per la camera mortuaria da mani sapienti suggerisce una quieta approvazione. Per le dinamiche del rigor mortis la bocca del cadavere a volte tende a stare socchiusa. Per ovviare a ciò ed evitare l’imbarazzo di un volto scomposto, il necroforo usa un collante che mette sulle labbra. Massimiliano non pareva averlo. Dio, la stessa espressione di quell’ultima sera. No, guarda meglio Andrea: zampe di gallina alle palpebre; quell’ombra di contrazione muscolare disegnata nelle pieghe minuscole della pelle, freddata per sempre nell’ultimo respiro, trattiene ancora la lotta contro il dolore, quella di chi vuole sopravvivere.
Bottom line. In camera ardente andava tutto il materiale registrato da Massimiliano, demo compresi. Ho potuto ascoltare il penultimo. Le solite cose, ma con suoni e strumenti in un amalgama eccezionale. Fango della Luisiana e Rena della Darsena. L’ultima onda era la migliore.
Bel racconto. La forma stilistica anche se “acrobatica” è decisamente ben gestita, almeno per me. Complimenti all’autore!
grazie Silvia…se vuoi leggere altro materiale mio.. killerstorm.blogspot.com : è il blog legato al mio sito http://www.bluesandmore.it