Racconti nella Rete 2009 “Billo” di Barbara Sedici
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009
Sembrava un mastino napoletano il piccolo cane color miele. Lei lo guardava come una madre guarda il figlio che si è scorticato un ginocchio per correre incosciente lungo una discesa di ghiaia, ma essendo stata lei quell’improbabile discesa, si sentiva colpevole e questo la portava a contemplare quella palla di pelo con rimorso e compassione.
Dall’alto dei suoi tacchi a spillo non pensava a chi avrebbe dovuto chiamare per l’operazione, ma solo a come avrebbe fatto a dire addio al suo Billo, l’unico essere che le volesse davvero bene e che le faceva compagnia nei momenti più indecenti della sua vita di prostituta.
Adesso ci pensava, adesso si rendeva veramente conto che la vita fugge come gocce sui vetri nelle piogge d’ottobre… Adesso avrebbe voluto ricominciare, tutto da capo, tutto di nuovo… Ma come avrebbe fatto senza l’aiuto, senza la presenza del suo compagno di viaggio? Senza quell’esserino che tante volte aveva dimostrato d’essere capace d’affetto incondizionato? Che sapeva aspettare paziente dietro la porta, quasi triste al pensiero di un estraneo che consumava il corpo della sua migliore amica, ma sempre pronto a consolare i lividi di violenze libidinose, senza giudicare, senza colpevolizzare, pretendendo solo qualche carezza, uno sguardo. Un amico che non chiedeva niente se non amore, e non dava altro se non amore.
Lo guardava, gli parlava, supplicava e imprecava contro falsi santi, che immobili assistevano ai soprusi che le infliggevano uomini che portavano i loro stessi nomi, che cerei, adesso lasciavano morire Billo.
Chiamò decisa la guardia medica, pretendendo che corressero a visitare il suo cane:
“ Un incidente?” dall’altro capo del telefono “ Sì, un brutto incidente!”
“ Come?” “ Non so come, forse qualcuno l’ha investito, e gli ha spezzato le zampe”
“ Ma come zampe? Non si tratta di lei?”
“ Non hanno investito me, cretino, ma il mio cane”
“ Intanto moderi i termini, noi siamo la Guardi Medica ha capito? Noi soccorriamo le persone, non stiamo qui a perdere tempo con le bestie”
“ Bestia ci sarà lei…Pronto? Pronto? Stronzo”
La rabbia dell’impotenza salì assieme alla consapevolezza che non un autista disattento aveva storpiato gli arti del piccolo animale, ma la sua rabbia di donna sola, sfruttata, emarginata, forse anche dimenticata.
Non era stato intenzionale, naturalmente no, è che a volte la rabbia prende il sopravvento, e quei maledetti vasi sono sempre lì, pronti a farsi prendere, desiderosi di farsi frantumare a terra. Quasi si volessero suicidare, stufi di restare inanimati ad attendere di essere spolverati da qualche mano distratta.
Lei davvero non avrebbe mai voluto colpirlo con quel subdolo suppellettile di ceramica regalatole dalla madre pochi mesi prima .Ma quell’orrenda notizia…Quell’inaudita violenza senza un perchè…
La povera bestiola guaiva, alzava la testa, la guardava con una strana tristezza negli occhi, poi ricominciava a mugolare, con lamenti soffocati e impazienti, chiedeva aiuto…I suoi occhietti accesi le chiedevano di fermare quel continuo, implacabile dolore.
Il tormento diventò insopportabile, e lei pensò che doveva fare qualcosa, il prima possibile.
Le venne in mente di infagottare la vittima e portarla al pronto soccorso.
Arrivò trafelata con Billo in braccio, ormai esausto e incapace di reagire, e l’unica cosa che riuscì a dire all’ accettazione: fu: “ Presto, presto, non ce la fa più, è grave, gravissimo”
Le fu consegnata una cartellina con un bollino rosso, e la truccatissima infermiera non sospettando assolutamente la natura canina del degente, ma credendo che si trattasse di un bambino, la spedì nervosa e impaurita in un’asettica stanzetta verde dove un dottore di mezz’età, sudato e nervoso, prese delicatamente in braccio la creatura. Si sentiva già rincuorata dalla presenza del medico che cautamente adagiava il piccolo sul lettino, ma quando il vetusto chirurgo si accorse di avere fra le braccia un bambino eccessivamente peloso che lo guardava in cagnesco, ci fu una rivoluzione. Venne mandata a quel paese, e lo stimato medico non le risparmiò improperi volgari e minacciosi, rimettendole in braccio quella povera bestiola con una tale violenza, da fratturargli ciò che rimaneva di integro.
Fu cacciata fuori dalla stanza, e tutti i pazienti impazienti la rimproverarono molto per aver tentato di far trattare un animale come un essere umano, con tutte le persone che aspettavano poi…Figurarsi perdere tempo con un cane. “Vada da un veterinario, e poi da uno psicologo!” aveva detto sghignazzando con sarcasmo il panciuto dottore coadiuvato dal tacito consenso di chi aspettava ansioso le sue diagnosi.
Lei andò solo dal veterinario, il quale affermò che non c’era rimasto molto da fare. Si, si poteva tentare un’operazione, ma sarebbe costata cara, senza garantire la sopravvivenza dell’animale.
“ Ha i soldi, signorina?”
No, i soldi non li aveva, o almeno non in quel momento, non tutti…
Ma era disposta a tutto pur di salvare il suo Billo, e non le pesò molto sfornare occhi languidi, labbra rosse e gambe semiaperte. Il veterinario era pur sempre un uomo, non avrebbe rifiutato…Non le avrebbe negato di salvare la vita all’unica creatura a cui lei tenesse veramente…fortunatamente trovò più che un animo prodigo un uomo molto debole al fascino femminile e questo le facilitò una seduzione improvvisata fra un’isterismo e un’ambigua disponibilità, che rese molto di più di un atto lascivamente altruista. Infatti il dottore dietro la dolce promessa di un’estasi cronometrata, fece un lavoro così accurato, da riuscire a rimettere a posto integralmente tutte le ossa della povera bestiola.
Nella sala operatoria c’era un odore acre di medicinali e sudore, lei si avvicinò all’operato che dormiva placido, immerso in chissà quali sogni.
Lo accarezzò, parlandogli con voce rassicurante.
Billo si svegliò solo dopo un’ora, e quegli occhietti assonnati e stralunati ripresero a guardare il mondo e soprattutto lei. Era felice come una bambina la prima volta che vede il mare, si sentiva bene, aveva espiato la sua colpa, aveva riparato, aveva salvato una vita… Adesso era pronta per salvarne un’altra. La sua.
Quella piccola vita, persa fra milioni di altre vite, altre storie, comuni a milioni di storie, sempre ugualmente schifose, sempre ugualmente cattive. Era nata da una ragazza povera e immatura che come un randagio si aggrappò alle belle parole di un viaggiatore di ventura, il quale non esitò ad abbandonarla troppo incinta e troppo sola.
Una donna che quando aprì gli occhi cominciò a bere per richiuderli di nuovo. Una bottiglia di vino da chiamare “ mamma” ed un peluche con le orecchie strappate che lei chiamava “ papà”.
Sarebbe stato meglio crescere sotto la guida di un orsacchiotto inanimato piuttosto che fra le violenze del nuovo compagno della madre, che pubblicamente recitava la parte del bravo padre di famiglia, ed in privato si trasformava in una bestia che abusava di una bambina, sotto gli occhi distratti ed annebbiati di una madre alcolizzata.
Le fughe da casa si rivelarono solo un mero tentativo di salvezza, poiché nell’ultima, trovandosi in mezzo ad una strada senza un soldo, scelse di vendere il proprio corpo per vivere. Tanto ormai era violato, si ripeteva, tanto ormai non era più “ puro”. Dal principio fu come un gioco, si sentiva bella, comunque desiderata, poteva dormire in alberghi di lusso, comprare vestiti firmati, permettersi anche di fare l’elemosina a quei disperati vagabondi che pagano sempre con la fame la loro libertà. Poi qualcuno decise che non poteva restarsene tutta sola in mezzo alla strada, che era pericoloso che aveva bisogno di protezione e a suon di schiaffi e calci riuscì a convincerla a cedere una parte del proprio guadagno in cambio di “protezione”.
Da quel momento in poi il “ lavoro ” divenne più squallido e difficile, non poteva scegliersi i clienti, ogni sera doveva guadagnare abbastanza per pensare al sussidio del suo “ protettore ”, che nel frattempo si era elevato al rango di “ Bodyguard ” e pertanto si meritava un lauto cospicuo compenso, a cui lei doveva provvedere se non voleva scatenare la brutalità di quel mostro senza scrupoli, che più di una volta la portò a cena in sala rianimazione..
Giovani, Vecchi, in due, tre, qualunque cosa chiedevano doveva accondiscendere. Erano disgustosi ma preziosi quei clienti. Una volta che si rifiutò di fare una cosa a cui voleva obbligarla uno dei suoi pervertiti affezionati, riportò per tre giorni le contusioni dell’ira del padrone.
Adesso si era abituata, adesso non piangeva più la notte quando rientrava a casa. Si convinceva che era un lavoro come un altro, e andava avanti, a testa alta, orgogliosa della sua forza. Diceva che lei era più coraggiosa di un dottore, che faceva un servizio molto importante, che grazie a lei magari qualche ragazzina innocente poteva essere risparmiata dalle voglie irrefrenabili di bravi padri di famiglia.
Forse parlava così perchè non poteva e non voleva vedere la verità. Guardare avrebbe significato sprofondare, nel fondo di una bottiglia…no, questo mai…Mai se lo sarebbe permesso.
Poi un giorno succede che il cuore comunque batte e chiede amore… Amore sì, dolce e sconosciuto da cercare in chissà quali occhi.
Lo trovò. Forse in quel giovane militare che le dedicava poesie scritte di getto, che per un po’spazzò via lo squallore, la sporcizia, la tragedia della sua vita, e le regalò quel po’di magia che la fece perdere nel sogno di un possibile domani. Quando finì le leva finì anche il loro amore, ma quando lui partì lei non pianse, perchè le lasciò qualcosa di più di una promessa…un patto sacro che prendeva forma nel suo ventre.
Finalmente poteva avere qualcosa di puro e innocente, poteva trasferire in quella creatura tutte le speranze e i desideri che la vita indifferente e spietata le aveva rubato.
Neanche quella gioia, di cui aveva pieno diritto le venne concessa. Il bravo
“ Datore di lavoro” pensò bene che un bambino sarebbe stato un intralcio e che lei non avrebbe fatto più il suo dovere, se fosse stata occupata a fare la mamma.. La cosa più crudele fu sicuramente strapparlo alla vita dopo che lei lo partorì. Davanti ai suoi occhi: “ Che ti serva da lezione, e guai a te se ci riprovi!”
Come poteva un uomo, un essere umano fare del male ad una creatura così piccola, così viva?
Lo bastonò come si fa con i gattini appena nati, fino a non sentire nemmeno più un vagito del piccolo disgraziato. Lo shock fu talmente grande che lei provò ad ucciderlo. Non ci riuscì. Provò ad uccidere se stessa. Nemmeno questo le fu concesso.
Alla fine stanca di tutto, anche di respirare, riprese la sua vita di sempre, lasciando a qualcun’altro i suoi ricordi. Poco tempo dopo trovò Billo, randagio come lei, con il quale entrò subito in sintonia.
Lui l’aspettava tutte le sere alla solita postazione, e lei per ringraziarlo gli portava da mangiare.
Billo incominciò ad aspettarla sempre, anche di giorno, anche quando non arrivava…
Una volta lo trovò tutto bagnato, con la febbre alta, che accucciato per terra l’aspettava al solito palo… Lo portò a casa per curarlo e non si lasciarono più. Il giorno dell’incidente, in una crisi di pianto isterico per la notizia della morte di una sua amica carissima, professionista nello stesso ramo, uccisa a colpi d’ascia, lei prese in mano un vaso di ceramica regalatole dalla madre pochi mesi prima, uno stupido cimelio…Dopo 10 anni che non si vedevano sua madre, non pensò d’invitarla a pranzo per parlare un po’, magari anche solo per sentire il calore di una mano, anche senza dire niente, anche senza mangiare…No, non pensò a questo, pensò di regalarle un’inutile vaso, freddo e silenzioso come il loro perduto rapporto.
La rabbia di una vita perduta la spinse a scagliare per terra l’oggetto senza accorgersi che Billo era nella stessa traiettoria. L’impatto, inevitabile, ferì l’animale, lasciandolo mezzo tramortito. Ma adesso era tutto passato. Billo era salvo, lei era pronta…
Un po’ di soldi era riuscita a metterli da parte e lei e il cagnolino sarebbero partiti per una bellissima isola caraibica in cerca di fortuna altrove.
Fissò la data e passò a ritirare i biglietti all’agenzia. Per non destare sospetti non preparò valigie, tanto dove andavano avrebbero trovato tutto ciò di cui avevano bisogno… La libertà!
Il sorriso le si fece più dolce pensando al suo piccolo amico a quattro zampe che l’aspettava impaziente.
Sarebbe bastato un secondo, un solo un secondo, un attimo prima o dopo, ma a volte quello che accade è così assurdamente preciso da far pensare all’opera di un sadico burattinaio.
Forse il conducente dell’auto era ubriaco, forse un colpo di sonno, forse perse il controllo della vettura, forse il destino decise per tutti…
Billo aspettò per molto tempo… ma Veronica non tornò più.
Qualcuno dice di vederlo ancora oggi, ogni giorno, arrivare nella strada
ed accucciarsi al solito palo, aspettando paziente il giorno in cui finalmente la vedrà arrivare, come sempre, come prima…con un sorriso e qualcosa da mangiare.